Shareholders for Change: «Basta assemblee generali a porte chiuse»

Nel presentare il suo Report 2024 la rete dell’azionariato critico analizza i successi ottenuti. E per il futuro chiede trasparenza

Le assemblee generali a porte chiuse impediscono in gran parte il dialogo e la possibilità di manifestare dissenso da parte di azionisti critici © Sincerely Media/Unsplash

«Il 2023 è stato un anno cruciale. Dopo cinque anni di continua crescita abbiamo deciso di consolidare la nostra struttura. E rendere la nostra governance più solida». A spiegarlo è stato Ugo Biggeri, presidente di Shareholders for Change (SfC), presentando il report annuale. «Abbiamo anche consolidato – ha aggiunto – il nostro rapporto con Ong e varie organizzazioni e movimenti dal basso. Sempre più spesso sono loro a rilevare le potenziali controversie sociali, ambientali e di governance che se non affrontate in tempo possono diventare rischiose per le aziende. Per noi è fondamentale stabilire relazioni con queste realtà».

Nel report si racconta come durante l’anno scorso i 17 membri della rete SfC, attraverso l’azionariato critico, abbiano coinvolto complessivamente 128 aziende e tre istituzioni. Per la maggior in Europa, e con un totale di oltre 35 miliardi di euro di patrimonio gestito. E come, oltre a impegnarsi direttamente con le imprese, alcuni membri di SfC abbiano deciso di occuparsi direttamente dei fondi di gestione patrimoniale. Coinvolgendo almeno 19 asset manager soprattutto negli Stati Uniti e in Germania.

Come sempre, la battaglia dell’azionariato critico è stata portata avanti presentando risoluzioni o votando nelle assemblee generali annuali (Agm). La maggior parte delle richieste ha riguardato questioni climatiche e ambientali, le politiche Esg e il rispetto dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori. Ma anche la questione delle armi. E, come nel caso del membro svizzero Ethius Invest, i criteri di esclusione legati al rispetto dei diritti degli animali. E infine uno dei punti fondamentali, che riguarda direttamente il nostro Paese: la questione delle “porte chiuse

Risultati incoraggianti e prospettive future

I risultati sono stati molto incoraggianti. Se è vero che il 48% delle iniziative di engagement intraprese negli scorsi anni sono ancora in corso, ben il 31% è stato completato nel 2023. Il report nota anche che nel 63% dei casi le aziende o le istituzioni interpellate si sono dimostrate collaborative, impegnandosi a mettere in pratica quanto era stato promesso. Oppure a rendere pubbliche le informazioni richieste. E solo nel 17% dei casi si sono rifiutate di aprire un dialogo con i membri di SfC.

«Ogni storia è diversa dalle altre, proprio perché ognuno dei nostri membri adotta strategie diverse. Come ci piace dire, Shareholders for Change è una bottega di artigianato, non una grande fabbrica. Siamo specializzati nel dialogo collaborativo a lungo termine con le aziende. Ma non disdegniamo il confronto, se necessario», continua il presidente Ugo Biggeri. Spiegando come quest’anno ci sia concentrati molto sulla trasparenza e sulla credibilità, per quanto riguarda la transizione ecologia e le politiche Esg. Oltre a cercare di sviluppare standard e procedure condivise.

Per questo SfC, insieme ad alcune realtà la compongono come ABS, BKC, Ethius, Etica Sgr e Forma Futura, sta lavorando alla definizione di tali standard attraverso otto punti chiave che possano servire come base per una discussione costruttiva. Dove viene richiesto che elementi come misure, scadenze, obiettivi intermedi e livelli di escalation, tra le altre cose, siano registrati nelle assemblee. E che il raggiungimento degli obiettivi previsti sia pianificato in modo realistico, tanto quanto la durata prevista del processo per raggiungerli.

L’azionariato critico dice no alle porte chiuse

L’altro punto fondamentale del report, quello che ci riguarda da vicino, è dedicato a contrastare la tendenza delle assemblee generali a svolgersi in via solo virtuale e a porte chiuse, approfittando delle legislazioni emergenziali prodotte in pandemia. Perché impedire la partecipazione indebolisce i diritti degli azionisti, limitando la possibilità di intervento diretto, di visualizzare i materiali presentati durante la riunione, di porre domande non moderate e di rilasciare dichiarazioni.

Su questo tema è intervenuto su queste pagine Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica, a proposito del “ddl Capitali” approvato dal governo Meloni. Un provvedimento tramite il quale, per la prima volta al mondo si dà la possibilità alle imprese, a tempo indeterminato e in modo permanente, di convocare le assemblee degli azionisti senza la partecipazione – online o fisica – degli azionisti stessi. Un colpo mortale alla partecipazione democratica degli azionisti di minoranza alla vita delle imprese. E un attacco alla Costituzione.

Per questo motivo Shareholders for Change ha lanciato un appello, ispirato alla Dichiarazione dell’ICGN sulle pratiche dell’Assemblea generale post-Covid e sui diritti degli azionisti, in cui si chiede almeno un approccio ibrido. Una modalità che consenta la partecipazione sia di persona che virtuale da parte degli azionisti e che possa preservare l’interattività costruttiva e democratica tra gli azionisti e il consiglio di amministrazione. Oltre a chiedere inoltre l’uso di tecnologie affidabili nel caso delle riunioni virtuali. Per consentire un accesso democratico e efficiente a tutti i partecipanti, e la rimozione dei controlli per prevenire l’esclusione delle opinioni impopolari.