Il processo alla ‘ndrangheta e quello alla trasparenza

Corruzione, illegalità, mafie, economia e finanza. Ogni martedì il commento di Rosy Battaglia

È compito del giornalismo, e del servizio pubblico, puntare i fari là dove c’è oscurità. Così la puntata di ieri (15 marzo) di Presa Diretta, il programma d’inchiesta di Riccardo Iacona su Rai3, ha colmato il vuoto mediatico intorno a “Rinascita Scott”, il maxi-processo alla ‘ndrangheta, a partire dalle cosche di Vibo Valentia in Calabria. Processo in corso dal 13 gennaio 2021 nell’aula bunker di Lamezia Terme, istruito dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri. 

Cronache rese difficili, bisogna ricordare, anche per l’impedimento dei giudici di riprese audio e video, fino all’autorizzazione concessa solo lo scorso 11 marzo. Autorizzazione sollecitata anche dalla stampa internazionale come BBC, The Guardian, Associated Press, Reuters, oltre le Tv tedesca e svedese. Ma che a tutt’oggi impedisce, ancora, la diffusione degli audio fino alla lettura del dispositivo di sentenza, come segnala la Federazione Nazionale della Stampa

Eppure, “Rinascita Scott” è il più importante procedimento giudiziario contro la malavita organizzata della nostra storia recente, secondo solo al Maxi-processo di Palermo contro “cosa nostra” del 1986. E non solo per l’alto numero degli imputati, ben 355 e gli oltre 400 capi d’imputazione contestati dai pubblici ministeri. Ma perché mostra e ricostruisce, passo passo, le connessioni tra cosche, politica e massoneria deviata in atto nel nostro Paese. 

Una cupola in grado di mantenere, come un Stato parallelo, un controllo capillare su appalti, compravendite di beni, acquisizione di imprese. Con un enorme giro di usura che alimenta un vero e proprio circuito bancario illegale parallelo. E che vede coinvolti avvocati, imprenditori, pubblici funzionari, politici, fino a membri delle forze dell’ordine. Quella zona grigia che permette l’espandersi delle mafie nell’economia legale. Ristabilire il diritto di cronaca è, quindi, un atto dovuto per togliere il velo di omertà e silenzi di convenienza e informare la pubblica opinione.  

Ma ci piace guardare avanti. Bisognerebbe puntare i fari anche su tutto ciò che concretamente lo Stato Italiano sta facendo per prevenire mafie e corruzione. Azioni che, ora più che mai, come anche gli analisti anti-crimine segnalano da più parti, passano attraverso un fondamentale ma quanto ancora discusso “processo”. Il processo di trasparenza della nostra Pubblica Amministrazione, che parte dall’apertura delle banche dati. “Open data” che, se opportunamente incrociati e confrontati, possono permettere agli investigatori di individuare fenomeni di corruzione e infiltrazioni mafiose. Gli esempi virtuosi non mancano, ma andrebbero moltiplicati. 


E gli strumenti, almeno parzialmente, ci sono già. La banca dati sugli appalti pubblici, permette con una semplice estrazione di individuare e monitorare, tra milioni di procedimenti, quelli sotto-soglia, che non sono soggetti all’applicazione della normativa antimafia e a particolari controlli. Ma sui quali, come una recente delibera di Anac segnala, conviene tenere gli occhi ben aperti e sulle quali si sono attivati gli investigatori della Guardia di Finanza. Già, gli open data che la crisi Covid-19 ci ha fatto scoprire come fondamentali per le nostre vite, sono indispensabili anche per combattere mafie e corruzione. E prevenirle.