L’innovazione tecnologica non è un settore per donne

Nel settore dell'innovazione tecnologica persiste un forte gender gap che penalizza le donne

Nel settore dell'innovazione tecnologica persiste un forte gender gap che penalizza le donne © gorodenkoff/iStockPhoto

La domanda di tecnologie climatiche e i finanziamenti alle startup di innovazione che se ne occupano continuano a crescere ma non abbastanza da superare il gender gap nel settore: negli Stati Uniti, lo scorso anno, solo il 7% dei finanziamenti assegnati è andato a imprese fondate da donne. Secondo i dati di Pitchbook nel 2023, dei 319 finanziamenti assegnati a imprese che si occupano di clima, 21 sono stati destinati ad aziende che hanno donne nei ruoli apicali: il 6,6%. Nel resto del mondo non è andata meglio, con 826 progetti provenienti da uomini e appena 58 proposti da donne.

I numeri forniti da Crunchbase sono più alti, ma il quadro non è migliore: 565 le startup climatiche gestite da uomini che hanno ricevuto finanziamenti, 65 quelle gestite da donne. I dati appaiono lievemente discordi perché i criteri di ricerca sono specifici ai singoli istituti. Ciò che però resta è il fatto che il 2023 ha segnato un passo indietro, con 80 milioni di dollari raccolti da startup femminili, a fronte dei 106 dell’anno precedente.

L’innovazione tecnologica non è un settore per donne

Il settore dell’innovazione tecnologica è ancora ritenuto maschile, nonostante siano passati 35 anni dalla firma del Women’s Business Ownership Act che, dal 1988, ha dato la possibilità alle donne di molti degli Stati degli Usa di ottenere prestiti commerciali senza la firma di un parente maschio.

A livello globale, secondo i dati di Venturebeat.com, le startup femminili sono il 15% delle totali e ricevono poco più del 2% dei finanziamenti complessivi. L’Oceania primeggia nel ranking, con un’iniziativa femminile su cinque. Subito dopo si colloca il Nord America con il 15,7%. L’Europa rappresenta la maglia nera del settore con il 12,6% di aziende gestite da donne e il 98% dei finanziamenti del venture capital destinato a imprese maschili. Il Vecchio Continente è al penultimo posto insieme all’America Latina. Dietro, solo i Paesi l’area MENA.

In Italia le imprese femminili sono il 22,2%, mentre le startup innovative il 12,6%. I dati forniti da Dealroom.co calcolano il valore d’impresa complessivo delle startup dell’innovazione guidate da donne per 2 miliardi di euro, una cifra seconda sola alla Finlandia e che rappresenta il 16% del valore complessivo, il doppio della media europea dell’8%.

Perché le donne fanno più fatica ad affermarsi?

In un’intervista rilasciata a GreenBiz lo scorso anno, la co-responsabile del settore venture e crescita di Galvanize Climate Solutions Veery Maxwell, ha dichiarato che le donne non si impegnano nel fondare startup perché pensano di non essere in grado di raccogliere fondi. Le ragioni sono diverse e vanno ben oltre le pur escludenti regole del mercato.Il rapporto UNESCO Woman in Science quantifica al 30% le donne che, a livello globale, riescono ad affermarsi in ambito scientifico.

I dati diffusi da Save The Children mostrano che, in Italia, nonostante l’elevata preparazione del campione indagato, solo una ragazza su 8 si aspetta di lavorare in un settore scientifico o ingegneristico, mentre i ragazzi sono 1 su 4. Le laureate in materie STEM sono il 16,5% a fronte del 37% di studenti maschi. Il gap prosegue poi nel mondo del lavoro, con una sola docente su 5 impegnata in queste discipline e solo il 7% del totale dei rettori donna.

Anche se una ragazza scegliesse di intraprendere un percorso di studi STEM, arrivata sulla soglia del mondo del lavoro troverà il settore dominato da uomini. Solo il 28% della forza lavoro complessiva nel campo di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica è di sesso femminile, e le donne inquadrate in posizioni entry-level hanno meno possibilità di essere promosse dei propri colleghi uomini. Se poi hanno figli, la situazione peggiora. Gli studi del Pew Research Center mostrano la percentuale di padri e madri impegnati e attivi sul posto di lavoro: rispettivamente il 98 e il 75%.

Colmare il gap conviene a tutti

Conoscete il volto di Melanie Perkins? Avete mai sentito nominare Susan Wojcicki? Avete mai parlato di quanto sia visionaria Mira Murati? Sono, rispettivamente, l’amministratrice delegata e la cofondatrice di Canva, l’amministratrice delegata di Youtube e la direttrice tecnica di OpenAI. Il loro lavoro produce e trasforma ogni giorno quanto quello di Jeff Bezos o Mark Zuckerberg. Ma sono molto meno riconosciute.

Un sondaggio di PwC ha interrogato un gruppo di studenti rilevando che, mentre il 66% era in grado di nominare un uomo famoso nel settore tecnologico, solo il 22% invece riusciva a menzionare una donna. Nonostante i dati, gli studi dimostrano che le imprese in cui siano impegnate donne in ruoli di primo piano sono più fiorenti. Una ricerca del Boston Consulting Group ha dimostrato, dati alla mano, che le aziende femminili generano il doppio dei guadagni rispetto agli investimenti di quelle maschili. Ogni dollaro investito da una donna, nella sua impresa, genera 78 centesimi. Per gli uomini la cifra è di 31 centesimi. Una buona ragione per colmare il gap.