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Italia amica delle fonti fossili: gli aiuti di Stato valgono 18,8 miliardi

Il comparto oil&gas gode di decine di miliardi tra sussidi diretti e indiretti. Legambiente: eliminarli è possibile. Ma il governo tace. Eni e soci ringraziano

Matteo Cavallito
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Matteo Cavallito
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Il sostegno pubblico al settore fossile globale costa oltre 300 miliardi di dollari. E l’Italia continua a fare la sua parte con aiuti di Stato pari a 18,8 miliardi di euro. Lo sostiene Legambiente nell’ultimo rapporto sul tema presentato nei giorni scorsi. Un costo significativo per la collettività, frutto della solita combinazione di sussidi diretti e indiretti al consumo o alla produzione di gas e petrolio. Cancellarli a beneficio del clima? Possibile, persino auspicabile. Per il momento, tuttavia, non se ne parla proprio. E le major del settore gas e petrolio, ovviamente, ringraziano.

Sussidi: fossile batte ambiente

«La cancellazione dei sussidi alle fonti fossili è stata uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle» ricorda Legambiente, «ma nell’ultimo Piano energia e clima non è previsto nessun impegno e il tema viene trattato solo marginalmente». L’inerzia, per altro, è evidente da tempo. Nel 2016 il ministero dell’Ambiente ha pubblicato il Catalogo dei sussidi dannosi e favorevoli, inserendo entrambi nella rendicontazione nazionale. Le cifre dovrebbero essere aggiornate ogni anno. Cosa che ad oggi, però, non è mai avvenuta. Secondo gli ultimi dati disponibili, i sussidi a impatto ambientale negativo superano quelli pro clima, per così dire, di mezzo miliardo circa.

I sussidi ai trasporti valgono 7 miliardi

Nell’elenco dei sussidi rientrano svariate categorie, a partire dai finanziamenti pubblici a progetti internazionali. «Tra il 2017 e il 2018 sono state almeno 10 le operazioni che hanno coinvolto una o più società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti a sostegno del settore Oil&Gas» spiega Legambiente. L’ammontare totale di questa voce arrivava a 2,21 miliardi di euro, 1,49 miliardi nel 2018. Le esenzioni e le riduzioni per l’utilizzo di combustibili fossili in vari settori – leggasi detrazione e riduzione di accise, sconti diretti e indiretti – sfiorano i 3,4 miliardi. Mentre l’insieme di sconti ed esenzioni per i trasporti vale circa 7 miliardi. 1,5 dei quali soltanto per il settore aereo.

Fonte: Legambiente 2019, “Stop sussidi alle fonti fossili. Stato dei sussidi e dei finanziamenti diretti e indiretti, al settore Oil&Gas”

Eni & friends ringraziano

Per le grandi imprese è motivo di gioia. Emblematico il caso dei sussidi alle trivellazioni, identificati da Legambiente con un regime di royalties molto basse che favoriscono proprio le multinazionali del fossile. Per le estrazioni sulla terra ferma si paga il 10%, quota che scende al 7% per le operazioni in mare aperto. Nel 2017, riferisce la ricerca, Eni ha versato in tal senso circa 118 milioni divisi per Stato, Regioni e Comuni. Una cifra esigua se paragonata, in proporzione, a quelle versate dalle imprese che operano in Danimarca, Norvegia e Regno Unito dove le royalties oscillano tra il 68% e l’82%.

Basterebbe alzare l’aliquota italiana a quota 30%, sostiene l’organizzazione ambientalista, per ottenere da subito un gettito di 414 milioni.

Nel 2017 la produzione di idrocarburi in Italia è stata pari a 4,1 milioni di tonnellate di petrolio e a 5,7 milioni di metri cubi standard di gas. Le esenzioni hanno interessato il 10,5% del greggio e 39% del gas. Il gettito fiscale 2018 raccolto sul fossile tramite le royalties ammonta a circa 168 milioni di euro. Senza le esenzioni, calcola Legambiente, lo Stato avrebbe incassato 58 milioni in più. Eni, in particolare ha beneficiato, in questo senso, di uno sconto da 36,5 milioni. Seguono Edison (4 milioni), Shell Italia (1,2 milioni) e le altre.

Meno sussidi, più Scuola e Sanità

La buona notizia è che la cancellazione dei sussidi è tutt’altro che impossibile. Basta volerlo. Il che – siamo d’accordo – è un problema non da poco. Ma i vantaggi, assicura Legambiente, sarebbero evidenti. «Con una attenta programmazione si potrebbe arrivare a 14 miliardi di euro annui nel 2025» sostiene l’organizzazione ambientalista. «E già nel 2020 si potrebbero determinare investimenti importanti in settori strategici. Per esempio, riducendo del 10% all’anno i sussidi agli autotrasportatori». A quel punto, prosegue l’analisi, si libererebbero maggiori risorse pubbliche:

«4 miliardi in più al Servizio Sanitario Nazionale e al Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente», altrettanti per «istruzione scolastica e Università».

E poi altri sei miliardi, da dividere equamente tra Fondo Nazionale Trasporti e «lotta al dissesto idrogeologico e per l’adattamento ai cambiamenti climatici».

Infine un’indicazione: vietare alle imprese pubbliche e ai fondi pensione privati, suggerisce ancora Legambiente, di investire nel fossile. Sarebbe un cambiamento significativo, viste le cifre più recenti che segnalano un feeling mai sopito tra il mondo della previdenza e il trittico petrolio-gas-carbone. Ad oggi, i 10 principali fondi negoziali della previdenza complementare e le casse di previdenza italiane hanno partecipazioni nel settore fossile per almeno 800 milioni di euro.