Tassonomia, dalla sinistra alla destra estrema: come hanno votato gli eurodeputati

Il voto sulla tassonomia è stato l'epilogo di una battaglia. Ma come hanno votato i vari gruppi politici del parlamento europeo?

La sessione plenaria che ha approvato la tassonomia secondo la proposta della Commissione europea © Philippe Stirnweiss/European Union 2022

Come era previsto, nel Parlamento europeo non si sono trovati i numeri per respingere la normativa delegata della Commissione relativa alle attività economiche nel settore energetico incluse nella tassonomia sulla sostenibilità ambientale, che ora comprende gas e nucleare.

Proviamo a dare qualche informazione e valutazione più in profondità sulla “battaglia” istituzionale che ha portato al voto del Parlamento. Perché di “battaglia” si è trattato. Su vari livelli.

Un conflitto fra poteri legislativo (Parlamento) ed esecutivo (Commissione). Di fatto, l’atto delegato adottato dalla Commissione, necessariamente, all’unanimità dei suoi componenti, ha trovato uno scoglio nel Parlamento. Dei 705 parlamentari, ben 278 hanno votato una Risoluzione (approvata a maggioranza dalle commissioni Economia e Affari Monetari e Ambiente, Salute e Sicurezza Alimentare) che respingeva l’atto delegato della Commissione. Tuttavia non sono stati sufficienti. Perché i favorevoli a nucleare e gas nella tassonomia sono stati 328 e 33 gli astenuti.

Dentro la Commissione, si sa, sono valsi gli interessi di Francia (per il nucleare) e di Germania e Italia (per il gas). Nel Parlamento gli schieramenti sono stati ben più articolati. Molto compatto per il no a gas e nucleare il gruppo Socialisti & Democratici (154 parlamentari), con soli 21 contrari (per lo più dell’Europa centrorientale) e 11 astenuti. Ovviamente i Verdi (74), con 1 solo astenuto; e la Sinistra (41). All’opposto compatti per la proposta della Commissione i Popolari (182), però con 37 contrari e 7 astenuti; i sovranisti di Identità & Democrazia (73); e il gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei (62).

Divisi invece i liberali di Renew Europe (108) ma tendenti al sostegno alla Commissione: 28 contro gas&nuke, 10 astenuti e 60 a favore. Il gruppo degli Indipendenti (57) spaccato in due come una mela: 17 contrari (fra cui i deputati del M5S) e 18 a favore, 4 astenuti.

La battaglia che si è consumata in Aula era stata preceduta da un’altra fra Commissione e il Gruppo di esperti sulla finanza sostenibile, istituito dalla stessa Commissione, che in un report sulla tassonomia del marzo 2020 aveva assunto una posizione fondata su criteri scientifici sulla attività ritenute ambientalmente sostenibili che non includeva gas e nucleare. Stessa cosa dicasi per quanto riguarda la Piattaforma della Finanza Sostenibile, anch’essa istituita nell’ambito dell’Action Plan della Commissione che nel marzo 2022 aveva dichiarato che gas e nucleare non potevano essere considerate attività sostenibili.

Contrasti tecnico-scientifici, ma fondati su solidi motivi giuridici. Primo fra tutti il fatto che, per essere qualificate come ambientalmente sostenibili dalla tassonomia, le attività economiche considerate devono soddisfare cumulativamente i 4 requisiti stabiliti dall’art.3 del Regolamento Ue 2020/852. Cioè: 1) devono contribuire in modo sostanziale a uno o più degli obiettivi ambientali stabiliti all’art.9 dello stesso Regolamento; 2) non devono arrecare danni significativi a quegli stessi obiettivi; 3) devono essere realizzati in conformità con le minime garanzie di salvaguardi ambientale stabilite all’art.18; 4) devono essere conformi ai criteri tecnici di monitoraggio stabiliti dal Regolamento. Tanto nucleare quanto gas, per motivi diversi, non riescono a soddisfare tutti e quattro questi criteri.

La risoluzione che proponeva di respingere l’atto delegato della Commissione (come tale non emendabile), di cui la parlamentare S&D Simona Bonafé era l’unica firmataria italiana, metteva in evidenza anche con conflitto istituzionale che, forse, potrebbe anche essere impugnato di fronte alla giustizia amministrativa europea.

Prima di tutto la Commissione aveva trasmesso la bozza dell’atto delegato agli Stati Membri il 31 dicembre 2021, senza aver prima consultato il Parlamento europeo. Questo è un grave vulnus perché il Parlamento, in quanto co-legislatore, riveste una posizione paritaria nel processo decisionale. Eppure la Commissione non ha dato la possibilità al Parlamento di esprimere preventivamente parere ed osservazioni. Si tratta dell’ennesimo conflitto fra il “metodo governativo”, che vede prevalere gli interessi dei governi degli Stati membri, e quello “democratico”, che richiederebbe una piena responsabilizzazione dei parlamentari eletti dai cittadini europei.

Infine, adottando la risoluzione, le commissioni parlamentari avevano richiesto alla Commissione di sottoporre l’atto delegato ad una consultazione pubblica e anche una seria valutazione d’impatto degli effetti dell’atto stesso. La Commissione ha ignorato tale richiesta.

Dunque, c’è stata battaglia su questa decisione. Ed è importante averlo presente. Perché potrebbe continuare la battaglia nelle corti (così avevano dichiarato Austria e Lussemburgo). Ma soprattutto perché la crisi ucraina ha messo in evidenza quanto fragile sia la dipendenza da alcune fonti energetiche fossili (gas) e problematica la presenza di impianti di produzione di energia. Per quanto pessima sia stata la scelta della Commissione e del Parlamento europei, non è ancora una pietra tombale su una vera transizione ecologica in Europa.