Country-by-country reporting: l’Europa firma un accordo al ribasso

L'Europa ha raggiunto un accordo sulla direttiva sul country-by-country reporting. Mancato l'obiettivo di garantire trasparenza fiscale

© AndreyPopov/iStockPhoto

Nella serata di martedì 1 giugno Commissione europea, Consiglio e Parlamento hanno raggiunto un accordo sulla proposta di direttiva sulla rendicontazione pubblica Paese per Paese. Un accordo che Oxfam e altre organizzazioni della società civile giudicano «un passo in avanti. Ma non ancora sufficiente per poter parlare di una vera trasparenza fiscale per le mega-corporation».

Ci si aspettavano obblighi molto più stringenti per le aziende

Il country-by-country reporting  (CBCR), come originariamente concepito, avrebbe imposto l’obbligo di pubblicazione di alcuni dati societari. Il fatturato, gli utili o le perdite realizzati, le imposte versate, il numero di dipendenti e così via. Fornendo queste informazioni in maniera disaggregata per ciascun Paese in cui la multinazionale opera. Una rendicontazione di questo tipo avrebbe permesso di identificare casi di sospetta elusione fiscale. Come succede quando enormi profitti vengono spostati in giurisdizioni a fiscalità privilegiata. Approfittando della presenza di società del gruppo che hanno però una modesta attività economico-finanziaria e un ridotto impiego di forza lavoro.

La Commissione europea aveva presentato la propria proposta di direttiva nell’aprile del 2016. Erano i tempi in cui l’opinione pubblica del continente si indignava a causa dello scandalo LuxLeaks. Il Parlamento ha proposto alcuni emendamenti a luglio 2017 e il Consiglio europeo ha raggiunto una propria posizione comune sulla proposta di direttiva a inizio marzo 2021.

Non passa la linea più ambiziosa sul country-by-country reporting

L’accordo è il risultato di un compromesso. Da una parte la posizione più ambiziosa del Parlamento. Dall’altra quella, estremamente conservativa, del Consiglio europeo. Nella versione definitiva, la disaggregazione dei dati non vale per tutti i Paesi. Solo gli Stati membri e i Paesi extra-Ue inseriti per almeno due anni consecutivi nelle liste nera e grigia dei paradisi fiscali dell’Unione sono mantenuti. Liste deboli e considerate insufficienti da parte delle organizzazioni che si battono per la giustizia fiscale. E che escluderebbero dall’obbligo di rendicontazione oltre tre quarti dei Paesi del mondo. Senza contare che nessuno dei dei 15 paradisi fiscali al vertice della classifica Oxfam figura in queste liste.

«L’accordo raggiunto – sottolinea Misha Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia – prevede, inoltre, la possibilità di omettere dalle rendicontazioni informazioni societarie relative a una o più giurisdizioni fiscali». In nome della tutela del segreto commerciale.

«Piuttosto deludente è apparsa la cautela nel posizionamento del governo italiano – prosegue Maslennikov -. Quest’ultimo non ha avallato, a differenza di altri Paesi dell’Unione, le istanze migliorative avanzate dalle organizzazioni impegnate nella promozione della giustizia fiscale. E delle migliaia di cittadini italiani ed europei che hanno espresso inequivocabile supporto a un CBCR degno di tale nome».