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Il cinismo di Rheinmetall premiato col Black Planet Award

Risposte glaciali dell'AD, Papperger, alle tante domande degli azionisti critici. E la Ethecon Foundation "premia" l'azienda per la sua cattiveria

Emanuele Isonio
Una manifestazione di protesta contro Rheinmetall a Düsseldorf © Lunabonn/Wikimedia Commons
Emanuele Isonio
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Un mappamondo dal quale colano strisce di nero pece. Un’immagine particolarmente evocativa. Difficilmente poteva essere scelto simbolo più efficace per un premio che punta a condannare i comportamenti di quelle aziende distintesi (in negativo) nel mondo dell’industria. Quel premio, noto come Black Planet Award e ideato dalla Ethecon Foundation di Dusseldorf, quest’anno è stato consegnato ai vertici di Rheinmetall. In un’occasione particolarmente significativa: durante l’assemblea annuale degli azionisti. Un appuntamento particolarmente caldo, soprattutto quest’anno. Molto folta era infatti la sfilza di azionisti critici che hanno assiepato la sala dell’Hotel Maritim di Berlino, chiedendo chiarimenti sui comportamenti aziendali più controversi.

Legalità vs moralità

Le risposte che attendevano – è bene dirlo subito – non sono arrivate. E difficilmente si poteva immaginare il contrario. Tu chiamala, se vuoi, realpolitik applicata all’industria bellica. Un esempio paradigmatico del modo di pensare di molti top management. E l’AD di Rheinmetall, Armin Papperger, non fa eccezione. «Al management chiederemo se sono consapevoli che l’esportazione della RWM Italia Spa controllata al 100% da Rheinmetall, sta violando la risoluzione del Parlamento europeo del 25 febbraio 2016. Il documento approvato dall’aula di Strasburgo chiede un embargo all’esportazione di armi verso tale Paese», aveva spiegato a Valori ieri Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo. E la risposta di Papperger è stata glaciale: «Noi non violiamo nulla. Rispettiamo tutte le leggi in materia di armamenti».

Tra Pilato ed Erode

Il ghiaccio non si è sciolto nemmeno di fronte alla testimonianza di Bonyan Gamal, attivista yemenita della Mwatana Organization for Human Rights. Un intervento toccante, il suo, usato per raccontare la fine della famiglia Houssini, suo vicini di casa, centrati da una bomba prodotta dalla RWM Italia (controllata al 100% di Rheinmetall). Era stata la sua associazione a ritrovare pezzi della bomba con la “targa” italiana in giardino.

«Non vi sentite responsabili della loro fine?» ha domandato a Papperger. Ma l’Ad non si è scomposto: «No. Perché noi siamo responsabili solo della sicurezza dei nostri prodotti. Non siamo responsabili dell’uso che ne viene fatto». In buona sostanza: dobbiamo preoccuparci solo che le bombe non vi scoppino in mano. Per il resto, affare vostro…

Porta in faccia anche al vescovo

Risposte tranchant su tutta la linea quelle del top management di Rheinmetall. E, le domande delle 12 realtà di azionariato critico dell’assemblea sono servite anche per rispondere, a distanza, agli appelli del vescovo di Iglesias, Giovanni Paolo Zedda. Il prelato, appena 48 ore fa, in una lettera pubblica aveva condannato la produzione di materiale bellico nel sito industriale di Domusnovas. Una richiesta, nemmeno tanto velata, di conversione industriale, perché «non si può omologare la produzione di beni necessari per la vita con quella che sicuramente produce morte. Tale è il caso delle armi che vengono prodotte nel nostro territorio e usate per una guerra che ha causato e continua a generare migliaia di morti». La Rheinmetall infatti ha negato ogni intento di smobilitazione. Anzi: per l’anno prossimo sono previsti investimenti per 1-2 milioni di euro. Somme che, nel 2020 dovrebbero addirittura decuplicare.