L’Artico, frontiera del mondo e dei cambiamenti climatici

Denaro, Pil e business L’Artico rappresenta una sorta di banco di prova. Dalle scelte che assumeremo lì, dipenderà il futuro del mondo.

La petroliera Chukotkanel porto di Egvekinot, 31 ottobre 2019 © KadnikovValerii/iStock

Venerdì 29 maggio 2020. Siamo a Norilsk, nella Siberia settentrionale. Una giornata che sembra come tante. Il traffico nella città. Il rumore. Le ciminiere che sputano fumo, come sempre, in quello che è uno dei centri urbani più inquinati al mondo. Ma a pochi chilometri dal centro, l’impensabile sta per accadere.

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In una centrale gestita dall’azienda Ntek, di proprietà del colosso minerario Norilsk Nickel, la struttura di un enorme deposito di carburante cede. 20mila tonnellate di diesel fuoriescono e finiscono nel fiume Ambarnaya. Poche ore dopo, le immagini satellitari mostrano il corso d’acqua colorato di rosso.

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Le autorità dichiarano lo stato d’emergenza. È uno dei peggiori disastri che siano mai avvenuti nella Russia artica. Causato probabilmente dal cedimento del suolo sul quale poggiava la struttura di stoccaggio di carburante. Quel suolo, nella Siberia del Nord, si chiama permafrost.

Il permafrost è a rischio. E con esso intere città

Per secoli il permafrost è stato considerato sicuro. E per questo, per decenni, è stato sfruttato dall’uomo, soprattutto per l’estrazione di fonti fossili e per attività minerarie. Ora però, con i cambiamenti climatici, siti industriali, vie di comunicazione e intere città sono a rischio. Perfino il presidente russo Vladimir Putin ha ammesso che «centinaia di centri urbani sono stati costruiti all’interno del Circolo polare artico. Se esso cominciasse a fondere, potete immaginare che conseguenze potrebbero esserci». «Si tratta – ha concluso – di un problema estremamente serio».

Secondo uno studio pubblicato da Nature Communications nel 2018, ad essere coinvolti sarebbero circa 3,6 milioni di persone. Nonché il 70% delle infrastrutture attualmente presenti nella zona. Un altro studio russo-americano, risalente al 2016, spiega che con la fusione del permafrost si potrebbe assistere ad un calo della “portanza” del suolo compreso tra il 75 e il 95%, di qui al 2050. Il che significa che la terra sarà sempre meno in grado di sopportare il peso delle costruzioni.

Secondo l’IPCC, il Gruppo intergovernativo di studio sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, se la crescita della temperatura media globale dovesse arrivare a 2 gradi centigradi, nel 2100, rispetto ai livelli pre-industriali, potremo aspettarci almeno una volta ogni dieci anni delle estati con l’intero ghiaccio artico completamente sciolto. Laura Meller, militante di Greenpeace Nordic.

Laura Meller, polar advisor di Greenpeace Nordic:

Dobbiamo cambiare il modo in cui ci rapportiamo tra di noi e quello in cui ci rapportiamo con il nostro Pianeta. Dobbiamo impegnarci a rendere protetto almeno il 30% dei nostri oceani, e farlo entro il 2030 per aiutare la Terra a far fronte alla crisi climatica. Oceani sani consentono di assorbire anidride carbonica dispersa nell’atmosfera, riducendo l’impatto della crisi climatica.

Eppure, le iniziative per la tutela degli oceani, e di quello artico in particolare, procedono a rilento. Non solo: numerosi colossi delle fonti fossili continuano a puntare sulla regione. Lo scioglimento dei ghiacci permette infatti di raggiungere luoghi finora difficilmente accessibili. Di installarci trivelle e cercare nuovi giacimenti. Il caso del colosso russo Rosneft è emblematico.

Fonti fossili, pesca e nuove rotte: le minacce sull’Artico

Eppure il mondo, per rispettare gli impegni climatici assunti dalla comunità internazionale, non dovrebbe più estrarre e bruciare combustibili fossili. Assieme alle fonti fossili, alle minacce sull’Artico si aggiungono poi la pesca intensiva e l’apertura di nuove rotte. Anch’esse agevolate dallo scioglimento dei ghiacci. Come nel caso del passaggio a Nord-Est.

Denaro, Pil e business rischiano dunque di prevalere. E l’Artico rappresenta in questo senso una sorta di banco di prova. Dalle scelte che assumeremo lì, dipenderà il futuro del mondo.

Laura Meller, polar advisor di Greenpeace Nordic:

Possiamo considerare le nostre scelte sul futuro dell’Artico come una sorta di test. O riusciremo, finalmente, a rispettare i limiti del Pianeta, oppure continueremo a spingerli sempre più in là, cercando di sfruttare ogni angolo del globo terrestre.