Elezioni in Brasile, un Paese lacerato aspetta il secondo turno tra Lula e Bolsonaro

Le elezioni in Brasile, caratterizzate da uno scontro violentissimo tra candidati e elettori, vedono Lula in vantaggio ma Bolsonaro vicino

Giorgio Michalopoulos, Kritica Economica
Lula da Silva © Jeso Carnero/Flickr
Giorgio Michalopoulos, Kritica Economica
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Belo Horizonte, Minas Gerais, Brasile 

Il 2 ottobre 156 milioni di brasiliani sono stati chiamati alle urne per delle elezioni che segneranno la storia dello Stato sudamericano. Tra gli undici candidati alla presidenza, la partita si è giocata tra l’ex presidente progressista Luiz Inácio Lula da Silva (Partito dei lavoratori – PT) e l’ultraconservatore Jair Bolsonaro (Partito liberale – PL), presidente uscente. Uno scontro tra due visioni opposte, in un clima che infuoca e preoccupa il Paese per il grado di violenza raggiunto.

Al termine del primo turno, Lula è risultato in testa, sfiorando il 50% dei voti, che gli avrebbe garantito l’elezione diretta, senza passare per il ballottaggio, previsto per la fine di ottobre. All’ex presidente è andato il 48,43% delle preferenze, contro il 43,2% del candidato di estrema destra. Quest’ultimo ha realizzato uno score ben più alto rispetto a quello che era stato prospettato dai sondaggi. L’ultima stima, pubblicata alla vigilia del voto, ipotizzava uno scarto di ben 15 punti percentuali tra i due.

Una campagna elettorale segnata dalla violenza

Le preoccupazioni hanno trovato riscontro nello stato di Minas Gerais durante il primo grande incontro elettorale, che ha visto protagonista Dilma Rousseff, la prima donna a ricoprire la carica di presidente della Repubblica nel 2010. Rieletta nel 2014, la Rousseff ha concluso prematuramente il suo incarico a causa di un impeachment.

Il 9 luglio un padre di famiglia con quattro figli è stato ucciso a colpi di pistola da un sostenitore del presidente in carica. Nello stato di Mato Groso do Sul il 9 settembre un sostenitore di Lula è stato ucciso a coltellate da un ventiquattrenne bolsonarista. L’ultimo dibattito presidenziale del 29 settembre è stato irruento, segnato da pesanti accuse tra i candidati. «Ho molta voglia di stare per strada e celebrare la vittoria, ma credo sia pericoloso. Prima nessuno veniva ammazzato per un adesivo o una maglietta del proprio partito», non nasconde i suoi timori Thais Oliveira de Oliveira, dottoranda dell’università federale di Minas Gerais, alla vigilia delle elezioni.

Le dichiarazioni di Dilma Rousseff, ex-presidente del Brasile, al seggio elettorale

Nel collegio Santa Marcellina, seggio elettorale del quartiere São Luiz di Belo Horizonte, l’ex presidente si è presentata alle otto del mattino acclamata dai militanti del PT. Se fuori è stata circondata da una folla affettuosa di circa quaranta persone con magliette rosse, adesivi pro-Lula e bandiere del partito, nei corridoi del collegio, Dilma Rousseff non ha trovato la stessa accoglienza.

Tra i fischi dei sostenitori di Bolsonaro ha fatto eco un “fora vagabunda!” (di cui risparmiamo la traduzione). Terminato il voto, Dilma Roussef è tornata all’aria aperta spiegando al popolo del suo partito come il governo Lula combatterà le forti diseguaglianze di cui soffre il Paese, la devastazione ambientale e la de-industrializzazione. «Sono estremamente ottimista, sento una grande energia nelle strade, nelle persone. Ma dobbiamo pensare al giorno dopo. Il 3 ottobre dobbiamo riaffermare la sovranità di questo Paese», aveva dichiarato ai microfoni, sperando evidentemente in un’elezione di Lula al primo turno.

Lo specchio di una società estremamente polarizzata

Non della stessa opinione una signora con occhiali da sole scuri, maglietta gialla e verde con il volto di Bolsonaro. «Lula ladro il tuo posto è la prigione! Non voglio comunisti in Brasile», urla insistentemente, seguita da altri bolsonaristi con la maglietta della seleção brasileira, ormai simbolo del PL. I militanti del PT intanto cominciano a cantare: «Dilma guerriera del popolo brasiliano». 

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Dilma Rousseff con i militanti del PT fuori dal seggio elettorale © Giorgio Michalopoulos

In questo clima da stadio la Rousseff continua tranquillamente a parlare del futuro del Paese: «Il presidente Lula deve ricostruire il Brasile: abbiamo una polarizzazione interna fatta da gravi diseguaglianze. Un problema legato ai metodi di sfruttamento minerario adottati in tutto il Paese. Occorre una nuova regolamentazione. Dobbiamo garantire che non avvenga più questa brutale distruzione dell’ambiente. Dobbiamo investire nell’istruzione di qualità, perché solo questo toglie le persone dalla miseria. E dobbiamo re-industrializzare il Paese».

La polarizzazione etnica: di undici candidati alle elezioni in Brasile solo due sono di colore

Ma la polarizzazione della società brasiliana non è solo politica ed economica. «Parlare di disuguaglianze è anche parlare delle donne di colore, questo è un Paese a maggioranza nera. Le donne di colore devono essere rispettate, Lula porterà questa sensibilità nelle sue politiche», ha concluso così il suo discorso Dilma Rousseff. 

Nel Paese in cui la popolazione nera-meticcia cresce fino al 56% del totale nel 2022, queste parole fanno riflettere. Tra gli undici candidati alla presidenza solo due sono neri, entrambi non hanno potuto partecipare al dibattito perché l’ultima riforma della legislazione elettorale permette di invitare ai dibattiti solo i candidati di partiti con almeno cinque rappresentanti nel congresso nazionale.

«I nostri corpi sono i primi ad essere attaccati», spiega Etiene Martins, giornalista e consigliera della deputata Andréia de Jesus. «I bolsonaristi si sono appropriati di alcuni territori della città così come della maglietta del Brasile. In alcune zone io, donna nera, sono vista come una presenza sospetta». Nell’assemblea legislativa di Minas Gerais su 77 deputati, solo 9 sono donne, di cui 3 di colore. Ovvero il 3% della rappresentanza in uno Stato a maggioranza nera secondo i dati dell’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica

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Il razzismo ancora attraversa la società brasiliana

In una piccola scuola di Pompeia, quartiere di classe media a Belo Horizonte, in fila nel seggio elettorale, Etiene denuncia le pesanti minacce di morte ricevute dalla De Jesus per aver denunciato violenze razziste. Oggi costretta a girare con la scorta, la deputata si batte per la difesa dei diritti umani e dei diritti delle donne nere, con particolare attenzione alle comunità minoritarie e alle popolazioni indigene. 

«Io sono nera, soffro il razzismo in continuazione. Nella mia famiglia non credono che un nero possa partecipare ai processi legislativi e cambiare le regole. Combattere queste ingiustizie è la mia missione di vita», racconta Andréia in un seggio elettorale del PT. Ad oggi ha sporto 29 denunce per minacce ricevute via telefono, mail o sui canali social. A un anno di distanza dalla prima denuncia, non ha ancora ricevuto risposte dalle autorità. «La passività della società – aggiunge – autorizza la violenza. Autorizza ad uccidere. Così come è accaduto a Marielle Franco, assessora nello stato di Rio de Janeiro, morta con cinque colpi in testa. Quando la società brasiliana non reagisce, autorizza ad uccidere anche Andréia e le Andréia che verranno». 

Riflettendo sulle parole di Dilma Roussef, la deputata spiega che l’istruzione brasiliana va ripensata completamente: «Dobbiamo costruire una identità brasiliana considerando i 300 anni di schiavitù che sono attuali. Le cicatrici delle fruste sono ancora presenti sulla mia schiena, sulla schiena di mia madre e di mio nonno. Se non parliamo di questo, specialmente nell’istruzione, continueremo a riprodurre una logica europea di colonizzazione perpetua». 

«La polarizzazione in Brasile tra persone nere e bianche è scandita anche da una questione di classe»

Andréia de Jesus, deputata di Minas Gerais
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Andréia de Jesus, deputata di Minas Gerais © andreiadejesus

Il centro e la periferia: gli orientamenti di voto opposti, legati alle condizioni socio-economiche

Normalmente proibita nel Paese durante il giorno elettorale, per la prima volta la vendita di bevande alcooliche è ammessa nello Stato di Minas Gerais. «Siamo un popolo in condizioni di estrema vulnerabilità. Può essere pericoloso e può incentivare la violenza. Inoltre, esistono persone nelle periferie che vendono il loro voto per un sacco di cemento o una cassa di birra. E purtroppo c’è sempre chi è pronto a comprare questi voti», spiega Etiene dopo un’ora di fila al seggio elettorale (i ritardi generalizzati nel Paese sono stati attribuiti alla raccolta dei dati biometrici nei seggi elettorali). Nel quartiere Pompeia, zona est di Belo Horizonte, le magliette rosse o con la faccia di Lula stampata superano quelle della nazionale o gli abiti giallo-verdi. 

Diversa è la situazione a Savassi nel quartiere della zona centro-sud di Belo Horizonte, dove si concentrano i redditi più alti della città (vicino alla Praça da Liberdade). Grandi macchine nere ornate di bandierine del Brasile sono parcheggiate in doppia fila, i conducenti sono generalmente uomini bianchi con occhiali da sole, orologio e la solita maglietta della seleção brasileira. In netta maggioranza rispetto alle magliette rosse e di Lula, i sostenitori di Bolsonaro a Savassi costituiscono la roccaforte del Partito Liberale. La Polizia militare ai lati dei seggi elettorali non ha riportato tensioni durante la giornata.

I grandi assenti delle elezioni in Brasile: i giovani

Che sia centro o periferia, la concentrazione di adulti nei seggi elettorali mostra un grande assente, i giovani. «La mia sensazione è che questi siano più spinti dalle ambizioni personali che orientano le scelte politiche in un’ottica liberale. Io credo molto nella politica identitaria e di classe, tradurre questo per un giovane non è facile. Ma in un Paese dove il razzismo domina, c’è uno strato sociale di popolazione che è emarginato per via del colore della pelle. E questo deve essere discusso molto di più, soprattutto tra i giovani delle periferie», commenta Andréia de Jesus.

Alle ore 18:00 il centro città è in silenzio, le urla e i clacson che hanno conquistato la città negli ultimi giorni sono scomparse. Un silenzio di attesa abbraccia la città. Nella redazione del giornale Estado de Minas cinque schermi seguono la diretta degli scrutini, mentre i redattori aggiornano nervosamente le pagine dei risultati presidenziali. Alle ore 18:00 con il 4.5% delle sezioni scrutinate, Bolsonaro è dato al 48.5%, Lula al 42%. Alle 20:04 la situazione è tesa, Lula supera il presidente in carica, dietro gli schermi della redazione si sente esclamare: “Virou” (superato). Bastano 40 minuti per moderare il fermento: alle 20:40 con il 99% delle sezioni scrutinate, i dati parlano chiaro, la possibile vittoria di Lula è posticipata al secondo turno. 

In Brasile si andrà al secondo turno

«Il risultato delle urne mostra che il movimento guidato da Bolsonaro non si è indebolito con il primo mandato, ma al contrario si è rafforzato. Il 90% dei suoi ministri è stato eletto, questo mostra un apprezzamento rilevante di una parte di popolazione», commenta Carlos Marcelo Carvalho, direttore del giornale Estado de Minas. «Dall’altro lato, notiamo la resilienza di Lula che chiude in vantaggio. Mai nella storia del Paese è successo che, in un confronto tra un ex presidente e il presidente in carica, l’ex superasse quello in carica. Dobbiamo registrare questo come un fatto inedito nella storia del paese”. 

Altro fatto inedito sarebbe la vittoria di Bolsonaro al secondo turno, infatti nella storia delle presidenziali brasiliane, i candidati in vantaggio al primo turno hanno sempre vinto. Ai candidati ora l’arduo compito di attirare i voti di centristi e moderati. La missione, spiega Carvalho, è fondamentale per Lula, considerata la base elettorale che Bolsonaro ha conquistato alle urne (facendo eleggere un quinto del congresso nazionale). «Il Paese è fortemente polarizzato: nord, nord-est e Minas Gerais stanno con Lula, mentre nel sud c’è una predominanza di Stati dove Bolsonaro vince a mani basse».

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Distribuzione geografica dei voti: in rosso il PT di Lula, in blu scuro il PL di Bolsonaro © globo.com

La sconfitta dei candidati della “terza via”

Un ulteriore dato da evidenziare, sottolinea il direttore, è che nessun candidato della cosiddetta “terza via” è riuscito a vincere nel suo stato di appartenenza. “Questo dimostra che oggi il Brasile è un Paese con due forze politiche egemoniche. La terza via in questo momento non ha spazio né rilevanza», aggiunge.

Date le premesse, ci si può legittimamente chiedere a questo punto se Bolsonaro sarà disposto ad accettare un risultato avverso al secondo turno. «Ciò che mi preoccupa sono quelli che appoggiano Bolsonaro. Ho incontrato persone uguali a me che supportano Bolsonaro, una persona che difende il fascismo, il razzismo e la violenza, ma queste stesse persone sono vittime della violenza. Bolsonaro è politicamente morto, ma le sue idee continueranno a vivere nella società in cui viviamo», commenta la deputata de Jesus.

Una lunga giornata si chiude lasciando il Brasile in bilico. Il giorno dopo, 3 ottobre, ricomincia la campagna elettorale. The show must go on. Il Brasile si prepara al secondo turno. Appuntamento al 30 ottobre.