Perché le Big Tech stanno licenziando migliaia di lavoratori in modo disumano

Le Big Tech registrano incassi record e spendono miliardi nell'intelligenza artificiale. Nel frattempo, licenziano 2mila lavoratori al giorno

La sede di Microsoft © Raimond Spekking

Negli ultimi mesi sono migliaia i lavoratori licenziati dalle Big Tech. Parliamo di numeri eccezionali: sarebbero 2mila, infatti, i dipendenti lasciati a casa ogni giorno dall’inizio del 2023. In particolare negli Stati Uniti, ma non solo. 

Ecco alcuni esempi: Google ha licenziato 12mila persone da un giorno all’altro, 18mila Amazon, 11mila Meta, 10mila Microsoft, 8mila Salesforce, 4mila Twitter. Oltre alle Big Tech c’è Disney (7mila persone) seguita, a distanza, da tutta una serie di soggetti familiari ai consumatori, tra cui Tesla, Netflix, Robin Hood, Snap, Coinbase, Ibm, PayPal, Zoom e Spotify, con cifre però sono significativamente inferiori a quelle sopra menzionate.

Da una parte si licenzia, dall’altra si investe nella AI

Tale ondata di tagli nel settore delle innovazioni tech ha coinvolto almeno 70mila addetti nel mondo (ma c’è chi dice addirittura 200mila), senza parlare di coloro che hanno presentato le proprie dimissioni spontaneamente. Poi c’è l’indotto. I licenziamenti, infatti, stanno dando origine a una reazione a catena negli spazi di consulenza, di marketing, nel settore della pubblicità e della produzione di contenuti online. E questo succede man mano che le aziende riducono la spesa e la reindirizzano verso l’innovazione nell’intelligenza artificiale

Già, perché mentre una società come Microsoft da una parte fa a meno di 10mila dipendenti, dall’altra investe 10 miliardi di dollari in ChatGPT, la chat specializzata nella comprensione del linguaggio naturale dell’uomo. 

Eppure le Big Tech continuano a guadagnare

Si tratta di una crisi strana, quella delle Big Tech. I dirigenti hanno imputato la colpa all’eccesso di assunzioni avvenuto durante la pandemia, quando il settore ha registrato incassi da record. Infatti, come la crisi energetica è stata un buon affare per l’industria dei combustibili fossili (con 4mila miliardi di dollari di profitti nel 2022), così con la pandemia le Big Tech hanno fatto i loro affari migliori: come sintetizzato dal DataRoom del Corriere della Sera, l’utile di Google nel 2021 è stato di 76 miliardi (40 nel 2020); per Meta è stato di 39,3 miliardi (29 nel 2020); Amazon ha avuto un profitto sempre netto di 33 miliardi (21 nel 2020); infine Microsoft ha portato a casa un utile netto di 61,2 miliardi (44 nel 2020). 

Ma ora c’è la recessione globale e le società tecnologiche devono tagliare le spese, lasciando il personale a casa. D’altronde, per ciascuna azienda capitalistica che si rispetti, l’obiettivo è uno solo: fare profitto. Se questo non c’è, per logica, bisogna attuare dei tagli. Ma è davvero così? Le compagnie stanno perdendo soldi? Le Borse andranno anche male, ma i bilanci continuano a crescere. Bastino gli esempi di Google e Amazon, per i quali sono disponibili i dati del terzo quadrimestre 2022: +6% per il primo e +15% per il secondo. Google (Alphabet) ha chiuso il 2021 con un fatturato di 257 miliardi: si tratta di un +40% sul 2020. Amazon nello stesso anno ha toccato i 469 miliardi di fatturato, quasi il doppio rispetto al pre-pandemia.

Crudeltà e disumanizzazione del fine rapporto

Tutti sanno quanto Elon Musk, il fondatore di Tesla, sia un pioniere nel mondo della tecnologia. Ma è stato un pioniere anche nell’avviare questa ondata di tagli in ambito tech. Sul finire del 2022, subito dopo aver acquisito Twitter attraverso una trattativa a dir poco travagliata, ha inviato una email di licenziamento a 4.000 dipendenti: una riduzione del 50% dell’intero organico. Una manovra a sorpresa che è stata seguita da molte altre. 

Le Big Tech, le stesse che oggi piangono miseria, fino a ieri erano considerate il regno della flessibilità, della creatività, dell’attenzione alle esigenze di ogni collaboratore. Oggi, in quelle stesse aziende, decine di migliaia di licenziamenti sono stati accompagnati alla porta con un’incredibile mancanza di empatia. Anche Google, da tempo in cima alle classifiche dei migliori posti di lavoro, ha mandato una mail a migliaia di persone per informarle del fatto che la società non aveva più bisogno di loro. 

Invece Microsoft ha organizzato un concerto privato di Sting per i suoi dipendenti la sera prima di licenziarne 10mila. Non sappiamo quanto l’azienda fondata da Bill Gates abbia dovuto pagare per avere Sting tutto per sé una sera, ma di sicuro sembra una spesa fuori luogo in un momento simile.

Apple è davvero un’eccezione? 

Sembra incredibile, ma licenziamenti improvvisi e disumanizzati come questi non hanno attirato denunce ai colossi. Forse perché, in alcuni casi, trattamenti speciali di fine rapporto superano gli standard minimi legali? Il CEO di Amazon Andy Jassy, per esempio, ha dichiarato nel blog aziendale che la società garantisce tutele come l’assicurazione sanitaria (un tema molto delicato negli Stati Uniti) e il supporto per un inserimento lavorativo altrove. Cosa che però non vale per i magazzinieri.

Infine, ve ne sarete accorti: tra i nomi delle grandi Big Tech che stanno licenziando manca quello di Apple. C’è chi sostiene che la società di Cupertino non si sia lanciata nella folle corsa alle assunzioni come fatto dalle concorrenti e quindi non abbia dovuto ridurre il personale. Sarà anche vero, ma la ribellione degli operai cinesi della Foxconn a dicembre dimostra quanto i rapporti di lavoro rappresentino un vulnus per le società tecnologiche. 

Per anni abbiamo “consumato” smartphone prodotti da operai con salari più bassi dei nostri e, soprattutto, meno diritti. Ora quella stessa crisi si è abbattuta su chi lavora in ufficio, e non alla catena di montaggio. Sembra incredibile, ma mai una volta che a saltare sia qualche dirigente o azionista. Vuoi vedere che sia anche un po’ colpa della loro irrefrenabile sete di profitto?