Sanità lombarda verso la finanziarizzazione? I rischi per il servizio pubblico
La Lombardia apre la sanità pubblica ad assicurazioni e fondi, rischiando di creare disuguaglianze e dipendenza strutturale dai privati, con effetti sul Ssn
La Lombardia sta attraversando un passaggio cruciale che rischia di cambiare la natura stessa del Servizio sanitario nazionale. La delibera regionale n. 4986, approvata il 15 settembre scorso, spalanca le porte del servizio pubblico ad assicurazioni, fondi sanitari e mutue. Una scelta che mette in moto un processo di finanziarizzazione della sanità pubblica che potrebbe diventare irreversibile.
Vittorio Agnoletto, medico, esperto di sistemi sanitari e autore della newsletter Diritti in Salute, non usa mezzi termini: quella delibera rappresenta un passo verso la demolizione del Ssn universalistico, riportando a un sistema mutualistico, frammentato e differenziato in base al reddito.
Intramoenia potenziata e corsie preferenziali per chi ha assicurazioni
La delibera 4986 invita le Aziende socio sanitarie territoriali (Asst) e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) a stipulare accordi con assicurazioni, fondi integrativi e mutue, arrivando perfino a fornire un fac-simile di contratto. Introduce inoltre per il personale una nuova forma di attività aggiuntiva, definita «attività erogate in regime aziendale integrativo»: una sorta di intramoenia parallela, distinta da quella già esistente e con regole proprie. Le strutture pubbliche potranno applicare agli assistiti delle compagnie assicurative tariffe inferiori rispetto a quelle previste per i cittadini solventi. I costi delle prestazioni saranno calcolati in base ai volumi richiesti, secondo logiche di mercato. La Regione, infine, suggerisce persino di attivare i «letti dormienti», ossia posti già presenti nelle strutture, ma inutilizzati per carenza di personale, per garantire assistenza agli assicurati.
Agnoletto parla di una discriminazione sostanziale: «Per quale motivo un cittadino che, in base alla Costituzione e alla legge 833 del 1978, ritiene di avere diritto alla cura deve essere scavalcato da chi dispone di una mutua, un’assicurazione o un fondo? Torniamo a una discriminazione economica». Il meccanismo è chiaro: chi ha una copertura integrativa ottiene una corsia preferenziale, mentre chi si affida al Ssn rischia di finire in fondo alla fila. E questo in un contesto in cui le liste d’attesa sono già drammatiche: due anni per una cataratta, tre per l’avvio della logopedia infantile, sei mesi per una colonscopia.
Quando la sanità pubblica dipende dai privati: il nodo del “bilancio consolidato”
Il rischio, secondo Agnoletto, è quello di impatti strutturali. «Se un grande ospedale pubblico come il Policlinico di Milano – spiega – sigla convenzioni pluriennali con assicurazioni per volumi di prestazioni enormi, le entrate che ne derivano possono raggiungere milioni di euro».
Queste entrate, prosegue, pur non figurando formalmente nel bilancio pubblico, finiranno per essere integrate nella programmazione di investimenti e acquisti. Diventeranno, di fatto, parte di un «bilancio consolidato» da cui l’ospedale non potrà più prescindere: «Nei fatti rischiamo di arrivare a una partnership pubblico-privata costruita all’interno di ospedali che finora erano pubblici».
La conseguenza diretta è facilmente intuibile. È come se un’azienda statale iniziasse a dipendere sempre di più dai contratti con un unico grande cliente privato: resterebbe formalmente pubblica, ma quel cliente – da cui dipendono investimenti e scelte future – finirebbe per orientarne priorità e attività. Non verso il bene collettivo, ma verso il proprio interesse. E, nel caso degli istituti finanziari, verso il profitto. Così, negli ospedali lombardi, la dipendenza economica rischia di tradursi in un potere di influenza: le assicurazioni, pur non sedendo nel cda, avranno comunque la forza per indirizzare le scelte dell’ospedale. La sanità pubblica finirebbe per perdere la sua missione universale, trasformandosi in un fornitore di servizi specializzati per chi può pagare.
Extra-lavoro, stipendi fermi e sicurezza: il cortocircuito del sistema
A questa dinamica si aggiunge un’ulteriore contraddizione. Con la delibera 5057 del 29 settembre, la Regione destina 10 milioni di euro del Ssn al privato accreditato – anche a quello non contrattualizzato – per coprire prestazioni che il pubblico non riesce più a garantire, come «misura operativa per il contenimento dei tempi di attesa». «Non sussistono le condizioni», si legge nel provvedimento, per raggiungere gli obiettivi con le sole strutture pubbliche. Così, paghiamo i privati perché ci supportino. E, nello stesso tempo, incentiviamo nel pubblico l’intramoenia per fondi e assicurazioni con la delibera 4986.
La direzione è chiara: si sta svuotando, di fatto, il ruolo del pubblico. Una relazione dei Nas, inviata alla giunta ma non resa pubblica, segnalerebbe squilibri già oggi significativi in alcune strutture, dove l’intramoenia avrebbe superato ampiamente i limiti previsti, diventando prevalente rispetto all’attività svolta per il Ssn. Il nodo irrisolto che alimenta questa crescita vertiginosa, spiega Agnoletto, sono gli stipendi troppo bassi. «Una persona deve poter vivere con il proprio salario. Non deve fare un doppio lavoro per arrivare a fine mese». Medici e infermieri italiani, ricorda, sono pagati molto meno dei colleghi europei. E lavorare 10-12 ore al giorno aumenta rischi, errori e perdita di lucidità.
Pubblico e privato non giocano la stessa partita
Alla base di questa degenerazione c’è un malinteso mai davvero chiarito: l’idea che sanità pubblica e privata giochino la stessa partita e condividano gli stessi obiettivi. «Ma non è così: il privato guadagna se noi ci ammaliamo. Il pubblico punta (o dovrebbe puntare) sulla prevenzione che, per la sanità privata, non è solo un aspetto indifferente: è un avversario».
È possibile una cooperazione tra i due sistemi? «Sì, a una condizione: che il pubblico mantenga il controllo. Deve governare piani sanitari, analisi dei bisogni, definizione delle priorità. E prevedere convenzioni con il privato solo dove serve davvero, dove il pubblico non arriva o dove esistono eccellenze cliniche. In Lombardia, però, si sta andando nella direzione opposta».
La mobilitazione contro le delibere lombarde
Contro le delibere e le politiche spregiudicate della Regione Lombardia in ambito sanitario si è attivato il Coordinamento La Lombardia SiCura, una rete riunisce associazioni, sindacati e forze di opposizione. Accanto a loro operano i 67 sportelli regionali che aiutano cittadine e cittadini nella battaglia quotidiana sulle liste d’attesa. «Anche sindacati come Cgil, Uil e quelli di base hanno aderito – osserva – e questo fa ben sperare. Hanno aderito tutte le forze politiche d’opposizione, anche se con qualche distinguo e timidezza da parte del Partito Democratico. Vogliamo reagire con forza, anche scendendo in piazza. Rigettare questa delibera significa difendere il diritto alla salute. Tutte le forze politiche dovrebbero convergere su questo dato, superando una certa tiepidezza nel prendere posizione. Ne vale la salute delle cittadine e dei cittadini lombardi».
E non solo: quanto sta accadendo in Lombardia potrebbe rappresentare la prova generale di un processo che, una volta avviato, rischia di estendersi rapidamente a tutto il Paese.




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