Nonostante il terremoto, la Turchia continua a vessare i curdi
Non è bastata una catastrofe umanitaria di dimensioni epocali per placare l'impeto della Turchia contro i curdi
«Quello a cui stiamo assistendo è uno Stato che tratta i propri cittadini come nemici. Il governo turco odia i poveri, le minoranze etniche, e chiunque non ripeta a pappagallo la propaganda di Stato». Gözde Cagri, giornalista dell’Agenzia Mesopotamia in Turchia, è appena tornata dalle zone terremotate. La voce professionale a tratti si incrina, tradisce la rabbia nell’aver visto persone abbandonate a loro stesse, senza cibo e acqua. Di essere testimone di uno Stato che confisca gli aiuti della società civile e di gruppi politici opposti.
E soprattutto di vedere morire decine di persone. «Chiunque critichi il governo – spiega – finisce in prigione. Sono state arrestate persino le vittime del terremoto perché hanno protestato la mancanza di soccorsi».
Nella notte del 6 febbraio scorso era sveglia a lavorare: «Il mio coinquilino, anche lui giornalista, ha ricevuto una chiamata dai genitori da Diyarbakir e ci hanno informati di quello che stava accadendo». Poche ore dopo Cagri e due suoi colleghi hanno cominciato il lungo viaggio da Ankara verso le zone terremotate.
«Ci hanno fermato – racconta – a ogni singolo posto di blocco, siamo arrivati 12 ore dopo ad Hatay. Decine di persone ci sono venute incontro per chiederci perché ci abbiamo messo tanto. Erano sollevati nel vedere dei giornalisti, speravano che presto qualcuno sarebbe arrivato a scavare». Dalle macerie sentivano le voci delle persone intrappolate, tutti hanno cercato di aiutare ma in troppo pochi avevano gli strumenti e le conoscenze per aiutare davvero.
I ritardi nei soccorsi, frutto di un sistema corrotto
I soccorsi sono arrivati il terzo giorno. Un drammatico ritardo che è costato la vita a migliaia di persone, e frutto di un sistema corrotto e poco flessibile. Tutte le squadre devono avere l’approvazione dell’AFAD, fondata nel 2006 per coordinare gli interventi post-disastri. L’agenzia con la sua burocrazia centralizzata ha fatto da imbuto e centinaia di soccorritori sono stati rimandati a casa. La stessa cosa è successa a squadre internazionali arrivate da Austria, Germania e Israele. Tutti fermi ad aspettare. Eppure, se soccorse nelle prime 24 ore, la probabilità di essere salvata di una persona finita sotto le macerie è del 75%.
Ad oggi le vittime sono oltre 41mila solo in Turchia, ma in molti pensano che nelle prossime settimane raddoppieranno. «Ci dicono che potrebbero arrivare a 100mila», spiega Yilmaz Orkan, della onlus Ufficio informazione Kurdistan Italia (UIKI) che aggiunge: «Su undici province colpite, sette sono a maggioranza curda. Noi stiamo lavorando in tutte le zone come possiamo». Quasi 300mila case sono crollate, lasciando almeno due milioni di persone senza un tetto. In totale 15 milioni di turchi vivevano nella zona colpita, di cui 9 milioni di curdi.
La corruzione è sistemica, ma nessuno ne può parlare
Un disastro senza precedenti che oggi però comincia a bruciare. Era il 1999 quando un giovane Recep Tayyip Erdogan cavalcò per le sue ambizioni politiche il terremoto che colpì Izmit, a un centinaio di chilometri da Istanbul, e che fece 17mila morti. «Queste non sono vittime del terremoto ma di mancata prevenzione», aveva dichiarato ai tempi. Dal 2003 quando l’AKP, il Partito della giustizia e dello sviluppo, ha preso il potere, Erdogan ha puntato tutto sulla speculazione edilizia e sul rinnovo delle infrastrutture. Oggi in molti si chiedono che fine hanno fatto i quasi 4,2 miliardi di dollari raccolti dalla specifica tassa di prevenzione per i terremoti, visto che la metà dei palazzi crollati è stata costruita dopo il 2001.
«L’arresto dei 130 costruttori, della scorsa settimana, è solo una facciata. Per ogni imprenditore che non ha usato i materiali adeguati ci sono un ispettore che ha dato il via libera, e un’amministrazione che ha firmato i permessi», continua Cagri. Insomma, la corruzione è sistemica, ma nessuno ne può parlare. Ai giornalisti non è permesso di lavorare.
Gli aiuti non statali confiscati dallo Stato
Grave è anche come il governo di Erdogan abbia bloccato gli aiuti non-statali alle popolazioni colpite. Il ministro dell’Interno Süleyman Soylu ha minacciato tutti coloro che «sfruttano le donazioni e cercano di competere con lo Stato». Gli aiuti arrivati da varie Ong, sindacati, cittadini privati, sono stati confiscati.
«Due marchi di birra hanno inviato cappelli, guanti, e felpe nelle zone colpite. La gente aveva bisogno di qualcosa per coprirsi, le temperature di notte sono arrivate a -20 gradi centigradi. Ma le autorità piuttosto di vedere le persone vestite con dei marchi di birra ha deciso di non distribuirli», racconta ancora Cagri. «Il grande problema ora sono la mancanza di tende. Troppe persone non hanno un posto dove andare», rimarca Orkan che è in contatto con diverse persone nella zona.
Dalla Turchia 53 attacchi contro i curdi
In molti si domandano cosa succederà alle elezioni previste per maggio, perché Erdogan potrebbe provare a posticiparle di un anno, avendo già promesso la costruzione di nuovi edifici entro 12 mesi. Per il 10 marzo il nodo sarà sciolto. Ma intanto la terra continua a tremare, e nonostante l’emergenza Erdogan continua ad attaccare i curdi nella Siria nord-orientale e nel Kurdistan iracheno.
«Dal 6 febbraio la Turchia ha lanciato almeno 53 nuovi attacchi», prosegue Orkan. La settimana scorsa un drone ha colpito un’auto con a bordo quattro civili a Kobane. Di nuovo morti e feriti. Secondo il partito di opposizione HDP il governo di Erdogan dovrebbe dimettersi visto il disastro. Ma, secondo la politica curda Pervin Buldan «non hanno nemmeno una coscienza».
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