Aumentano i debiti (e i default) dei Paesi emergenti. Il ruolo della Cina

Pandemia, guerra e inflazione hanno fatto aumentare il debito e i default dei Paesi emergenti. E la Cina gioca un ruolo importante

Il Libano è uno dei Paesi attualmente in default © Erich Karnberger/iStockphoto

I default (parziali o totali) dei debiti sovrani negli ultimi tre anni sono stati più di quelli dei precedenti venti. Soprattutto tra i Paesi emergenti. Ma in generale è il livello del debito a livello globale ad essere aumentato. La causa? Prima la pandemia, poi l’invasione dell’Ucraina. E, infine, l’aumento dei tassi americani, il più rapido degli ultimi 40 anni.

Si moltiplicano i default, soprattutto tra i Paesi emergenti

Secondo quanto riporta l’agenzia di rating Fitch, dal 2020 ad oggi si sono verificati ben 14 default distribuiti tra nove Paesi diversi. Un aumento più che marcato se si pensa che dal 2000 al 2019 i default sono stati solamente 19 in 13 Paesi.

Come le altre agenzie, Fitch attribuisce agli Stati un rating (in questo caso da AAA a D), cioè un punteggio in base alla probabilità di insolvenza e dunque alla rischiosità del loro debito. Quelli attualmente in default sono ben cinque: Bielorussia, Libano, Ghana, Sri Lanka e Zambia. Oltre al loro rating, l’agenzia ne ha abbassati anche altri. Ben otto Stati sono scesi sotto la soglia di CCC, a partire dalla quale «il default diviene una possibilità concreta». Questi Paesi sono: Argentina, El Salvador, Ucraina, Etiopia, Pakistan, Repubblica del Congo, Mozambico, Tunisia. Altri nove quelli scesi alla soglia appena sopra.

Il livello del debito aumenta in tutto il mondo

Ma ad aumentare è l’indebitamento a livello globale. Basti pensare che il rapporto debito su pil mediano degli Stati a cui Fitch attribuisce un rating è passato dal 31% del 2008 al 48% già prima della pandemia. Tra le tante ragioni, anche l’aumento dei prestiti concessi dalla Cina. Oltre agli shock dovuti alla pandemia, alla guerra e all’inflazione. Ma un ruolo importante lo ha avuto anche l’aumento dei tassi portato avanti dalle banche centrali per contrastare l’aumento dei prezzi. A causa di queste politiche monetarie restrittive, rifinanziare il debito in scadenza ed emetterne di nuovo è diventato via via sempre più caro. E con l’aumento del costo del servizio del debito (ovvero, appunto, degli interessi da pagare ai creditori) per alcuni Paesi non è rimasto altro che il fallimento.

Inoltre, è aumentato anche il tempo necessario per risolvere i default. La durata mediana è oggi 107 giorni. Mentre per i default del ventennio pre-pandemia era di 35 giorni. Con un conseguente aumento dei costi sia per i debitori che per i creditori, senza beneficio alcuno.

La Cina fa incetta di debiti sovrani

Nel corso degli anni la Cina è diventata un investitore e un creditore sempre più importante per i Paesi emergenti. Un ruolo fondamentale lo ha avuto la Belt and Road Iniziative, ovvero la Nuova Via della Seta. Un progetto faraonico di opere pubbliche finanziate dalla Cina in tutto il mondo per più di 2mila miliardi di dollari tra il 2005 e il 2022.

Spesso la Cina si è trovata a rifinanziare alcuni progetti e a venire in soccorso di alcuni Stati che non riuscivano a sostenere il peso del debito. E così, dal 2008 al 2021, avrebbe aiutato ben 22 stati coinvolti nella Nuova Via della Seta con 240 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali concentrati dal 2016 in poi. Solamente tra il 2019 e il 2021, sono più di 100 miliardi i dollari concessi in prestiti d’emergenza a Paesi in via di sviluppo. Una cifra che la pone quasi sullo stesso livello del Fondo monetario internazionale (Fmi). Che nel 2021 ha concesso 68 miliardi di prestiti contro i 40,5 del dragone. La differenza? Nei tassi applicati. Che nel caso dei prestiti cinesi sono il doppio di quelli applicati dal Fmi.

nuova via della seta
L’autostrada Vientiane-Boten è una delle tante infrastrutture finanziate dalla Cina nell’ambito della Nuova Via della Seta © Mapillary/Wikimedia commons

Ristrutturazione del debito: il G20 ci prova ma la Cina frena

Data la grave situazione in cui versavano alcuni Paesi, nel 2020 le maggiori economie globali raccolte nel G20 erano riuscite ad accordarsi su un’iniziativa per la ristrutturazione dei debiti dei Paesi a basso reddito, il Common Framework. L’intento era quello di far sedere tutti i principali creditori allo stesso tavolo e trovare una soluzione di comune accordo. Insomma, doveva servire per facilitare la coordinazione tra i vari creditori ed evitare ristrutturazioni unilaterali che, spesso, avvenivano a condizioni inique per il debitore.  

Purtroppo, questo programma non sta riuscendo nel proprio intento. E una delle ragioni principali è proprio la Cina, il principale creditore governativo delle economie emergenti (ad esempio, detiene circa il 17% del debito degli Stati dell’Africa subsahariana). Ecco, il gigante asiatico sembra non aver interesse in ristrutturazioni sostanziali. Continuando a preferire un semplice allungamento delle scadenze del debito e non, piuttosto, una svalutazione o addirittura una vera e propria cancellazione.