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Dai timori alla realtà: «I centri-migranti sempre più ghetti senza servizi». E a Trieste rispunta ORS

L'esito dei bandi post Decreti Salvini conferma: le società for profit s'impadroniscono dell'accoglienza migranti. In FVG primo appalto in vista per la holding elvetica

Matteo Cavallito
Migranti nel campo profughi di Livarna, Slovenia, ottobre 2015 © Trocaire/Wikimedia Commons
Matteo Cavallito
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Gli operatori della solidarietà accusano: il Decreto Sicurezza sta cambiando, in peggio, la gestione dell’accoglienza dei migranti. Le critiche non sono una novità ma adesso i problemi trovano ulteriori conferme. A finire sotto accusa sono ovviamente i bandi pubblici che imporrebbero una concorrenza al ribasso apparentemente insostenibile per il mondo del no profit. Taglio dei costi, ovvero dei servizi. E soprattutto megacentri, vale a dire grandi numeri e ampie dimensioni. Risultato: via libera ai grandi gestori pronti a soppiantare i soggetti tradizionali, con tutto quel che ne segue. E le polemiche, va da sé, infuriano. A partire da un cruciale angolo di Nord Est, ultimo sbocco della sempre attiva rotta balcanica.

Migranti, a Trieste vince la svizzera ORS

L’ultima contesa, in ordine di tempo, si è aperta a Trieste. «Una Ventimiglia ma al contrario», dice Gianfranco Schiavone, presidente di ICS – Consorzio Italiano di Solidarietà. Centro di riferimento per i migranti e rifugiati nel capoluogo giuliano. Qui, a differenza di ciò che accade nel Ponente ligure, i flussi sono in entrata. Più o meno 7mila, spiega, i potenziali richiedenti asilo registrati ufficialmente nell’area lo scorso anno dopo aver varcato verso ovest il confine sloveno. Ultima tappa della rotta che attraversa la Grecia e la ex Jugoslavia. Quasi 1.500 i migranti accolti da ICS nei primi dieci mesi del 2019. Più del doppio rispetto al numero rilevato nel 2018) nella struttura di prima accoglienza “Casa Malala” a Fernetti, a pochi passi dalla frontiera. Un migliaio circa le persone attualmente ospitate dallo stesso ente in collaborazione con la Caritas in quasi 150 appartamenti della città.

Solo che nel frattempo le richieste presentate nei bandi sarebbero diventate sempre più difficili da soddisfare, con il rischio di tagliare fuori gli operatori sociali più esperti e radicati nel territorio. Il 22 gennaio scorso la Prefettura di Trieste ha pubblicato la graduatoria finale della gara d’appalto per la gestione della stessa Casa Malala. Chi si è piazzata al primo posto? La ORS, già attiva da anni in Svizzera e Austria e presente in Italia con una controllata. Se gli ultimi accertamenti tecnici daranno esito positivo, la gestione della struttura e dei suoi 95 posti toccherà alla sussidiaria italiana della società for profit elvetica. E potrebbe essere solo l’inizio.

ORS tra Londra e la Sardegna

ORS Italia Srl, che è stata registrata a Roma il 25 luglio 2018 e ha sede presso uno studio notarile della capitale, è controllata dalla società ORS Service AG, ultimo anello di una catena che conduce a una holding di Zurigo di proprietà del fondo di private equity Equistone Partners di Londra. Per le sue attività in Svizzera, Austria e Germania, nel 2018, il gruppo ORS ha conseguito profitti operativi per 1,3 milioni di franchi (1,2 milioni di euro al cambio attuale)  meno della metà del dato 2016 (3 milioni di franchi circa). La variazione, riferisce tra gli altri il tabloid svizzero 20 Minuten, sarebbe da imputare al drastico calo delle domande di asilo che si sono ridotte di due terzi nel giro di tre anni.

Per quasi un anno e mezzo, secondo quanto riportato nelle visure camerali, ORS Italia è risultata “inattiva”. L’ultima visura disponibile, visionata da Valori il 28 gennaio, segnala invece l’avvio delle attività. Alla controllata italiana, in particolare, è stata recentemente affidata la gestione del Centro regionale per la permanenza e il rimpatrio dei migranti irregolari di Macomer, in provincia di Nuoro. Stando sempre all’ultima visura ORS Italia avrebbe per ora un solo dipendente, contro i circa 1.300 registrati negli altri tre Paesi di attività alla fine del 2018.

Controversie in Austria

Il faro puntato su ORS è legato al fatto che il gruppo elvetico non è stato immune alle polemiche. Nel 2015 ORS è stata fortemente criticata per la gestione del centro rifugiati di Traiskirchen, in Austria. Progettato per una capienza di 1.800 persone, il campo era arrivato a ospitarne 4.600. 1.500 di loro, denunciava Amnesty International, erano costretti a dormire all’aperto. Contattata da Valori, ORS aveva risposto per iscritto parlando di «accuse infondate» e spiegando di non essere stata responsabile del sovraffollamento del campo non avendo il potere «né di assegnarsi né di respingere i rifugiati». L’invio dei richiedenti asilo a Traiskirchen, precisava la società elvetica, sarebbe stato effettuato «tramite il Ministero dell’Interno austriaco con la collaborazione istituzionale del personale di ORS».

Per Casa Malala un taglio dei costi del 14%

L’assegnazione di Casa Malala, come si diceva, non è ancora definitiva. L’offerta di ORS prevede un taglio dei costi del 14%, un ribasso davvero notevole capace di sbaragliare la concorrenza frenando però l’iter di approvazione. Tecnicismi a parte, funziona più o meno così: quando il preventivo di un concorrente scende al di sotto di una certa soglia minima (nel rapporto costi/servizi) scatta automaticamente un apposito procedimento di controllo. Nulla di illecito, per carità. Ma ora, come previsto dalla legge, l’autorità deve verificare la sostenibilità della proposta, capire cioè se ORS sia davvero in grado di offrire i servizi proposti a quel prezzo. A prescindere dall’esito dei controlli, sostengono gli altri operatori, resta tuttavia irrisolto un problema di fondo.

Bandi sotto accusa: «Impossibile offrire servizi adeguati»

«Il fatto è che non è possibile per noi offrire servizi adeguati e orientati alla tutela dei diritti della persona ai costi previsti dai nuovi bandi» commenta Schiavone. «A queste condizioni – aggiunge – si favoriscono gli operatori come ORS che gestiscono grandi strutture di proprietà pubblica». Sotto accusa, insomma, il modello generale dei grandi centri ispirato dallo stesso Decreto Sicurezza, strutture che il presidente di ICS descrive come «parcheggi di fatto con standard molto bassi o peggio ancora ghetti che producono elevate tensioni sociali».

In questo contesto, sostiene ancora Schiavone, «il modello di accoglienza diffusa che mira invece a una veloce integrazione delle persone accolte non trova spazio». E non è un caso, suggerisce, che le ultime gare d’appalto indette a Trieste siano andate praticamente deserte.

Gare deserte, la parola al Tribunale

Due in particolare i bandi senza soluzione. Il primo è relativo a un progetto di accoglienza diffusa per migranti richiedenti asilo, con un importo previsto di 10,9 milioni di euro, che sembra tanto ma – spiega ancora Schiavone – farebbe a conti fatti 21 euro e cinquanta centesimi al giorno di spesa per persona, contro i 35 euro previsti in passato. L’unica offerta ricevuta è arrivata da una cooperativa sociale di Castel San Giorgio (Salerno), ma la proposta copre appena 10 dei 1.150 posti richiesti, come dire meno dell’1% del totale.

Alla seconda gara – per l’assistenza di 300 migranti distribuiti in diverse in strutture collettive e un budget di quasi 5,8 milioninon ha risposto nessuno. ICS, che nel frattempo continua a gestire in proroga il sistema di accoglienza insieme a Caritas, ha impugnato i bandi ritenendoli illegittimi dal momento che i parametri di costo previsti non sarebbero adeguati ai servizi richiesti. L’udienza presso il TAR del Friuli Venezia Giulia è fissata per il mese di maggio. Sempre che il Governo, nel frattempo, non decida di risolvere a monte la questione cancellando il Decreto Sicurezza. Chissà se il risultato elettorale in Emilia Romagna riporterà a più miti consigli il Movimento 5 Stelle. Che per ora, nonostante le pressioni, continua a nicchiare sull’ipotesi di modifica delle norme fortemente volute dal suo ex alleato.