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Armi leggere, causano il 90% dei morti per conflitti a fuoco

Nel mondo un miliardo di armi leggere, in buona parte in mano ai privati. Nel Mediterraneo tre rotte per i trafficanti che puntano verso l'Africa

Matteo Cavallito
Il settore militare è quello che pesa nettamente di più nelle attività di Leonardo © Skitterphoto/Pixabay
Matteo Cavallito
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Fanno meno paura delle testate nucleari, non hanno la presenza scenica dei tank: ma le armi comuni restano protagoniste del mercato. E uccidono. Dalla fine della seconda guerra mondiale le cosiddette Small Arms and Light Weapons (SALW, armi leggere e di piccolo calibro) sono responsabili del 90% delle vittime dei conflitti. Lo ricorda l’ultima indagine dell’I1stituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (IRIAD). Il mercato, si legge nella ricerca, è in continua crescita, non diversamente, per altro, da quello delle armi pesanti. Ad alimentare la domanda sono soprattutto i privati. Soltanto un terzo delle SALW in circolazione è nelle mani degli Stati.

Un miliardo di esemplari nel mondo

Il mercato, per altro, offre un’ampia gamma di “soluzioni”: dalle armi di piccolo calibro a uso individuale (pistole semi-automatiche, revolver, fucili d’assalto etc.) alle light weapons, come mitragliatori pesanti, lanciagranate, cannoni anti-aereo e anti-carro e così via. Il totale degli esemplari supera quota un miliardo.

Secondo l’ultima indagine del Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra, in particolare, le armi leggere e di piccolo calibro negli arsenali militari sono stimate in 133 milioni di unità, pari al 13% del totale. 23 milioni (2%) sono gli esemplari in dotazione alle forze di polizia, una quota minima rispetto alla massa in mano ai civili, valutata in 857 milioni. È stata proprio quest’ultima categoria a trascinare al rialzo la domanda di mercato: nell’ultimo decennio, l’arsenale dei privati è cresciuto del 32%.

Legittima difesa? «Moltiplicherà i rischi»

Il ruolo dei privati resta insomma al centro dell’attenzione. A maggior ragione in Italia dove, ricorda Archivio Disarmo, si registra un significativo aumento delle licenze per uso sportivo, cresciute del 41,6% tra il 2014 e il 2017. L’approvazione della nuova legge sulla legittima difesa, sostiene ancora l’Istituto, dovrebbe ora tradursi in «una corsa al rilascio del porto d’armi e all’acquisto e detenzione da parte dei cittadini di pistole e fucili». E i motivi di preoccupazione non mancano di certo.

«La legittimazione psicologica fornita dalla nuova legge – dichiara Fabrizio Battistelli, presidente di Archivio Disarmo – determinerà una proliferazione delle armi da fuoco che moltiplicherà l’eventualità di incidenti, di usi involontari e di usi impropri. In definitiva un aumento del rischio».

Export armi: Italia sul podio

Stati Uniti, Italia, Brasile: è questo il terzetto dei maggiori esportatori di armi del Pianeta. Quelli, spiegano i ricercatori, con un fatturato annuo superiore al mezzo miliardo di dollari. Gli USA, precisa la ricerca, dominano sul fronte delle armi di piccolo calibro. Quelle leggere, da parte loro, «arrivano soprattutto da territori in conflitto».

Nel 2018, prosegue l’indagine, la produzione mondiale ha generato ricavi per 90 miliardi di dollari distribuiti tra un migliaio di aziende in oltre 100 Paesi. L’80% circa della produzione «viene trasferito nel mondo con strumenti legali e trasparenti, mentre il restante entra nel mercato illegale». E qui iniziano i veri problemi.

Tutto nasce dal mercato legale

Difficile fare una stima, impossibile avere cifre certe. Ma il quadro è preoccupante. La crescita della produzione di armi, infatti, tenderebbe – pare di intuire – ad alimentare il mercato parallelo che interessa trafficanti e criminali.

«Se il 10-20% del commercio delle SALW è illegale fin dalla sua fabbricazione» si legge infatti nella ricerca, «l’80-90% delle armi viene prodotto e trasferito legalmente, per poi entrare nei circuiti illegali solo in una delle fasi successive del suo ciclo di vita».

Nel 2014, riferisce lo studio, l’Afghanistan ha importato legalmente quasi 475mila armi leggere o di piccolo calibro. Duecentomila circa di queste si sono volatilizzate. Un terzo dei sequestri registrati in Europa è avvenuto lungo i confini occidentali del Continente. Balcani, Medio Oriente ed ex URSS restano le principali aree di origine delle armi illegali.

Nel Mediterraneo allargato tre rotte della morte

L’analisi dell’IRIAD prende in considerazione i traffici illeciti nel cosiddetto Mediterraneo “allargato”, la regione che si estende idealmente ai Balcani, al Maghreb e al Medio Oriente fino al Corno d’Africa. Tre le principali strade percorse dai trafficanti:

  • C’è la rotta balcanica che dall’Ex Jugoslavia conduce le armi fino all’Europa occidentale ma anche all’Africa e al Medio Oriente passando dai Paesi del sud del Continente (Italia compresa).
  • La rotta orientale, che riversa in Africa – e ultimamente anche Europa occidentale – l’immenso deposito dell’ex Patto di Varsavia e dintorni.
  • Infine la rotta infraMENA – Medio Oriente e Nord Africa – che si limita ai mercati regionali e ha il suo perno in Libia.

Nuove frontiere: il traffico online

E poi c’è internet, ovviamente. Il dark web, sostiene l’IRIAD, offre armi usate o più spesso rubate, soprattutto pistole (84% delle vendite online). Nel 2017 il 60% dei venditori operava dagli Stati Uniti, mentre il 25% agiva dall’Europa con Danimarca e Germania in testa alla graduatoria. Le offerte partono spesso dai social network, i pagamenti – manco a dirlo – sono effettuati in criptovaluteUna criptovaluta è una valuta paritaria, decentralizzata e digitale la cui implementazione si basa sui principi della crittografia per convalidare le transazioniApprofondisci, le monete virtuali che garantiscono l’anonimato e che, non a caso, piacciono sempre di più alla criminalità organizzata. Ma questa è notoriamente un’altra storia.