Come sostenere Medici senza frontiere durante la catastrofe umanitaria a Gaza

Medici senza frontiere è nella Striscia di Gaza per supportare gli ospedali e la popolazione civile. E ciascuno di noi può dare un aiuto

© Medici senza frontiere

«Al di là della catastrofe». Così la presidente di Medici senza frontiere Italia, Monica Minardi, descrive la situazione nella Striscia di Gaza dopo oltre due mesi di brutali attacchi indiscriminati da parte di Israele, in risposta all’offensiva intrapresa da Hamas il 7 ottobre. Parole che nascono dall’esperienza diretta, perché Medici senza frontiere è presente in Cisgiordania e a Gaza dal 1989. E ha scelto di restare, affrontando in prima persona tutte le difficoltà e i rischi che questo momento drammatico comporta. Un lavoro che ciascuno di noi può sostenere, anche da lontano.

A Gaza è in corso un’emergenza umanitaria senza precedenti

Dal 1989 in poi, Medici senza frontiere ha assistito al periodico riacutizzarsi di tante crisi in Palestina. Ma quella in corso è senza precedenti. 2,2 milioni di persone sono intrappolate nella Striscia di Gaza, senza alcuna possibilità di fuggire. Stando al ministero della Salute della Striscia di Gaza, gestito da Hamas, tra il 7 ottobre e il 14 dicembre 18.787 persone sono morte, per il 70% donne e bambini. Sarebbero più di 50mila le persone palestinesi ferite. Difficilissimo fare stime del numero di dispersi.  

Più di due abitanti di Gaza su tre sono stati costretti a lasciare le proprie case e ora si trovano in rifugi sovraffollati, tende improvvisate e aree aperte. Interi quartieri sono stati rasi al suolo e ormai manca tutto: cibo, acqua pulita, servizi pubblici, fognature, servizi igienico-sanitari. Nessuno può dirsi al sicuro, perché dove non arrivano le bombe c’è la fame, o il rischio di contrarre malattie. Lo testimonia il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, che ha approfittato dei sette giorni di tregua per distribuire aiuti umanitari a 250mila persone.

Medici senza frontiere continua a lavorare a Gaza

«Fortunati quelli che sono morti subito, perché almeno non hanno visto questo orrore. Il mondo non è giusto, sentiamo che le nostre vite non hanno nessun valore». È la durissima testimonianza della dottoressa Aruba, una dei circa 300 membri palestinesi dello staff di Medici senza Frontiere, che rischiano la vita ogni giorno a causa dei bombardamenti indiscriminati sui civili e sulle strutture sanitarie. Lo staff internazionale, composto da 22 persone, è stato evacuato il 22 novembre ed è stato sostituito da una nuova équipe composta da medici, anestesisti, chirurghi e medici di emergenza, con il necessario supporto logistico e amministrativo.

«Siamo di fronte a una violazione di qualsiasi regola e legge del diritto internazionale umanitario», sottolinea la presidente di Medici senza frontiere Italia Monica Minardi. Sulla carta, infatti, le parti in conflitto devono sempre distinguere gli obiettivi militari dai civili o dai beni di carattere civile. Sempre sulla carta, non si possono mai attaccare gli ospedali civili; bisogna sempre garantire il passaggio di personale e materiale sanitario; le persone vulnerabili (feriti, malati, anziani, donne e bambini) devono essere evacuati. Princìpi che, a Gaza, vengono sistematicamente calpestati.

Cosa si può fare per aiutare la popolazione della Palestina

L’unica soluzione possibile è un cessate il fuoco immediato e permanente. Questa è la richiesta espressa da Medici senza frontiere attraverso una petizione che chiunque può firmare per trasmettere un messaggio chiaro alle istituzioni, anche italiane. Oltre a far sentire la propria voce, c’è anche la possibilità di sostenere concretamente Medici senza frontiere contribuendo a una raccolta fondi specifica per questa emergenza.

Anche Banca Etica, che supporta da tempo MSF anche attraverso un conto corrente dedicato, ha deciso di fare la sua parte. Per cominciare, ha inserito la raccolta fondi all’interno del proprio network sulla piattaforma di crowdfunding Produzioni dal Basso. E sta facendo leva su tutti i canali di comunicazione che ha a disposizione per farla conoscere a soci, clienti, dipendenti e al pubblico. In un momento particolarmente drammatico, Banca Etica aggiunge così un altro tassello a un percorso che l’ha vista socia di diverse reti di microfinanza in Palestina, sostenitrice di piccole casse di risparmio e credito in Cisgiordania e promotrice di programmi di microcredito a Gaza e in Cisgiordania.