Cop30: UN Global Compact Network su imprese italiane e capitale naturale
Secondo UN Global Compact Network la biodiversità continua a rappresentare il punto debole delle strategie aziendali sull’ambiente
Il 78% delle aziende italiane è consapevole che proteggere la natura rafforza la resilienza del proprio modello di business. Tuttavia, solo il 42% monitora in modo sistematico gli impatti delle proprie attività su biodiversità ed ecosistemi. È questo uno dei dati principali che emergono dal nuovo studio “Le aziende italiane e la tutela del capitale naturale per contrastare il cambiamento climatico”, promosso dal Global Compact Network Italia. In collaborazione con The European House – Ambrosetti e l’Università Ca’ Foscari Venezia, con il supporto di Edison SpA. Il report sarà presentato domani (venerdì 14 novembre) alla Cop30 di Belém, presso il Padiglione Italia. In collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.
La ricerca di UN Global Compact Network Italia analizza 169 grandi aziende italiane sottoposte all’obbligo di rendicontazione di sostenibilità, a partire dal 2024 (escludendo banche e assicurazioni). Ha coinvolto 115 imprese aderenti al Network e mostra che, nonostante una crescente consapevolezza, la biodiversità resta ancora poco presente nelle strategie aziendali. Se circa la metà delle imprese dichiara di avere strumenti per gestire emissioni, acqua e rifiuti, la percentuale si riduce drasticamente quando si parla di tutela della biodiversità. Solo l’8% ha già adottato un Piano di Transizione per la Biodiversità.
Per UN Global Compact Network solo il 31% delle aziende italiane ha una policy sul capitale naturale
L’integrazione del capitale naturale – cioè l’insieme delle risorse e dei servizi forniti dalla natura – nelle strategie ambientali delle imprese è in crescita. Ma rimane poco strutturata. Secondo il rapporto di UN Global Compact Network Italia il 57% delle aziende afferma di tenerne conto nelle proprie valutazioni ambientali. E il 70% riconosce che un approccio integrato tra clima e natura porta benefici concreti. Tuttavia, solo il 31% ha definito una policy aziendale specifica. Nella maggior parte dei casi, la spinta ad agire viene dalla necessità di gestire i rischi (67%), ma l’adozione di misure concrete è spesso ostacolata da difficoltà operative.
Le principali barriere segnalate riguardano il coinvolgimento della filiera, i costi elevati, la mancanza di strumenti adeguati e di competenze interne. Per questo motivo, le imprese chiedono incentivi economici, linee guida pratiche e strumenti di misurazione efficaci. Un dato incoraggiante arriva però dalle prospettive future, con l’81% delle aziende che prevede di rafforzare il proprio impegno nei prossimi anni.
Queste dinamiche si inseriscono in un contesto globale in cui la posta in gioco è altissima. Più della metà del Pil mondiale, pari a circa 55.000 miliardi di dollari, dipende direttamente dai servizi forniti dagli ecosistemi. In Europa, il 72% delle imprese è legato ad almeno uno di questi servizi naturali. E in Italia quasi l’80% dei prestiti bancari è esposto a settori vulnerabili ai rischi ambientali. Nonostante un patrimonio naturale straordinario – che comprende oltre un terzo delle specie animali europee e quasi metà della flora – l’Italia mostra segnali allarmanti: 58 ecosistemi terrestri su 85 sono a rischio, pari al 46% del territorio nazionale.
«Di fronte alla crescente perdita di biodiversità è indispensabile un approccio integrato»
«Per raggiungere gli obiettivi fissati dal Global Biodiversity Framework al 2030, sarà necessario incrementare in modo significativo i flussi finanziari destinati alla tutela della natura», ha dichiarato Filippo Bettini, presidente di UN Global Compact Network Italia. «Oggi, a fronte di un fabbisogno stimato in 1.150 miliardi di dollari all’anno – pari all’1% del PIL globale – ne vengono mobilitati appena 208 miliardi. Di questi, solo una quota limitata – circa 35 miliardi – proviene dal settore privato. Le risorse pubbliche da sole non bastano. Serve un’alleanza pubblico-privato capace di catalizzare capitali, innovazione e competenze per costruire modelli di sviluppo che siano rigenerativi per la natura e sostenibili per l’economia».
«La competitività delle imprese e la stabilità economica sono fortemente impattate dal capitale naturale. Esso rappresenta un vero e proprio asset strategico. Ignorarlo significa mettere a rischio il benessere delle persone, la solidità dei sistemi finanziari e le prospettive di sviluppo», ha dichiarato Daniela Bernacchi, executive director di UN Global Compact Network Italia. «Di fronte alla crescente perdita di biodiversità e al degrado degli ecosistemi, è indispensabile un approccio integrato che coinvolga governi, imprese, istituzioni e cittadini in un’azione coordinata e ambiziosa».
«Le imprese devono attrezzarsi per comprendere e gestire le proprie dipendenze e i propri impatti sul capitale naturale. È importate definire obiettivi chiari e misurabili, investire in strumenti, competenze e governance e attivare partnership lungo le filiere e i territori in cui operano» ha concluso Daniela Bernacchi. «Non si tratta solo di una responsabilità ambientale. È una scelta strategica che rafforza la resilienza del business, crea valore condiviso e prepara le aziende a un futuro in cui sostenibilità e competitività saranno sempre più interdipendenti. In questo contesto, il Global Compact Network gioca un ruolo chiave nel promuovere competenze, confronto e apprendimento continuo tra le aziende aderenti».




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