In Italia in 71 possiedono 272 miliardi di euro. E gli altri si impoveriscono
Il nuovo rapporto di Oxfam racconta come l’aumento delle ricchezze coincida con l’acuirsi delle disuguaglianze, in Italia e nel mondo
Secondo il rapporto Oxfam sulle disuguaglianze del 2025, in Italia, a metà del 2024, il 10% più ricco dei nuclei familiari (titolare di quasi tre quinti della ricchezza netta del Paese) possedeva oltre 8 volte la ricchezza della metà più povera delle famiglie. Il rapporto era pari a 6,3 appena quattordici anni fa. Il fenomeno dell’inversione delle fortune è di lungo corso. Tra dicembre 2010 e giugno 2024 la quota di ricchezza del top-10% delle famiglie è aumentata di oltre 7 punti percentuali. Passando dal 52,5% al 59,7%. Mentre quella detenuta dal bottom-50% si è contratta di quasi 1 punto (dall’8,3% al 7,4%). La ricchezza è fortemente concentrata al vertice. Il 5% più ricco delle famiglie italiane, detentore del 47,7% della ricchezza nazionale, possiede oggi quasi il 20% in più dell’ammontare di ricchezza complessivamente detenuta dal 90% più povero.
I gruppi sociali più abbienti hanno visto crescere significativamente la propria quota di ricchezza negli ultimi decenni. Lo 0,1% più ricco degli italiani ha registrato un incremento di oltre il 70% tra il 1995 e il 2016 (dal 5,5% al 9,4%). Beneficiando inoltre di un rendimento medio annuo sui patrimoni (5%) quasi doppio rispetto a quello (2-3%) del 90% più povero degli italiani. Con uno sguardo ancor più granulare, nel 2024 la ricchezza dei miliardari italiani è aumentata di 61,1 miliardi di euro – al ritmo di 166 milioni di euro al giorno – raggiungendo un valore complessivo di 272,5 miliardi di euro detenuto da 71 individui. L’ammontare permetterebbe di coprire l’intera superficie della città di Milano con banconote da 10 euro. Quasi 2/3 della ricchezza miliardaria (il 63%) in Italia è frutto di eredità.
In Italia la povertà assoluta è oltre il livello di guardia
La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi netti equivalenti in Italia ha registrato un lieve miglioramento nel 2022. Insufficiente, tuttavia, per migliorare la ventesima posizione dell’Italia (condivisa con la Spagna) tra i 27 Paesi UE. Nel 2023 il fenomeno della povertà assoluta mostrava in Italia un quadro stabile rispetto all’anno precedente, ma di grande preoccupazione. Poco più di 2,2 milioni di famiglie per un totale di 5,7 milioni di individui versavano nel 2023 in condizioni di povertà assoluta. Non disponendo di risorse mensili sufficienti ad acquistare un paniere di beni e servizi essenziali per vivere in condizioni dignitose. L’incidenza della povertà a livello familiare è lievemente aumentata in un anno passando dall’8,3% all’8,4%. Mentre quella individuale è rimasta invariata al 9,7%.
«L’andamento positivo del mercato del lavoro nel 2023 non ha comportato la riduzione dell’incidenza della povertà assoluta. Ostacolata dall’impatto dell’inflazione ancora elevata e con effetti più marcati sulle famiglie meno abbienti», dice Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia. «La dinamica del 2024 risentirà verosimilmente del rallentamento dell’economia nazionale. Ma peserà anche la portata delle misure di contrasto alla povertà che hanno sostituito il reddito di cittadinanza. Rispetto al reddito di cittadinanza, l’Assegno di Inclusione ha comportato una contrazione del 37,6% del numero dei nuclei beneficiari. E uno scostamento maggiore tra famiglie che beneficiano del sussidio e quelle in povertà assoluta. Fallimentare fin qui è anche l’esperienza del Supporto per la Formazione ed il Lavoro che va prefigurando una lenta transizione dall’occupabilità alla disperazione».
Oxfam e il mercato del lavoro: non è tutto oro quel che luccica
La ripresa occupazionale post-pandemica con il tasso di occupazione al 62,4% – trainato dall’occupazione over-50 – o quello, ai minimi storici, della disoccupazione al 5,7%, spiegato in parte dall’aumento degli inattivi la cui incidenza colloca l’Italia in cima all’UE, non devono distogliere l’attenzione dai problemi strutturali del mercato del lavoro nazionale. Persistono forti squilibri territoriali e forti ritardi occupazionali nei confronti dell’UE. I giovani e le donne continuano a subire una marcata sotto-occupazione e una qualità lavorativa più bassa. A fare da contraltare alla dinamica occupazionale positiva è la questione salariale.
Il mercato del lavoro italiano è infatti contraddistinto da una moderazione salariale di lungo corso: il salario medio annuale reale è rimasto pressoché invariato negli ultimi trent’anni. Nel periodo più recente, tra il 2019 e il 2023, le retribuzioni lorde effettive sono cresciute in media del 6-7%. Quelle nette sono cresciute di ulteriori 3 punti percentuali. circa per effetto del taglio del cuneo contributivo. E, in misura marginale, per quello derivante dai diversi interventi di riforma dell’Irpef. Comunque misurata, nello stesso periodo, l’inflazione cumulata si è attestata intorno al 17-18%, causando una contrazione del salario lordo reale di oltre 10 punti.
«Piuttosto che adottare toni acriticamente trionfalistici sulla crescita dell’occupazione, il governo dovrebbe affrontare con maggior vigore le datate debolezze strutturali del mercato del lavoro italiano. Favorendo la riduzione dei divari retributivi e delle sacche di lavoro povero», aggiunge Maslennikov. «Non sembra tuttavia questa l’intenzione dell’esecutivo. Una chiara politica industriale, orientata alla creazione di buona occupazione, resta del tutto assente. Accompagnata da un immobilismo sul rafforzamento della contrattazione collettiva e sulla revisione del sistema di fissazione dei salari. Nonché dall’affossamento del salario minimo legale come tutela dei lavoratori più fragili e meno protetti. Insistere sulla liberalizzazione dei contratti a termine, di somministrazione e stagionali e ridurre le tutele del lavoro negli appalti rischia di esasperare ulteriormente saltuarietà, discontinuità e precarietà lavorativa».
I problemi dell’autonomia differenziata
La legge sull’autonomia differenziata ha rappresentano nel 2024 un ulteriore elemento di forte preoccupazione e sconcerto. Ponendosi in netta antitesi ad un’azione di contrasto alle disuguaglianze. Il regionalismo competitivo cui è improntata la legge Calderoli, invalidato alla radice dalla Corte costituzionale, ha messo ulteriormente a repentaglio l’uguaglianza dei cittadini che già oggi scontano gravi divari nella disponibilità e nella fruizione di servizi pubblici, marcatamente differenziati a seconda del territorio di residenza.
In contrasto con l’idea di un regionalismo solidale, le scelte del Governo rischiano di trasferire, senza valide motivazioni, alle Regioni a statuto ordinario molteplici competenze esclusive su temi fondamentali delle politiche pubbliche, p prefigurano un passaggio dal bilancio dello Stato a quello delle Regioni di una porzione consistente della spesa pubblica con un incentivo all’utilizzo poco efficiente e trasparente delle risorse.
La democrazia fiscale tradita
Il Governo appare poco preoccupato dal fatto che i contribuenti italiani più ricchi versano al fisco, in proporzione al proprio reddito, meno imposte dirette, indirette e contributi, rispetto ai cittadini con redditi più bassi. E che l’85% degli italiani, trasversalmente a tutti i partiti, ritenga il nostro sistema fiscale profondamente iniquo. Le misure del Governo in materia fiscale nel 2024 – dalla revisione dell’Irpef all’ampliamento del regime forfettario, dalla tassazione dei fringe benefit al concordato biennale preventivo – prefigurano una disattenzione all’equità distributiva. E un tradimento della democrazia fiscale.
Preservare la frantumazione del sistema fiscale italiano in molteplici regimi preferenziali e scendere, in nome della lotta all’evasione, a patti iniqui con i contribuenti ritenuti meno fedeli al fisco è indicativo della poca attenzione dell’esecutivo per la tenuta del contratto sociale. L’Italia resta un Paese in cui sempre gli stessi pagano le imposte per sostenere quel che rimane dei beni e servizi pubblici di carattere universalistico. Beni e servizi cui corrispondono diritti sociali come la sanità e l’istruzione, oggi ampiamente sottofinanziati e permanentemente a rischio di tagli.
Le raccomandazioni di Oxfam al governo italiano
Coerentemente e limitatamente ai focus del rapporto, ecco le principali raccomandazioni che Oxfam rivolge al governo italiano per ripensare profondamente le misure di contrasto a povertà ed esclusione lavorativa, garantendo la possibilità di accedere a uno schema di reddito minimo a chiunque si trovi in difficoltà. Per quanto riguarda invece le misure per contrastare il lavoro povero e promuovere un lavoro dignitoso per tutti, Oxfam raccomanda di disincentivare l’utilizzo dei contratti non standard. Definire i contratti collettivi principali. Introdurre un salario minimo legale. Perseguire politiche industriali che favoriscano la buona occupazione. Introdurre condizionalità alle imprese per l’accesso agli incentivi pubblici.
Riguardo alle misure in materia fiscale per una maggiore equità del sistema impositivo, Oxfam propone di favorire una generale ricomposizione del prelievo e rafforzare l’equità orizzontale del sistema impositivo. Introdurre un’imposta progressiva sui grandi patrimoni. Aumentare il prelievo sulle grandi successioni. Promuovere una revisione del prelievo immobiliare. Non perseguire interventi condonistici. Dare impulso a una serrata lotta all’evasione fiscale. Abrogare il disegno di legge sull’autonomia regionale differenziata.