Sciopero dei mutui: cosa rischia l’economia cinese
Crescono i casi di sciopero dei mutui in Cina. Cosa rischia l'economia con lo stop al rimborso dei prestiti da parte di gruppi di cittadini?
Dopo aver rimborsato per anni le rate dei mutui per case in costruzione o ancora da costruire, alcuni gruppi di cittadini cinesi hanno iniziato uno “sciopero dei mutui”. Stufi di dover pagare per case che avrebbero già dovuto ricevere (e che in alcuni casi, forse, non vedranno mai) hanno semplicemente smesso di pagare. Ma qual è il rischio per l’economia cinese?
La lunga crisi del settore immobiliare cinese
La crisi del settore immobiliare cinese viene da lontano. Finora erano le imprese costruttrici a non far dormire sonni tranquilli a banche e istituzioni (cinesi e non). Per mesi si è parlato della crisi di Evergrande e del suo possibile fallimento. Poi la paura si è estesa ad altri grandi operatori del settore – come Kaisa Group – che non hanno ripagato alcune obbligazioni a scadenza.
Stavolta tutto è iniziato nell’est della Cina, a Jingdezhen. Un gruppo di proprietari ha deciso di smettere di pagare per boicottare le imprese immobiliari. Stanchi di lavori di costruzione che procedono a rilento o talvolta sono interrotti da anni. Da lì, la protesta si è diffusa. Prima riguardava 35 progetti di costruzione in 22 città. Ora almeno 91 città diverse e più di 300 gruppi di cittadini.
Oggi, quindi, ai mancati pagamenti dei debiti da parte delle grandi società immobiliari si aggiungono quelli delle rate dei mutui da parte delle famiglie. Che, fino ad oggi, erano ritenute pagatori migliori e più sicuri rispetto alle imprese. Inoltre, alla protesta si starebbero aggiungendo anche alcuni fornitori. Che avrebbero deciso, a loro volta, di smettere di rimborsare i prestiti. Almeno fino a quando le imprese costruttrici non avranno saldato i propri debiti. Il rischio di un grande aumento dei crediti deteriorati si fa così più concreto. Tanto per le banche quanto per l’intera economia cinese.
Un rischio per tutta l’economia cinese
In Cina il settore immobiliare rappresenta il 30% del Pil. Una quota enorme, se confrontata con quella delle altri grandi economie (dove è inferiore al 20%). E a questo settore che il Paese asiatico deve una quota significativa della sua crescita. Anche per questo le autorità bancarie e di vigilanza – così come le banche stesse – temono effetti negativi sui mercati cinesi.
Ciò che spaventa non è tanto l’ammontare dei prestiti attualmente coinvolti dalla protesta (oggi limitato, benché probabilmente destinato ad aumentare). Anche perché il governo cinese sembra esser pronto ad iniettare liquidità nel sistema, attraverso un fondo pubblico destinato a terminare i progetti interrotti. Con una dotazione iniziale di 80 miliardi di yuan (poco meno di 12 miliardi di dollari) che potrebbe aumentare fino a 300 miliardi (circa 44 miliardi di dollari).
Ciò che preoccupa, piuttosto, è che il sentimento di sfiducia vada a contagiare anche le vendite – già in calo – degli immobili, abbassandone ulteriormente i prezzi. In questo caso, i costruttori potrebbero trovarsi a corto di liquidità e il rischio di fallimento tornerebbe ad essere una possibilità più che concreta. Con conseguenze che andrebbero a pesare anche su finanziatori – principalmente banche e fondi d’investimento – e fornitori.