Allevamenti intensivi. Così in Italia macelliamo anche le risorse naturali

Gli allevamenti intensivi italiani stanno consumando troppe risorse naturali. Un dato allarmante per un settore in cui domanda e offerta sono in decrescita

Gli allevamenti intensivi rivestono un ruolo determinante nel rendere insostenilbile il settore agricolo © dusanpetkovic/iStockPhoto

Allevamenti intensivi e agricoltura stanno consumando una volta e mezzo le risorse naturali dei terreni agricoli italiani. Uno studio dell’università della Tuscia e di Greenpeace accende i riflettori su un sistema nel suo complesso insostenibile. All’interno del quale la zootecnia gioca un ruolo rilevante.

Il “peso” della Carne

Il documento, intitolato “Il peso della Carne”, riporta anche altre informazioni allarmanti in merito alla produzione di carne da allevamenti intensivi in Italia.

Silvio Franco, docente del dipartimento di Economia, Ingegneria, Società e Impresa dell’ateneo viterbese, e autore dello studio, afferma senza mezzi termini che «in Italia il sistema agricolo e zootecnico sono nel loro insieme insostenibili». Anche se apparentemente il peso dei due settori sembra decisamente diverso.

L’insostenibilità di agricoltura e allevamenti in Italia: i settori agricolo e zootecnico consumano una volta e mezzo le risorse dei terreni agricoli.
Fonte: Rivista di Agraria, ottobre 2020

Il settore zootecnico consuma infatti, secondo il rapporto, soltanto il 39% delle risorse delle aree agricole italiane. Tenendo consto che «l’impatto ambientale dell’insieme delle attività di coltivazione e di allevamento è pari a circa una volta e mezzo le risorse naturali messe a disposizione dai terreni agricoli italiani», se ne potrebbe dedurre che le colture siano ben più dannose per l’ambiente.

Una stima, comunque, conservativa

In realtà, la biocapacità del sistema agricolo italiano sarebbe in grado di compensare quasi totalmente l’impatto delle proprie attività. Mentre il sistema va quindi in deficit proprio se si aggiunge il “peso” delle attività zootecniche. La ragione sta nel fatto che, nello studio, l’impatto di queste ultime è fortemente sottostimato, poiché si prendono in considerazione esclusivamente le emissioni dirette di gas serra del bestiame causate da fermentazione enterica e deiezioni.

Non si tiene conto, dunque, dell’impatto ambientale delle coltivazioni destinate ad alimentare gli animali. Né dell’import di mangimi. E non viene considerato alcun altro fattore produttivo impiegato nei processi zootecnici (carburante, elettricità, acqua, ecc.).

La realtà, dunque, è che se l’impronta ecologica complessiva del settore agricolo è così ampia lo si deve in larga misura anche al ruolo determinante degli allevamenti intensivi. 

Gli impatti della carne sul clima

Il “peso” dell’insostenibilità lombarda

Caso emblematico la Lombardia, dove i soli allevamenti consumano il 140% delle risorse agricole. In altre parole, la Lombardia dovrebbe avere una superficie agricola di quasi una volta e mezzo quella attuale solo per assorbire le emissioni prodotte negli allevamenti sul territorio. Tale impatto, si precisa nello studio, «risulta oltre un quarto di quello nazionale e contribuisce per oltre il 10 per cento a determinare l’insostenibilità complessiva dell’agricoltura italiana».

Risultati sconcertanti, per un settore in decrescita

 I dati sono ancor più preoccupanti se letti alla luce del dossier “2010-2019. Dieci anni di zootecnia in Italia” dell’associazione Essere Animali e del “Report Ismea 2020” su produzione e prezzi della carne bovina.

Il primo dei due documenti, presentato a maggio 2020 (che raccoglie i dati relativi a allevamenti e macelli nel nostro Paese nella decade appena trascorsa), evidenzia come negli ultimi dieci anni il consumo pro capite di carne sia calato del 7%. Il dato trova riscontro nella diminuzione sia della quantità di carne prodotta nei macelli italiani  (-12%), sia di quella importata dall’estero. Il report Ismea 2020 conferma il trend, registrando una diminuzione della produzione nazionale di carne bovina da gennaio a giugno 2020 del 13,6%.

Tuttavia, nonostante il calo dei consumi, il numero totale degli animali macellati è aumentato. Si tratta di un dato apparentemente contraddittorio, la cui spiegazione risiede nel calo delle macellazioni di animali di grande taglia e a carne rossa, a fronte di un aumento (a seguito di un aumento della domanda) di quelle di animali più piccoli e a carne bianca. In particolar modo di polli.

Infatti, anche nel primo trimestre 2020 si è registrata una forte crescita nei consumi nella grande distribuzione organizzata di carni bianche (+8,9%) e di uova (+14,1%), tra i prodotti più acquistati durante il lockdown

Lockdown, macelli e consumo di carne

Allo stesso modo, i dati Istat 2020 segnalano una drastica frenata nelle macellazioni a seguito dell’emergenza sanitaria. Nell’aprile dello scorso anno, gli abbattimenti suini superarono il milione di unità, quest’anno siamo di poco sopra le 800mila. Il calo è dunque del 20,1%. Anche i bovini macellati sono passati dalle 225mila unità dell’aprile dello scorso anno alle 191mila macellate nello stesso periodo del 2020, una contrazione del 15,2%. 

Discorso più complesso per quanto riguarda ovini e caprini, che vivono dei momenti di picco in occasione delle feste, in particolare la Pasqua e il Natale. Lo scorso anno in aprile (per la Pasqua) furono 477mila i capi abbattuti, mentre quest’anno quelli macellati sono stati 406mila. Il risultato è un calo del 14,9%.

Dieta sana o riduzione del potere di acquisto?

Resta da capire se la diminuzione di domanda di carne degli italiani sia legata al tentativo di introdurre una dieta più sana o sia dettata dal fatto che il lockdown ha ridotto le entrate di molte famiglie. Da quello che emerge dal focus sui trend dei consumi alimentari dell’Osservatorio “The World after Lockdown” di Nomisma, il lockdown sembrerebbe aver cambiato le abitudini di consumo degli Italiani.

L’istituto di ricerca indaga in maniera continuativa non solo abitudini e consumi, ma anche stati d’animo e aspettative relative al post-coronavirus su un campione di mille italiani responsabili degli acquisti (18-65 anni).

Firenze, 4 Aprile 2020. Clienti italiani in fila al supermercato per la spesa, durante l’emergenza pandemica da Coronavirus. ©Zummolo/StockPhoto

Dallo studio socio-economoco emerge che la diffusione del coronavirus ha scardinato i consolidati schemi di acquisto degli italiani, favorendo una maggiore sensibilità nei confronti di alcuni valori collegati alle scelte alimentari. Salutismo, ricerca di sicurezza, origine del prodotto e sostenibilità sono alcuni degli elementi che con ancor più enfasi hanno caratterizzato la composizione del carrello alimentare degli italiani. Anche e soprattutto nella spesa per proteine animali.