I costi invisibili del sistema agroalimentare: 10mila miliardi di dollari all’anno

Secondo un report Fao il sistema agroalimentare globale ha costi ambientali, sociali e sanitari nascosti pari a 10mila miliardi di dollari

Secondo la FAO il costo nascosto dei sistemi agroalimentari globali è di 10mila miliardi di dollari © Pexels/Pixabay

Il sistema agroalimentare globale ha costi nascosti pari ad almeno 10mila miliardi di dollari. Un report della Food and Agriculture Organization of the United Nations (Fao) analizza il sistema-cibo di 154 Paesi e ne quantifica in termini economici gli impatti su salute, ambiente e società.

Secondo l’aggiornamento 2023 dell’indagine “The State of Food and Agriculture”, i costi esterni dei sistemi agroalimentari equivalgono al 10% del PIL globale. A pagare di più sono i Paesi a basso reddito, ma i costi sono distribuiti in maniera omogenea in tutti gli Stati presi in esame. Il 70% è rappresentato dall’insicurezza alimentare e dalle conseguenze sanitarie delle diete non sane; circa un quinto è invece connesso agli impatti ambientali.

I costi nascosti dei sistemi agroalimentari

Impatti sulla salute, sull’ambiente in termini di contaminazione e di emissioni climalteranti, degrado e spreco delle risorse sono solo alcune delle conseguenze negative generate dai nostri sistemi agroalimentari. Nei Paesi a reddito alto e medio-alto, per quanto permangano diseguaglianze e povertà alimentare, i principali problemi sono connessi al fatto che si mangia male. Circa il 70% dei costi nascosti è relativo agli impatti sanitari e sulla società di diete non sane. Consumo eccessivo di prodotti ultra-trasformati e diffusione di alimentazione basata su grassi e zuccheri sono i principali vettori di un’ampia serie di malattie che generano anche importanti cali di produttività del lavoro.

Come ha spiegato Davide Marino, direttore dell’Osservatorio insicurezza e povertà alimentare di Roma Capitale, «per tanti anni si è creduto che la povertà alimentare fosse un problema dei Paesi meno sviluppati, ma anche nei Paesi cosiddetti ricchi esiste una fascia di popolazione che è in difficoltà. Sono persone che riescono a mangiare, ma hanno una dieta fortemente squilibrata in cui si privilegiano per problemi di budget i cereali e poco altro.

Questo provoca un incremento di malattie come obesità, diabete e altre, mentre sui giovani comporta disturbi di carattere cognitivo legati allo sviluppo. Proprio la Fao ci dice che circa il 6% degli italiani è in condizioni di insicurezza alimentare; il 10% della popolazione adulta è in condizioni di obesità e il 20% in condizioni di sovrappeso».

A pagare di più sono i Paesi a medio e basso reddito


I costi ambientali sono distribuiti in tutti i Paesi. Circa un quinto del totale calcolato dall’indagine deriva dalle emissioni di azoto e gas a effetto serra, dal consumo di acqua e dal cambiamento di destinazione del suolo. A pagare di più sono però i Paesi a basso reddito, in cui i costi nascosti dei sistemi agroalimentari rappresentano un quarto del Pil. In questo caso i principali fenomeni sotto la lente dell’Organizzazione sono relativi a povertà e denutrizione.

Secondo Andrea Stocchiero, policy officer di Focsiv, anche questi dati sono parziali: «Nei Paesi in via di sviluppo, gli investimenti realizzati nel settore agricolo (come in quello minerario e ambientale) hanno una serie di impatti negativi sulle comunità indigene locali. Spesso generano costi sociali, umani e ambientali che non sono presi in considerazione perché catalogati come “investimenti nello sviluppo”, ma non è così. A beneficiarne sono per lo più multinazionali, fondi sovrani o governi, mentre le comunità ne pagano le conseguenze».

Individuare costi e benefici globali del sistema agroalimentare è una priorità

Scopo dell’indagine è analizzare il reale costo del cibo nei nostri sistemi economici attraverso l’introduzione di un approccio true cost accounting (TCA), che quantifica costi e benefici nascosti in termini ambientali, sanitari e sociali.

Approcci del genere sono già stati adottati in passato; la novità di questo report è che per la prima volta si giunge a un’analisi disaggregata al livello nazionale, che fornisce cifre che è possibile comparare. I dati forniti risultano parziali e preliminari ma il documento sottolinea l’urgenza di sistematizzare questo approccio attraverso metodologie innovative di ricerca e collezione di dati. In questo modo, secondo la Fao, si potrà raggiungere un’applicazione scalare del TCA, utile a orientare i decisori politici.

Il tema è indicato come la vera priorità e sarà al centro anche della prossima edizione del report. Se l’indagine 2023 fornisce stime iniziali del fenomeno, il prossimo anno sarà dedicato ad approfondire e ipotizzare azioni di mitigamento da suggerire ai singoli stati come imposte, sussidi, interventi legislativi o di regolamentazione.

«Mi auguro – ha detto il direttore generale della Fao Qu Dongyu – che questa relazione serva da invito all’azione per tutti i partner – dai politici e dagli attori del settore privato ai ricercatori e ai consumatori – e ispiri un impegno collettivo per trasformare i nostri sistemi agroalimentari per il miglioramento di tutti».

Perché questo sia possibile è però indispensabile che i governi nazionali utilizzino una vera contabilità dei costi dei propri sistemi agroalimentari con l’obiettivo di renderli in grado di rispondere a povertà e insicurezza alimentare, disuguaglianza e crisi climatica.