Greta Thunberg, la Cop26 e il cambio di paradigma

Energia, trasporti, riscaldamento globale. E gli intrecci con la finanza. Ogni settimana il punto sui cambiamenti climatici firmato da Andrea Barolini

«Se la distribuzione estremamente diseguale dei vaccini rimarrà quella attuale, non parteciperò alla Cop26 di Glasgow». L’annuncio della militante svedese Greta Thunberg è arrivato il 9 aprile. La giovane ecologista ha sottolineato che la mancanza di dosi nei Paesi più poveri del mondo impedirà a molte nazioni di essere rappresentate alla ventiseiesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite. «Le disuguaglianze di fronte alla crisi climatica – ha aggiunto – sono un problema gigantesco, che la questione dei vaccini non farà altro che aggravare».

Greta Thunberg pone in questo senso un problema duplice. Da un lato, quello della sacrosanta partecipazione del mondo intero ad un evento dal quale dipenderà il futuro dall’umanità. Dall’altro, quello delle sfide “organiche” che apre la crisi climatica. Quest’ultima, infatti, non può né deve essere ridotta al mero calo delle emissioni di gas ad effetto serra, finalizzato alla limitazione della crescita della temperatura media globale. No, la crisi climatica è una crisi di sistema. E per questo rappresenta anche un’opportunità unica: quella di rivedere profondamente il nostro modello economico di sviluppo. 

Quest’ultimo, per molti aspetti, è oggettivamente incompatibile con la tutela dell’ambiente e del clima. Prendiamo la finanza: la maggior parte delle banche e dei fondi d’investimento continua a puntare larga parte delle proprie attività sul cosiddetto business as usual. Il motivo? È ciò che finora li ha fatti arricchire e, in molti casi, è ancora redditizio. E pazienza se si tratta di fonti fossili, che aggravano i cambiamenti climatici; di produzioni di armi, con cui si scatenano guerre o di filiere del tessile, nelle quali si lavora in condizioni di semi-schiavitù. C’è la trimestrale a cui guardare. Ci sono gli azionisti (non di rado speculatori) a cui rendere conto. Costi quel che costi. 

E i governi? Il mondo, ancora oggi, valuta la bontà della loro azione sulla base di un indicatore, il Prodotto interno lordo (PIL), meramente quantitativo. Per il quale “è buono tutto”. Anche il carbone. Anche i caccia bombardieri e le magliette in arrivo dal Bangladesh al costo di produzione di qualche centesimo di dollaro. 

Al contrario, il mondo nuovo che siamo chiamati a costruire deve essere ecologico, ma anche rispettoso dei diritti, solidale, equo. È per questo che il modo più efficace per rispondere alla crisi climatica è cambiare paradigma.