Giustizia sociale, clima, diritti: il Cile riscrive la Costituzione. E potrebbe indicarci la via

Dalla crisi climatica alle risorse naturali, fino all'equità: la nuova Costituzione del Cile potrebbe rappresentare un esempio per il mondo

Il Cile si doterà di una nuova Costituzione © Cristina Dorador/Wikimedia Commons

Ci sono rari momenti in cui si ha l’opportunità di cambiare la storia. Il Cile ne sta vivendo uno. Nello scorso mese di luglio sono iniziati i lavori della Convenzione costituzionale, formata da 155 cittadini eletti che hanno nove mesi di tempo (prorogabili) per scrivere da zero una nuova Costituzione. Mandando definitivamente in pensione quella redatta durante il buio periodo di Augusto Pinochet.

Come si è arrivati a una nuova Costituzione per il Cile

Un paese spaccato a metà dalle disuguaglianze

A guardare i suoi fondamentali macroeconomici, per due decenni il Cile ha brillato rispetto ai suoi vicini di casa, tanto da far parlare di una sorta di miracolo. Nell’arco di vent’anni esatti, tra il 1998 e il 2018, il suo PIL pro capite è passato da poco meno di 5.500 dollari al massimo storico di quasi 15.600. Nel 2000 il 26% della popolazione si manteneva con meno di 4 dollari al giorno; nel 2015 tale percentuale era scesa al 7,9%.

Ma numeri del genere, come spesso accade, non spiegano tutto. Non riflettono, per esempio, il profondissimo divario tra ricchi e poveri. Il 20% più povero delle famiglie si deve accontentare del 5,1% del reddito totale. Il coefficiente di Gini, espresso su scala che va da un minimo di 0 (perfetta equità) a un massimo di 100, è pari a 46; il valore medio nelle economie avanzate è 30,3.

Dall’autunno caldo del 2019 al referendum

Il mondo è stato costretto ad accorgersene nell’autunno del 2019, quando un aumento di pochi centesimi del prezzo del biglietto della metropolitana è stato la miccia che ha fatto esplodere le proteste di piazza, ben presto divenute massive e violente. E represse con ancora una violenza ancora maggiore dalla polizia. A tal punto da rendere inevitabile lo spostamento dalla Cop25, la Conferenza della parti sul clima, dall’altra parte dell’Oceano: non più a Santiago bensì a Madrid.

Le proteste in Cile nell’autunno 2019 © Carlos Figueroa/ Wikimedia Commons

Al termine di un mese convulso, concluso il tragico bilancio di una ventina di morti, il presidente Sebastián Piñera era travolto dalle polemiche. E ha dovuto dare un segnale forte, avviando l’iter per modificare la Costituzione. Dopo diversi rinvii a causa della pandemia, il 25 ottobre 2020 si è tenuto un referendum che si è concluso con un verdetto chiarissimo: il 78,3% dei votanti ha approvato la proposta di redigere una nuova Costituzione, il 79% ha voluto che il compito fosse affidato a un’assemblea eletta.

Il Cile volta pagina

Da chi è composta la Costituente cilena

A maggio 2021, dunque, è stato il momento di eleggere la Convenzione costituzionale. Visto che il partito del conservatore Sebastián Piñera si è dovuto accontentare di appena 37 seggi, l’orientamento politico dell’assemblea vira decisamente a sinistra. Non tanto la sinistra moderata di democristiani, socialisti e socialdemocratici, fermatasi a 25 deludenti seggi, quanto piuttosto quella degli indipendenti e dei movimenti nati in seguito alle proteste dell’autunno precedente, vincitori indiscussi della tornata elettorale.

Le normative hanno fatto sì che la composizione della Costituente fosse pienamente paritetica: 78 uomini e 77 donne. L’età media è di 45 anni; ad aggiudicarsi il titolo di più giovane in assoluto è Valentina Miranda, comunista e attivista LGBT+ classe 2000. Tra gli indipendenti c’è anche Giovanna Grandón, meglio nota come Tía Pikachu per via dell’appariscente costume da Pokémon che indossava durante le manifestazioni antigovernative.

I popoli indigeni entrano di diritto nella Costituente

Per capire quanto sia profonda la cesura che si può creare rispetto al passato, basta un nome. Quello di Elisa Loncon, eletta presidente con 95 voti su 155. Donna, docente di lingue all’università di Santiago, indigena di etnia Mapuche. Tutto questo in un Paese che, finora, è stato l’unico in tutta l’America latina a non riconoscere formalmente i diritti dei popoli indigeni nella legge fondamentale dello Stato. Al contrario, i seggi riservati ai popoli indigeni sono ben 17.

Secondo Loncon, la Costituzione ereditata da Pinochet è «autoritaria» e «ha costruito e legittimato un modello sociale e politico segregante e antidemocratico, basato su un approccio neoliberista che oggi i popoli del Cile intendono superare».

La svolta a sinistra del Cile

L’era di Sebastián Piñera, dunque, si avvia al tramonto. A dicembre 2021 è stato di nuovo tempo di elezioni in Cile, stavolta per il rinnovo del Parlamento e la scelta del nuovo presidente. Al ballottaggio si sono scontrati due candidati che non potevano essere più diversi. E che sarebbero apparsi impensabili prima dell’autunno caldo del 2019.

Da un lato José Antonio Kast, di estrema destra, cattolico fervente e tradizionalista, ultraliberale, che ha fatto della lotta all’immigrazione e alla criminalità la sua bandiera. Un politico dichiaratamente nostalgico di Pinochet, tanto da proporre di gettare alle ortiche l’iter di riforma della Costituzione e mantenere quella ereditata dal regime. Dall’altro lato il trentacinquenne Gabriel Boric, leader di una coalizione di sinistra, vicino ai diritti delle donne e della comunità LGBT+ e fautore di un intervento più deciso dello Stato, soprattutto in tema di welfare.

Dopo un primo turno apertissimo, che ha visto Kast in testa di due punti percentuali (27,9% contro il 25,8% di Boric), il ballottaggio si è chiuso con uno schiacciante 55,8% delle preferenze per Boric.

Qual è la posta in gioco in Cile

Estrazione del litio

Il Cile ha un peso nello scacchiere internazionale non soltanto per la sua storia, ma anche perché è un Paese ricco di risorse. Una in particolare, il litio. Un minerale indispensabile per realizzare le batterie delle auto elettriche, a tal punto da essere ribattezzato come l’oro bianco della transizione energetica.

La Cochilco (Commissione Cilena per il Rame) prevede per il 2030 una domanda globale di 1,79 milioni di tonnellate l’anno, più del quadruplo rispetto alle attuali 429mila tonnellate. Il Salar de Atacama, il lago salino nel bel mezzo del deserto più arido del mondo, da solo conterrebbe circa il 40% delle riserve planetarie. Un patrimonio custodito da un ecosistema fragilissimo.

Il deserto di Atacama in Cile © Chris Hunkeler/Wikimedia Commons

In scadenza di mandato Sebastián Piñera ha lanciato una gara d’appalto, assegnando altre quote da 80mila tonnellate di litio rispettivamente alla società mineraria cinese Byd Chile e alla cilena Operaciones mineras del Norte. Tutto questo ignorando il parere dei popoli indigeni residenti nell’area, le proteste degli ambientalisti e gli appelli dell’opposizione (compreso il suo successore Boric che avrebbe preferito gestire la questione in prima persona).

«Partendo dal presupposto per cui l’attività umana comporta dei danni, quanti danni vogliamo causare?», afferma Cristina Dorador Ortiz, professoressa di Microbiologia presso l’università di Antofagasta. Una domanda a cui dovrà cercare una risposta lei stessa, visto che fa parte della squadra impegnata a redigere la nuova Costituzione.

Per ora si ventilano due ipotesi, aumentare le royalties per le compagnie e coinvolgere maggiormente i residenti della zona nell’iter di autorizzazione. Com’è facile immaginare, entrambe non sono viste di buon occhio dall’industria mineraria.

Gestione delle risorse idriche

La tecnica di estrazione adottata dai due colossi minerari già attivi nella zona, SQM e Albemarle, prevede di perforare le saline e pompare in superficie l’acqua salata di litio, da raccogliere poi mediante l’evaporazione, facilitata dalla più alta irradiazione solare del mondo. Il procedimento dura mesi interi durante i quali la superficie diventa verde, spiega Cristina Dorador Ortiz. Apparentemente sembra un metodo meno invasivo rispetto ad altri, ma in realtà «l’acqua che evapora è qui da milioni di anni. Nel Salar di Atacama già si percepisce l’impatto sulla vegetazione, sulla temperatura del suolo, sull’aridità e sulla biodiversità. Le piccole comunità indigene rischiano di rimanere senz’acqua».

Ecco un’altra questione chiave sulla quale si dovrà esprimere l’assemblea costituente: il riconoscimento dell’acqua come bene comune. Ancora prima, sottolinea il New York Times, dovrà mettere nero su bianco cosa si intende esattamente per «acqua». Le lagune di acqua salmastra nel deserto di Atacama rientrano in questa definizione? Le compagnie minerarie sostengono di no, perché sono inadatte al consumo umano e animale. E pertanto chiedono che siano soggette a regole meno severe.

Cambiamenti climatici

Quella cilena sarà la prima Costituzione ad affrontare apertamente la più grande sfida della nostra epoca: i cambiamenti climatici. È un impegno ben preciso che i membri dell’assemblea si sono assunti dichiarando l’emergenza climatica e ambientale. Promettendo così di «procedere su questa strada della nuova Costituzione senza voltare le spalle alla terra, alla natura, agli esseri che la abitano, perché essi vivono anche in noi», ha commentato la presidente della Convenzione Costituzionale Elisa Loncon. «È molto importante che ciò che scriveremo sia basato sulla madre Terra».

Altrettanto eloquente la scelta di Gabriel Boric di affidare il ministero dell’Ambiente a Maisa Rojas. Non una politica, bensì una climatologa che ha all’attivo un dottorato a Oxford, insegna alla Universidad de Chile e dirige il Centro de Ciencia del Clima y la Resiliencia. C’è anche lei tra gli autori e le autrici dell’allarmante report pubblicato nell’estate del 2021 dal Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC).

Di questioni da dirimere, d’altra parte, ce ne sono a bizzeffe. Stando all’analisi del Climate Action Tracker, l’amministrazione cilena negli ultimi anni ha già fatto scelte coraggiose in materia di clima. Come la legge sull’efficienza energetica, lo spegnimento di undici centrali a carbone entro il 2024, la strategia di riduzione delle emissioni predisposta consultando cittadini ed esperti e presentata formalmente alla Cop26 di Glasgow.

Il Cile, ora, può guardare al futuro e tentare di diventare un esempio. E chissà che da Santiago non possa accendersi una miccia capace di contagiare il mondo intero.