Depressione e ansia: in Europa si cura solo chi può permetterselo

Lunghe liste di attesa, ticket o risorse limitate spingono i pazienti verso il privato. Ma in quanti se lo possono permettere?

Eva Belmonte, David Cabo, Miguel Ángel Gavilanes, Olalla Tuñas
Depressione e ansia si possono curare attraverso il sistema sanitario nazionale? In tanti Paesi europei il servizio pubblico è purtroppo inadeguato, se non addirittura inesistente © Bulat Silvia/iStockPhoto
Eva Belmonte, David Cabo, Miguel Ángel Gavilanes, Olalla Tuñas
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«La salute mentale è come il dentista. Nella maggior parte dei Paesi dell’Unione europea, tutto quello che ha a che fare con un problema fisico è oggetto della sanità pubblica. Ma per andare dal dentista bisogna pagare un extra: lo stesso vale per la cura della salute mentale», dice Marcin Rodzinka, portavoce di Mental Health Europe.

Depressione e ansia sono le patologie legate alla salute mentale più comuni diagnosticate nell’Unione europea. A quattro persone su cento è stata diagnosticata depressione, a cinque su cento ansia. «Queste patologie non dovrebbero essere sottovalutate, come invece spesso accade», dice Javier Prado, portavoce dell’Associazione Nazionale spagnola degli Psicologi Clinici e Specializzati (ANPIR). «Se non sono curate in tempo e nel modo giusto, finiscono per generare una disabilità molto significativa».

I sistemi sanitari pubblici non sempre offrono cure per ansia e depressione

Eppure, i sistemi sanitari pubblici nazionali non sempre offrono cure per il trattamento di questi problemi. Nonostante il fatto che in alcuni Paesi dell’Ue, come Portogallo, Paesi Bassi o Irlanda, i disturbi legati all’ansia superino i sette casi ogni cento persone. La Grecia è il Paese con la più alta incidenza di depressione, seguita da Spagna e Portogallo. Nel Zapico, presidente della Confederazione Spagnola per la Salute Mentale, spiega la gravità di tassi così alti, specialmente per quanto riguarda il numero di persone affette da depressione: «È un flagello, perché spesso porta con sé conseguenze drammatiche e ha una forte correlazione con il suicidio».

Tuttavia, questi dati sono incompleti. Non tutte le persone che hanno bisogno di un trattamento per l’ansia o la depressione lo ricevono o ricevono una diagnosi. Questo divario nelle cure può essere dovuto a molti fattori ed è maggiore nell’Europa orientale.

Depressione e ansia non vengono diagnosticate, così si mantiene bassa l’incidenza

«Nel caso della Polonia, i dati mostrano un numero molto limitato di persone con problemi di salute mentale. Ma questo è dovuto al fatto che la maggioranza non viene visitata e, di conseguenza, non è effettuata una diagnosi. Non è che non esistano persone con problemi di salute mentale, ma il pregiudizio impedisce l’accesso al trattamento», afferma Rodzinka. Polonia e in Romania registrano la più bassa incidenza di ansia e depressione in tutta Europa.

«Il pregiudizio è legato all’idea che i problemi di salute mentale siano qualcosa di oscuro, legato alla psichiatria. L’idea di un pazzo che sente le voci. Ma questo non fa altro che confondere e nascondere problemi più comuni», dice Prado. Infatti, secondo uno studio del 2013 finanziato dalla Commissione europea, proprio il pregiudizio è il principale ostacolo alla cura dei disturbi mentali.

«Ci si vergogna molto, si ha paura all’idea di andare da uno psichiatra. In Romania nessuno ne parla apertamente, quindi nessuno sa cosa aspettarsi da una seduta dallo psichiatra. Penso che la maggior parte delle persone abbia un’immagine negativa perché nessuno vuole essere etichettato come pazzo. Tuttavia, credo che l’idea di andare in terapia sia sempre più accettata nel mio Paese», sostiene “Maria”, che segue una terapia in Romania e preferisce non rivelare il suo vero nome.

Gli ostacoli alla ricerca di cure per depressione e ansia

Tuttavia, anche quando le persone superano i pregiudizi, altri ostacoli possono impedire loro di ricevere cure gratuitamente e nel più breve tempo possibile. Questi possono impedire a persone con problemi di salute mentale comuni – ma gravi – di accedere a diagnosi e trattamenti adeguati.

Un numero elevato di persone con sintomi depressivi non cerca un trattamento perché crede che questo non funzionerà, che non ci sia soluzione o che i sintomi siano normali dopo un evento di vita traumatico. Secondo un rapporto del 2017 finanziato dalla Commissione europea, altri consultano un medico per sintomi fisici come l’insonnia o la stanchezza e assumono farmaci per questi disturbi ma non seguono un trattamento psicologico sufficiente per individuare l’origine del problema. Inoltre, un’analisi del 2016 mostra come «l’accesso alle cure di salute mentale può essere insoddisfacente anche nei Paesi ad alto reddito con copertura sanitaria universale e sistemi di assistenza ben sviluppati».

Tuttavia, nessuno di questi numeri riporta il totale delle persone che soffrono di disturbi mentali non diagnosticati. E mentre la maggior parte dei sistemi sanitari pubblici dei Paesi europei sostiene di fornire accesso alle cure, nella pratica molti non riescono a raggiungere gli utenti.

«Ad essere onesti, non so nemmeno se la sanità pubblica si occupi di psicoterapia in Romania. Sono andata direttamente da un privato raccomandatomi da un amico», afferma Maria.

Non tutti i Paesi dell’Unione europea garantiscono l’accesso a uno psicologo attraverso il sistema sanitario nazionale

Bulgaria e Lettonia si occupano solo di psichiatria, per esempio. Nemmeno la Francia include gli psicologi nel suo sistema sanitario, anche se nel 2018 ha iniziato un programma pilota in alcune regioni. Il Lussemburgo sta ora negoziando l’ingresso degli psicologi all’interno del sistema sanitario. 

Anche i Paesi che sulla carta garantiscono l’accesso pubblico alla psicoterapia presentano delle lacune. Ad esempio, nei Paesi in cui l’assistenza sanitaria opera attraverso le società di mutua assicurazione ci sono gruppi di persone non assicurate che non hanno accesso a nessun tipo di copertura sanitaria. In Estonia molti cittadini sono privi – almeno parzialmente – di assicurazione sanitaria. Sia in Romania che in Slovenia, secondo uno studio del 2020 sulle politiche sanitarie, la maggior parte delle popolazioni rom o chi non ha fissa dimora non dispone di un’assicurazione sanitaria e, di conseguenza, nemmeno di assistenza sanitaria mentale.

In altri casi, come ad esempio nei Paesi Bassi, le compagnie di assicurazione danno la priorità ai problemi minori e più facili da trattare rispetto ai disturbi più gravi. Indipendentemente dal modello di assistenza sanitaria, gli stessi ostacoli si presentano in ogni Paese dell’Ue che dispone di copertura psicologica pubblica. «Ci sono tre problemi principali: i pregiudizi, i tempi di attesa e in alcuni casi le tariffe», dice Rodzinka. La maggior parte dei Paesi europei che permettono l’accesso pubblico alla psicologia limitano il numero di sedute e dispongono di risorse umane e finanziarie insufficienti.

Le lunghe liste d’attesa sono uno dei problemi principali

«I servizi di salute mentale devono essere agili, accessibili e veloci. Quando una persona cerca aiuto perché è malata, ha bisogno di una risposta il più rapidamente possibile», sostiene Marta Poll, psicologa e direttrice della Federazione catalana di Salute Mentale. Le lunghe liste d’attesa continuano ad essere uno dei problemi principali nei Paesi in cui sono disponibili psicologi finanziati dallo Stato. In almeno sette Paesi dell’Ue, i pazienti devono aspettare più di un mese per un appuntamento con uno psicologo.

«Quando una persona si trova in uno stato di bisogno o in uno stato di emergenza dev’esserci un modo per offrire una risposta rapida, perché alcuni casi, come quelli relativi alla depressione, possono sfociare in suicidio. E in altri casi, problemi prevenibili possono diventare cronici», afferma il presidente della Confederazione spagnola per la salute mentale

Una possibile soluzione

Una soluzione può essere quella di imporre dei massimali di attesa, come accade, per esempio, nel Regno Unito e in Germania. In Germania, se il tempo di attesa supera un limite, le persone possono ottenere rimborsi e utilizzarli per il trattamento da uno psicologo privato. Ma ogni legge ha una lacuna: da un’inchiesta della BBC è emerso che il Regno Unito applicava i rimborsi solo al primo appuntamento con lo specialista. I tempi di attesa superavano il limite per gli appuntamenti successivi.

In Italia, al contrario, il Friuli-Venezia Giulia ha optato per un sistema a porte aperte, dove chiunque può accedere direttamente alle cure senza appuntamento, racconta Roberto Mezzina, psichiatra ed ex direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste.

In almeno nove Paesi dell’Ue, le persone devono pagare spese aggiuntive per essere assistiti da uno psicologo del sistema sanitario pubblico. Il prezzo varia tra Paesi e anche tra regioni, come succede in Italia, e questo può essere uno dei maggiori ostacoli all’accesso alle cure. Inoltre, alcuni Paesi limitano il numero di sedute. Per esempio, il Ministero della Salute slovacco dice che «il numero di sedute, il numero insufficiente di psicologi o psicoterapeuti» sono alcuni dei problemi del Paese, anche se non gli unici.

Psicologia e psichiatria non sono prioritarie

La psicologia non è un ramo prioritario all’interno dei sistemi sanitari pubblici europei. Né per quanto riguarda le risorse, né il personale, così come non lo è la branca correlata della psichiatria.

«Ci sono ottimi professionisti, il problema è la precarietà del sistema», dice Montse Aguilera, membro di un’associazione per i diritti delle persone che, come lei, hanno un problemi di salute mentale. Paesi come Spagna, Italia, Portogallo, Grecia e Croazia hanno meno di 20 psicologi su 100mila persone. Cioè la quota raccomandata nel 2012 da psicologi che scrivono su The Irish Psychologist. Svezia e Danimarca, invece, hanno più di 50 psicologi per 100mila persone. Anche se i rapporti in questi Paesi sono molto più alti della media europea, alcuni esperti dicono che questo numero è ancora troppo basso.

Se soffri di ansia e depressione puoi curarti. Se puoi permettertelo

«È difficile confrontare le situazioni tra i Paesi, ma sappiamo quali sono i limiti e le barriere. Ce ne sono molti, ma il più ovvio è il fatto che in molti Paesi la salute mentale non è coperta dalla Sanità pubblica o dall’assicurazione sanitaria, quindi bisogna pagare di tasca propria», dice Rodzinka.

In Romania, un lavoratore con il salario minimo dovrebbe lavorare, in media, quasi quattro giorni per pagare una singola seduta con uno psicoterapeuta privato. In Slovacchia, Estonia e Croazia ci vogliono più di due giorni.

All’altro estremo c’è la Francia. Qui anche se il sistema sanitario pubblico non copre i trattamenti psicologici, una consultazione privata costa meno di un giorno di lavoro. «Il settore privato aiuta a colmare il divario, ma non è accessibile a tutti. Può essere utile per le persone con un reddito elevato, quelle che hanno un lavoro o per le persone consapevoli di avere un problema psicologico, che hanno bisogno di aiuto e possono permettersi di pagarlo», continua Rodzinka. Ma i più bisognosi sono esclusi.

Metodologia della ricerca

Questo articolo è il risultato di un’indagine iniziata a maggio 2019 e durata diversi mesi. Aspasia Daskalopoulou e Monica Georgescu hanno contribuito alla realizzazione.

Abbiamo iniziato l’indagine immergendoci nell’argomento: abbiamo intervistato esperti e letto rapporti, documenti e ricerche precedenti sul tema. Abbiamo scoperto che non esistevano dati sulla realtà dell’accesso alla salute mentale. E anche che i dati ufficiali non rispecchiavano pienamente il problema, restavano solamente in superficie. Erano superficiali.

Così, abbiamo deciso di creare la nostra banca dati da zero. Abbiamo inviato un questionario sull’accesso al trattamento psicologico nei sistemi sanitari nazionali di tutti i Paesi dell’Unione europea (compreso il Regno Unito, dato che la ricerca è stata effettuata prima della Brexit). Abbiamo inviato i questionari alle organizzazioni professionali di psichiatri e psicologi in tutti i Paesi dell’Ue, a varie organizzazioni per la salute mentale senza scopo di lucro, a esperti di salute mentale e a giornalisti dell’European Data Journalism Network. Li abbiamo inviati anche agli uffici stampa di tutti i ministeri della salute dell’Ue, ad eccezione della Spagna, dove abbiamo richiesto delle informazioni pubbliche.

La creazione della banca dati

Per creare la nostra banca dati e renderla la più aggiornata e rigorosa possibile, abbiamo anche chiesto a tutti i ministeri della salute dell’Ue i dati più recenti sul numero di psicologi pro capite nei sistemi sanitari nazionali. Infine, abbiamo chiesto alle organizzazioni nazionali di professionisti di psicologia di fornirci una stima delle fasce di prezzo negli studi privati dei rispettivi Paesi.

In parallelo, abbiamo consultato numerosi rapporti ufficiali e fonti statistiche. Tra queste: l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la Commissione europea, l’istituto di ricerca Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME), l’Eurofound. L’obiettivo quello di era verificare le informazioni che avevamo e raccogliere nuovi dati al fine di contestualizzare o spiegare la sussistenza delle barriere all’accesso.

Una volta ottenuta una prima bozza della banca dati, perfezionata nel corso di diverse revisioni da parte dei membri del nostro team e cresciuta durante la fase di comunicazione, abbiamo intervistato esperti di salute mentale, psichiatri, psicologi, attivisti, persone affette da problematiche di salute mentale e i loro familiari, per raccogliere testimonianze in prima persona. 

La stima di ticket e prezzi

Nelle stime dei ticket e dei prezzi delle consultazioni private, abbiamo usato i salari minimi dell’ultimo semestre del 2020, secondo i dati dell’Eurostat, tranne nel caso di Austria, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia, dove abbiamo usato estrapolazioni basate su accordi di contrattazione collettiva da un rapporto di Eurofound, dato che non esiste un salario minimo fisso generale.

Inoltre, poiché non esiste un limite massimo di ore lavorative annuali, abbiamo calcolato questi dati con una stima di 1.720 ore/anno per tutti i Paesi, la cifra utilizzata dalla Commissione europea per calcolare le ore lavorative annuali per le borse di studio e le sovvenzioni nel programma Horizon 2020.

I risultati sono consultabili in più lingue; le visualizzazioni sono state sviluppate con D3.js, ai2html.js e scrollama.js.

È possibile consultare qui maggiori dettagli sulla metodologia.

Eva Belmonte, David Cabo, Miguel Ángel Gavilanes e Olalla Tuñas hanno contribuito alla realizzazione di questa inchiesta. 

L’articolo originale è stato pubblicato su Civio.