Terre rare, il monitoraggio dei fornitori è ancora insufficiente

Gli azionisti critici hanno chiesto ad una serie di aziende di vigilare sulle catene di approvvigionamento in materia di metalli e terre rare

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Il 15 giugno 2020 Shareholders for Change (SfC) – una rete europea di azionisti attivi creata su iniziativa, tra gli altri, di Fondazione Finanza Etica – scrive a Siemens-Gamesa Renewable Energy (SGRE). Ovvero a uno dei principali produttori di pale eoliche al mondo. Le domande inviate sono sette. L’impresa è finita sotto la lente di SfC nella ricerca sulle terre e i metalli rari perché usa magneti al neodimio nei generatori delle sue turbine. Si tratta di un metallo di colore grigio, del gruppo delle terre rare. Il cui sfruttamento può comportare problemi ambientali e sociali di non poco conto. Gli azionisti attivi vogliono vederci chiaro: state monitorando i vostri fornitori? Quanti ne monitorate? Avete obiettivi per il recupero e il riciclo delle materie prime?

I vari livelli delle catene di approvvigionamento

L’impresa risponde meno di un mese dopo. E spiega che i fornitori sono cinque, hanno sottoscritto un codice di condotta e una serie di requisiti ambientali. Hanno anche superato un processo di valutazione, il CRSA (Corporate Responsibility Self Assessment): un’autocertificazione sulla base di criteri sociali e ambientali. Il monitoraggio si ferma però al primo livello della catena di approvvigionamento, il cosiddetto “Tier 1”. E quindi ai fornitori diretti dell’impresa. Che però, precisa Siemens-Gamesa, sono solo intermediari. Comprano e vendono metalli rari dalle compagnie minerarie che li estraggono (e che costituirebbero il “Tier 2” o 3 o 4, ecc., a seconda della lunghezza della catena). «Stiamo lavorando per estendere i requisiti anche al “Tier 2″», assicura SGRE.

Siemens-Gamesa Renewable Energy (SGRE) è uno dei principali produttori di pale eoliche al mondo © Teka77/iStockPhoto

In effetti, per Siemens-Gamesa è proprio quello il livello della catena di fornitura più esposto, potenzialmente, a rischi di violazioni ambientali o dei diritti umani. È lì che, per esempio, si scava e si generano acque reflue. SGRE aggiunge poi che le capacità di riciclo dei magneti a fine vita sono attualmente in fase di sviluppo a livello globale e ci si aspetta «un tasso di riciclabilità del 90%».

«Grazie agli azionisti attivi, Siemens-Gamesa ha preso coscienza dei rischi»

Le risposte sono lunghe e dettagliate ma non del tutto esaurienti. E la fondazione Ethos di Ginevra, che all’interno di SfC è responsabile dell’engagement con Siemens-Gamesa, invia un’altra serie di domande. Vuole sapere se i nomi dei cinque fornitori siano pubblicamente disponibili, se siano monitorati con visite sul posto, anche senza preavviso, e quando ci si aspetta che il tasso di riciclo del 90% venga raggiunto. La società chiede tempo per rispondere, almeno fino alla fine di gennaio 2021 ma nel frattempo, a dicembre, esce il nuovo rapporto di sostenibilità, dove per la prima volta si citano le terre rare, considerate «ad alto rischio dal punto di vista della sostenibilità» e SGRE si impegna formalmente a «ridurre o eliminare l’uso di terre rare pesanti come il disprosio e il terbio, per migliorare la sostenibilità economica, ambientale e sociale dei prodotti».

«È un primo, importante passo avanti», spiega a Valori.it Matthias Narr, responsabile engagement internazionale di Ethos. «Grazie alla pressione degli azionisti attivi, la società ha preso coscienza di un rischio ambientale e sociale che prima non aveva considerato prioritario. Ora però dovrà agire per migliorare i suoi processi interni ed essere più trasparente verso gli azionisti».

Il caso (positivo) di BMW

Un altro caso di engagement che sta dando buoni risultati riguarda il colosso automobilistico bavarese BMW. Segnalata nella ricerca di SfC perché utilizza metalli rari, come cobalto e litio, nelle batterie delle auto elettriche che produce, l’azienda è stata contattata dalla banca cattolica tedesca Bank für Kirche und Caritas (BKC) e da Ecofi, altri due tra i soci fondatori di SfC. «Nel corso del 2020 abbiamo scambiato una serie di mail con l’impresa. E ci siamo confrontati con alcuni manager nel corso di una videoconferenza», spiega Tommy Piemonte responsabile della ricerca sugli investimenti sostenibili di BKC. «In particolare abbiamo fatto domande sui criteri di sostenibilità applicati ai fornitori di metalli rari. Soprattutto per quanto riguarda il Congo (RDC), da dove proviene buona parte del cobalto utilizzato dall’industria a livello internazionale».

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Anche BMW ha specificato che utilizza fornitori “indiretti” di metalli rari (Tier 1). E che, per ora, non effettua un monitoraggio di chi effettivamente estrae i materiali (Tier 2). In ogni caso, i fornitori dell’impresa (Tier 1) «devono sviluppare processi per applicare i requisiti di sostenibilità richiesti da BMW alla loro catena di approvvigionamento», indica la casa automobilistica. E se la società dovesse accorgersi di violazioni in qualche anello della catena (Tier 1 e 2 o, come si dice in termini tecnici, “Tier-N”, se ci sono altri livelli sotto il 2) si attiva nei confronti dei propri fornitori primari (Tier 1). E chiede loro esplicitamente di attivarsi con i subfornitori, se necessario».

BMW si è mostrata aperta al dialogo con gli azionisti critici

Sul Congo la posizione di BMW è molto netta: gli approvvigionamenti dal Paese africano sono cessati a causa degli elevati rischi ESG (ambientali, sociali e di governance). Si preferiscono oggi l’Australia e il Marocco, considerati meno rischiosi. Anche se l’impresa continua ad essere impegnata nel progetto “Cobalt for Development” lanciato assieme al gigante della chimica tedesco BASF e alla multinazionale coreana dell’elettronica Samsung. Obiettivo: «Migliorare le condizioni di lavoro e di vita nelle miniere di cobalto artigianali del Congo e nelle comunità
circostanti».

«In generale siamo soddisfatti dell’engagement con BMW, l’impresa ha risposto a tutte le domande ed è aperta al dialogo con gli investitori e le ONG», spiega Cesare Vitali, responsabile ricerca ESG di Ecofi, società di investimenti che ha sede a Parigi. «Su alcuni punti, però, serve un maggiore impegno. È vero che sono effettuate verifiche sui fornitori ma, al momento, non sono resi disponibili dati sui casi di non conformità rilevati. Né i motivi per cui sono stati considerati a rischio».

E infine, come nel caso di Siemens-Gamesa, manca ancora un monitoraggio “Tier-N”, che si spinga fino all’ultimo anello della catena di fornitura. BMW si è impegnata a colmare questa lacuna. E SfC le chiede di «agire al più presto e rendere disponibili maggiori informazioni».

La spagnola Iberdrola non ha ancora risposto alle domande sulle terre rare

Altri progetti di engagement che sono andati a buon fine o stanno continuando con un fitto scambio di informazioni e richieste tra azionisti e imprese sono Vestas (pale eoliche) e Johnson Matthey (chimica). Entrambe le iniziative sono guidate da Etica Sgr mentre l’engagement su Umicore è coordinato da Forma Futura, società di investimenti con sede a Zurigo. Dietro la lavagna, per ora, c’è solo la società energetica spagnola Iberdrola. A un anno di distanza non ha ancora risposto alle domande di Fundacion Finanzas Eticas, socio spagnolo di SfC.

L’engagement di SfC sui metalli e le terre rare si concluderà nel giugno del 2021 con la pubblicazione di un rapporto. Il documento includerà tutti i risultati del dialogo con le imprese. Ma dopo giugno si andrà avanti. «Finora abbiamo chiesto solo maggiore trasparenza ma la pubblicazione di dati aggiuntivi è solo il primo passo», conclude Tommy Piemonte. «Da giugno chiederemo alle imprese di agire su obiettivi concreti, per esempio fornendoci precise scadenze temporali sull’estensione dei monitoraggi a tutta la catena di approvvigionamento. Su questi obiettivi misureremo le società e agiremo di conseguenza. Come investitori e azionisti attivi».