Ebola Bond & Co. Ovvero: la finanza che scommette sulla morte

In Congo il virus Ebola ha già fatto oltre 2mila morti. Ma non basta per "attivare" gli aiuti finanziati dalle obbligazioni. E gli investitori esultano

Matteo Cavallito
L'epidemia di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo ha fatto più di 2.000 vittime © European Commission DG ECHO/Flickr
Matteo Cavallito
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L’epidemia di Ebola – la seconda peggiore di sempre dopo la terribile ondata del 2013-16 – sta devastando la Repubblica Democratica del Congo ma i fondi privati per contrastarne la diffusione non possono essere messi in campo. Il motivo? Semplice, non ci sono abbastanza morti in Uganda: ne mancherebbero 18, per la precisione. Sembra assurdo e infatti lo è. Ma una spiegazione ovviamente esiste, ed è stringente come poche altre.

La causa del mancato esborso, infatti, è legata alle complesse clausole associate ai cosiddetti Ebola bond, obbligazioni sui generis studiate per affrontare la temuta epidemia. In sintesi: la situazione è grave ma non abbastanza, per lo meno a rigor di definizione. Quindi: pochissimi aiuti, almeno per ora. I congolesi muoiono e restano praticamente a mani vuote, gli investitori – fondi e operatori istituzionali come le società di asset management Baillie Gifford, Amundi e Oppenheimer – non pagano e continuano a incassare. Tutto chiaro?

L’epidemia di Ebola è una scommessa

Ok, probabilmente no. E allora sentite qui: gli Ebola bond appartengono alla categoria delle cosiddette insurance-linked securities (ILS), titoli strutturati assimilabili a derivati finanziari, molto simili alle note obbligazioni-catastrofe. Sottoscrivendo i bond, gli investitori ricevono ogni mese una cedola fino alla scadenza del titolo quando l’importo iniziale, ovviamente, viene restituito per intero.

Attenzione però: qualora si verifichino alcune circostanze prestabilite il meccanismo si interrompe anzitempo e gli investitori stessi non perdono soltanto gli interessi sul credito ma anche l’intero capitale investito. Più o meno quello che accade ad ogni scommettitore che ha fatto la puntata sbagliata alla roulette. I soldi sul piatto, a quel punto, vengono utilizzati dagli emittenti per erogare aiuti alla popolazione colpita e alle autorità sanitarie impegnate a fronteggiare l’epidemia. Cosa che ad oggi, però, non è ancora accaduta.

Un affare d’oro in un mercato inflazionato

Le obbligazioni in questione – create nell’ambito del programma Pandemic Emergency Financing Facility (PEF) che coinvolge anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità – sono state collocate nel 2017 dalla World Bank con una scadenza fissata al 2020 per un ammontare totale di 320 milioni di dollari. E sono divise in due tranche: la meno rischiosa offre un rendimento pari all’interesse del Libor maggiorato di 6,5 punti percentuali; l’altra paga quasi il doppio (Libor +11,1%).

A conti fatti gli interessi annuali degli Ebola bond valgono 36 milioni.

La loro erogazione è affidata ai Paesi che hanno accettato di svolgere il ruolo di donatori come la Germania e il Giappone. Un vero affare insomma, soprattutto di questi tempi con un mercato obbligazionario in botta (o “in bolla”, fate voi) e, di conseguenza, ampiamente avaro di rendimenti dove proliferano titoli “sottozero” per migliaia di miliardi.

2.500 morti valgono 150 milioni di dollari. Ma devono morire almeno in 20 in 2 Stati diversi

Certo, bisogna rischiare. Che poi è la regola aurea di tutti gli investimenti high yield (obbligazioni spazzatura, ovvero ad alto rendimento appunto). Ma in questo caso, forse, si tratta di un rischio decisamente calcolato. Le circostanze previste dal contratto, infatti, sono abbastanza complesse e per gli scommettitori – perché di questo si tratta, è chiaro – le probabilità di vincere restano relativamente alte. Gli Ebola bond sottraggono gradualmente interesse e capitale agli investitori seguendo alcuni parametri ben precisi: se la conta dei morti raggiunge quota 250, i Paesi colpiti si beccano 45 milioni di dollari che vengono quindi sottratti al montepremi; 750 vittime fanno 90 milioni, 2.500 ne valgono 150.

Ma c’è un quid: l’epidemia di Ebola deve essere dichiarata “internazionale”, vale a dire ammazzare “da contratto” almeno venti disgraziati in un secondo Paese. Tra i candidati c’è la vicina Uganda dove la malattia ha già iniziato a manifestarsi. Solo che le vittime ad oggi sono solo due, un decimo del minimo necessario.

Tradotto: nonostante gli oltre 2.100 morti fin qui registrati gli aiuti privati associati ai bond stanno ancora a zero.

Gli esborsi della Banca Mondiale, per il momento, si limitano alla cosiddetta Cash Window che scatta quando i criteri di cui sopra non sono soddisfatti. Ma a conti fatti si tratta di un ammontare marginale che non incide sulla posizione degli investitori.

Conflitti di interesse

Gli Ebola bond sono stati progettati per coinvolgere il capitale privato attraverso un sistema di incentivi che, almeno in teoria, dovrebbe prevenire l’eccessiva diffusione dell’epidemia. Ma le critiche sono inevitabili. Scommettere sulla conta delle vittime, tanto per cominciare, non è proprio il massimo della finezza anche se per la finanza, a dire il vero, non si tratta di una novità vera propria (ve li ricordate iDeath bond?). Ma il vero problema, più “matematico” che morale, è che a fare acqua è proprio il meccanismo di incentivazione. Se gli investitori da un lato sono incoraggiati implicitamente a mettere in campo risorse proprie per scongiurare la crisi umanitaria per lo meno fino alla scadenza dei bond, nota la Reuters, le autorità sanitarie congolesi potrebbero persino avere la tentazione di favorire la diffusione del virus attraverso il confine ugandese. Folle, certo, ma non necessariamente così inverosimile.

Non solo Ebola: speculare sulle catastrofi va di moda

Quelle sulla pandemia non sono certo scommesse isolate. Il mercato delle insurance-linked securities e simili, la grande famiglia di cui fanno parte gli Ebola bond, conosce infatti uno sviluppo senza precedenti. Secondo il Financial Times, che cita una stima della società Willis Towers Watson, nel 2018 i titoli ILS sul mercato varrebbero già 93 miliardi di dollari contro i 18 registrati un decennio prima. Le cifre diffuse dal portale specializzato Artemis sono più basse ma segnalano comunque un importante trend di crescita. Nel 2019, secondo i dati resi pubblici, l’ammontare delle obbligazioni-catastrofe e delle insurance-linked securities in circolazione sfiorerebbe i 41 miliardi di dollari, più o meno il triplo rispetto al valore rilevato nel 2009.

Tra i soggetti più attivi sul mercato, rileva ancora il quotidiano, ci sono i colossi assicurativi AIG, Axa e Allianz, specializzati nel costituire o acquistare compagnie che gestiscono questo genere di obbligazioni come Nephila Capital, una società delle Bermuda con un portafoglio da 12 miliardi di dollari acquisita a fine 2018 dalla statunitense Markel Corporation. Ma non mancano soggetti diversi come hedge, mutual funds e addirittura fondi pensione.Tra pandemie e disastri naturali i profitti possono essere notevoli. Basta solo scommettere con criterio sulle vite degli altri. In fondo, quando mai è stato un problema?