Ogni 11 giorni un’acquisizione: così le Big Tech divorano il mercato
Dal 2019, le cinque Big Tech hanno assorbito quasi 200 aziende. Ma solo il 4% delle operazioni è stato oggetto di indagine
Alphabet, la holding a cui fa capo Google, ha recentemente annunciato la più grande acquisizione della sua storia: l’acquisto della startup israeliana di cybersicurezza Wiz per la cifra record di 32 miliardi di dollari. Nonostante l’entità dell’operazione, esiste il rischio concreto che l’accordo sfugga ai controlli normativi, in particolare in giurisdizioni come l’Unione europea. Si tratta dell’ultimo esempio – tra i più emblematici – della strategia di espansione silenziosa portata avanti dalle Big Tech negli ultimi anni.
Ogni 11 giorni, infatti, avviene una nuova acquisizione. Dal 2019 a oggi, i cinque colossi del digitale – Alphabet (Google), Amazon, Apple, Meta (Facebook) e Microsoft, insomma i Gafam – hanno rilevato almeno 191 aziende nel mondo. Una strategia di espansione sistematica che ha modificato gli equilibri del mercato tecnologico, senza che le autorità di regolamentazione riuscissero a porre un argine. Secondo il nuovo strumento open source Big Tech M&A Tracker, appena l’4% di queste operazioni è stato oggetto di indagine da parte delle autorità antitrust. E solo due fusioni sono state effettivamente bloccate.
Nel frattempo, due terzi delle aziende acquisite hanno cessato l’attività o chiuso i propri siti web, spesso assorbite all’interno dei servizi delle multinazionali che le hanno rilevate. Una “distruzione creativa” che non lascia spazio a nuovi concorrenti, ma rafforza la concentrazione di potere nelle mani di pochi attori.
Tutte le acquisizioni delle Big Tech, in un unico database
Il tracker, realizzato dalla ong olandese SOMO (Centre for Research on Multinational Corporations), raccoglie e rende accessibili tutte le acquisizioni effettuate dalle cinque Big Tech dal 2010 a oggi. Ma il dato più allarmante riguarda gli ultimi sei anni, in cui si sono fatte più frequenti e aggressive. Un fenomeno giudicato positivamente dalle stesse Big Tech. Ad esempio, nel 2019 il Ceo di Apple Tim Cook ha dichiarato che «in media Apple acquista un’azienda ogni due o tre settimane».
«Il nostro strumento vuole colmare un vuoto informativo», scrive SOMO. «Giornalisti, accademici e policy maker hanno bisogno di dati accessibili e trasparenti per comprendere le strategie di espansione delle multinazionali tech e il fallimento della regolamentazione attuale».
Antitrust inefficace: le Big Tech sfuggono ai controlli sulle acquisizioni
La fotografia che emerge dal tracker è impietosa. Il sistema di controllo delle concentrazioni non è attrezzato per affrontare l’espansione delle piattaforme digitali. In molti casi, le acquisizioni non raggiungono le soglie di fatturato necessarie per essere notificate alle autorità. Questo accade soprattutto con startup o aziende innovative in fase iniziale che non generano ancora profitti significativi ma rappresentano un potenziale rischio concorrenziale per le Big Tech.
Il risultato è che operazioni strategiche passano inosservate o vengono approvate senza condizioni. Un esempio è l’acquisizione da parte di Google della startup Fitbit, per la quale si è aperta un’indagine antitrust solo dopo forti pressioni politiche)
Il mercato digitale è dominato da pochi: scomparsa della concorrenza
Questa ondata di fusioni ha effetti profondi sulla struttura del mercato digitale. In primo luogo, riduce la concorrenza: molte delle aziende acquisite operavano in settori emergenti come l’intelligenza artificiale, la realtà aumentata, i servizi cloud o la logistica. Una volta inglobate, spesso vengono smantellate o integrate nei prodotti dei giganti tech, eliminando potenziali competitor prima ancora che possano consolidarsi.
In secondo luogo, concentra ulteriormente la proprietà dei dati, il vero asset del XXI secolo. Ogni acquisizione aggiunge un nuovo strato alla già vasta capacità delle Big Tech di raccogliere, incrociare e monetizzare informazioni sugli utenti. Infine, soffoca l’innovazione. «Se l’unica prospettiva per una startup è essere comprata da Google o Amazon, viene meno lo stimolo a creare alternative realmente indipendenti», osservano i ricercatori di SOMO.
Come la politica può fermare lo strapotere delle Big Tech
A livello europeo, il Digital Markets Act (Dma) e il Digital Services Act (Dsa) sono tentativi recenti di contenere il potere dei “gatekeeper” digitali. Ma le nuove norme non sono ancora pienamente operative, e restano fragili di fronte all’abilità delle multinazionali nel muoversi tra le maglie delle leggi.
Negli Stati Uniti, la Federal Trade Commission (Ftc) ha promesso un approccio più aggressivo verso le concentrazioni, ma i risultati sono ancora limitati. Le cause antitrust contro Meta e Amazon sono in corso, ma il percorso è lungo e pieno di ostacoli legali. Intanto, un rapporto di Ftc rileva che tra il 2010 e il 2019 le aziende Big Tech hanno effettuato 819 transazioni che non hanno soddisfatto le soglie di segnalazione previste dalle norme statunitensi sul controllo delle fusioni.
Nel frattempo, il tracker di SOMO offre uno strumento prezioso per chi vuole vigilare, denunciare e proporre alternative. «Non possiamo affidare il futuro digitale a cinque aziende private», scrive l’organizzazione. «È tempo di ripensare le regole del gioco».
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