Big Pharma ha una medicina contro la fibrosi cistica. Ma solo per i Paesi ricchi

C'è un farmaco che migliora la qualità della vita dei malati di fibrosi cistica. Ma i Paesi in via di sviluppo sono tagliati fuori

L'accesso ai farmaci è ancora fortemente diseguale nel mondo © Phatthaya Awisu/iStockphoto

La fibrosi cistica è la malattia genetica grave più diffusa. Un gene alterato determina la produzione di un muco troppo denso che chiude i bronchi e ostruisce il pancreas, ostacolando la digestione e l’assimilazione del cibo e compromettendo la funzione polmonare. L’aspettativa di vita può variare, ma in media è di circa quarant’anni. Esiste un farmaco capace di incrementarla in modo significativo, migliorando la qualità della vita fin dai primi giorni di trattamento. Si chiama Trikafta ed è stato prodotto da Vertex, una casa farmaceutica con sede a Boston. Ma è riservato a chi vive negli Stati Uniti, nell’Unione europea e in Australia. Per scelta.

Trikafta, un farmaco potenzialmente rivoluzionario

Il New York Times ricostruisce la vicenda, molto dibattuta tra i malati di fibrosi cistica e le loro famiglie. Trikafta è uno dei farmaci più efficaci, ma è anche molto costoso. Va preso tre volte al giorno, a un prezzo di listino pari a 322mila dollari all’anno negli Stati Uniti. Dalla sua approvazione nel 2019, Vertex ha incassato più di 17 miliardi di dollari. Eppure, uno studio scientifico dimostra che lo stesso principio attivo potrebbe essere prodotto a un costo di 5.676 dollari all’anno. Se così fosse, si potrebbero curare tutti i malati idonei a un costo di 489 milioni di dollari. Contro i 13 miliardi necessari all’attuale prezzo di listino.

Anche ipotizzando di poterselo permettere, un paziente indiano o sudafricano non è comunque autorizzato a procurarsi questo farmaco. Perché, in questi e altri Paesi a basso reddito, Vertex non l’ha reso disponibile. È una situazione piuttosto diffusa, al di là di questo specifico caso. In linea puramente teorica, infatti, per una casa farmaceutica allargare il mercato equivale a incrementare anche i propri introiti. Nei fatti, però, ciò impone anche di abbassare i prezzi, com’è stato fatto a partire dai primi anni Duemila con le cure per l’HIV nell’Africa subsahariana. Molte però non sembrano disposte a intraprendere questa strada.

Insorgono i malati di fibrosi cistica e le loro famiglie

Così, Vertex ha messo in vendita Trikafta soltanto in Europa, Nord America e Australia. Non ha dato a un partner l’incarico di fabbricarlo nei Paesi in via di sviluppo, previo pagamento di una royalty. E ha anche impedito ai potenziali competitor di ottenere brevetti per farmaci generici. Attraverso una portavoce, l’azienda ha precisato al New York Times di aver avviato un programma di donazioni rivolto ai Paesi a basso reddito. E di aver garantito, in alcuni di essi, l’accesso ad almeno uno dei suoi farmaci per la fibrosi cistica. Senza però precisare se si tratti o meno di Trikafta.

Sostiene anche di aver accordato l’uso compassionevole di alcuni suoi medicinali a circa 6.500 pazienti: ciò significa fornirli gratuitamente a pazienti in pericolo di vita, anche laddove non sono autorizzati, in assenza di alternative valide. Anche in questo caso non fornisce ulteriori dettagli.

I pazienti e le loro famiglie hanno lanciato una campagna internazionale, dal nome eloquente di Vertex Save Us, e una petizione su Change.org a quota quasi 240mila firme. In quattro Paesi – India, Ucraina, Sudafrica e Brasile – si sono attivati anche a livello legale. La richiesta che fanno ai governi è semplice: fare ricorso alla cosiddetta licenza obbligatoria, cioè obbligare chi possiede un brevetto a concederne l’uso allo Stato o ad altri. Questo per permettere l’importazione, o la produzione in loco, di una versione generica – e quindi a basso costo – di Trikafta.

«Dicono che sia un farmaco miracoloso, ma non è un miracolo se non è disponibile per chiunque ne abbia bisogno», sostiene Shwetha Sree, indiana. Suo figlio ha cinque anni, si chiama Vihaan ed è malato di fibrosi cistica. Se vivesse negli Usa, a partire dal suo sesto compleanno avrebbe diritto a questa cura. Ma per ora non è così.