Gli obiettivi climatici di Amazon sono davvero basati sulla scienza?

Gli obiettivi climatici di Amazon non sono più avallati dalla Science-Based Targets initiative. Un danno d’immagine, ma non solo

Gli obiettivi ambientali di Amazon sono posti seriamente in discussione © Shkuru Afshar / Wikimedia Commons

«Stiamo sfruttando il nostro successo e la nostra rilevanza per dare impulso ai progressi sui cambiamenti climatici e accelerare innovazioni sostenibili». Ad assicurarlo è Amazon, l’e-commerce numero uno al mondo. Che, anche in virtù della sua strategia climatica, è una presenza fissa nei principali indici ESG, cioè quelli composti da titoli di emittenti che dimostrano elevate performance ambientali, sociali e di governance. Suona quindi come una batosta il fatto che la Science-Based Targets Initiative abbia rimosso Amazon dalla lista delle aziende che hanno fissato obiettivi di riduzione delle emissioni basati sulla scienza.  

Cos’è la Science-Based Targets Initiative

La Science-Based Targets Initiative (SBTi) nasce dalla collaborazione tra CDP (nota in passato come Carbon Disclosure Project), il Global Compact delle Nazioni Unite, il World Resources Institute e il World Wide Fund for Nature (WWF).

Il suo compito è di fornire tutti gli strumenti alle aziende che vogliono intraprendere percorsi di riduzione delle emissioni. O meglio, che vogliono farlo fissando obiettivi basati sulla scienza (science-based, appunto). Cioè compatibili con il contenimento del riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali.

Gli esperti della SBTi esaminano tali obiettivi per capire se siano davvero science-based. Nella directory delle aziende analizzate, che è pubblica, a inizio settembre 2023 si contano 6.047 nomi. Quelli col “bollino di garanzia” della SBTi sono poco più della metà.

Per Amazon un danno d’immagine, ma non solo

E Amazon? Nel 2019 ha promesso di azzerare o compensare tutte le proprie emissioni entro il 2040 e l’anno successivo ha sottoposto il suo obiettivo al vaglio della SBTi. Che però, tre anni dopo, l’ha rimosso dalla lista perché non corrispondeva ai requisiti richiesti.

«Noi di Amazon rimaniamo impegnati nel nostro ambizioso piano per raggiungere zero emissioni nette di CO2 – e i nostri obiettivi sono guidati dalla scienza». Inizia così la nota che Amazon ha pubblicato all’indomani della “bocciatura”. Spiegando che, a partire dal 2020, la SBTi ha aggiornato le proprie metodologie. E per organizzazioni così «complesse» è diventato più difficile rispettarle. Il colosso fondato da Jeff Bezos promette di proseguire il percorso iniziato con la SBTi, lasciando però aperta la porta alla ricerca di altri partner.

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Senza dubbio, si tratta di un danno d’immagine considerevole. Ma non solo. È stata anche la strategia climatica, sottolinea infatti Bloomberg, a permettere finora ad Amazon di entrare in oltre 900 fondi ESG registrati nell’Unione europea. All’interno del più grande exchange-traded fund (ETF) ESG al mondo, gestito da BlackRock, il peso dei titoli di Amazon supera il 3% del totale.

È lecito chiedersi se, e quanto, questa esclusione possa compromettere il suo posizionamento “sostenibile” sui mercati finanziari. Tanto più perché, come ulteriore garanzia per gli investitori, di recente sono stati lanciati indici borsistici che selezionano unicamente aziende che hanno ottenuto l’avallo della SBTi.