Tutti i rischi che corriamo con i tassi della Bce ai massimi storici

La Banca centrale europea ha ritoccato ulteriormente i tassi, portandoli al 4,5%. Così rischia di combattere l'inflazione con la recessione

Alessandro Volpi
La Bce continua a seguire una linea ferrea sull'inflazione © Phototreat/iStockPhoto
Alessandro Volpi
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Le previsioni sull’andamento del Prodotto interno lordo dell’Eurozona per il 2023 forniscono un dato inferiore all’1%. E l’inflazione generale esprime segnali di parziale raffreddamento. Anche i consumi continuano a rallentare e difficoltà crescenti coinvolgono le esportazioni. Nonostante questi elementi ormai molto chiari la Banca centrale europea ha deciso di portare i tassi al livello record del 4,5%, proseguendo nella strategia di restrizione della liquidità.

I governi mostrano di condividere la rigidità della Bce, che combatte l’inflazione con la recessione

Sulla stessa linea si è mosso l’Eurogruppo, riunitosi in modo informale a Santiago de Compostela. Dove la strategia emersa in maniera netta è stata quella di condividere la rigidità delle Bce e di accompagnarla con politiche nazionali altrettanto restrittive. In sintesi, per le autorità europee l’inflazione si batte con la recessione: una formula che sembra stia riuscendo benissimo.

La dimostrazione forse più esplicita di una simile strategia è la decisione, adottata dall’istituto di Francoforte, di remunerare i depositi delle banche con un interesse del 4%. In altre parole, anziché indurre gli istituti di credito a fare prestiti al sistema produttivo la Bce ha scelto di spingere le banche a congelare le loro attività. Ottenendo una remunerazione, appunto, del 4%.

Le scelte della Banca centrale europea bloccano il credito produttivo delle banche

In sostanza gli alti tassi voluti da madame Lagarde, anche contro il parere di una parte del board della Bce, hanno come effetto quello di premiare la finanziarizzazione e bloccare il credito produttivo. Le banche distribuiranno infatti corposi dividendi ai propri azionisti, costituiti in larga misura da grandi fondi. Senza dover impegnarsi nell’economia reale.

Con questi margini, del resto, le stesse banche saranno ancora più decisive nella determinazione delle sorti delle imprese. Ciò in quanto, per far fronte alle eventuali difficoltà dei propri principali creditori, potranno concentrare in tale direzione la loro attività creditizia. Sia attraverso i prestiti sia attraverso l’acquisto azionario e obbligazionario.

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In questo senso la “politica” di Lagarde rende le banche, soprattutto quelle più grandi, i pivot di un complesso di interventi che sono prima di tutto di natura finanziaria, a difesa del loro portafoglio titoli e dei loro dividendi, a cui subordinare ogni altra prospettiva. Con gli alti tassi tutte le distorsioni già insite nella natura di “banca delle banche”, propria della Bce, si amplificano a dismisura.

Negli Stati Uniti agli alti tassi viene accompagnata un’imponente spesa pubblica

Il paradosso di una simile situazione consiste nel fatto che tutto ciò avviene mentre gli Stati Uniti accompagnano la linea degli alti tassi della Fed con un vasto piano di spesa pubblica concepito a sostegno del sistema produttivo. E finalizzato ad attrarre capitali da tutto il mondo. Ovviamente anche dall’Europa, con ulteriori perdite di liquidità per il Vecchio continente.

Peraltro, come è noto, gli oltre mille miliardi di dollari pagati dal governo federale per gli interessi sul debito sono coperti con il ricorso alla produzione di dollari. Senza effetti recessivi in termini fiscali. Proprio l’aumento del costo dei debiti pubblici nazionali rappresenta invece l’ulteriore effetto negativo delle scelte della Bce. Che tolgono fiato alle politiche pubbliche e remunerano, di nuovo, banche e investitori esteri in possesso dei titoli dei debiti nazionali. Ai quali stanno facendo una concorrenza crescente anche le emissioni di debito comune europeo, necessarie per finanziare il programma Next Generation Eu, caratterizzato da una attuazione sempre più complicata.

Se poi davvero si giungesse ad un ripristino del vecchio Patto di stabilità o ad una nuova formula basata sul criterio della spesa netta, destinata a conteggiare sia pur indirettamente il conto degli interessi, le sorti europee sarebbero inevitabilmente contraddistinte dalla recessione. Bisognerebbe invece tener conto del fatto che in questa fase non solo sarebbe necessario favorire gli investimenti strategici. Ma occorrerebbe rendere possibile anche la spesa corrente necessaria a metterli a regime, alimentando al contempo la domanda interna. Solo così si può tentare di ridurre le disuguaglianze ed evitare una nuova recessione devastante.


Alessandro Volpi sarà a FestiValori, il festival di Valori.it che si tiene a Modena dal 20 al 22 ottobre. Parlerà di finanziarizzazione dell’economia al Teatro San Carlo alle 16:30, domenica 22 ottobre.