Oxfam: Ue troppo debole sui paradisi fiscali “interni”. E l’Italia perde 6,5 mld
La Ong accusa: norme europee aiutano le politiche pro-elusione di Cipro, Malta, Olanda, Lussemburgo e Irlanda. Per le 4 principali economie Ue un danno da 35 miliardi
I paradisi fiscali? Si trovano anche nel cortile di casa e non solo, come si è abitualmente portati a pensare, all’ombra di qualche palma là in mezzo ai Caraibi. È l’aspetto forse più interessante emerso in questi giorni da un rapporto di Oxfam. Un’analisi spietata che è anche, se non soprattutto, un duro atto d’accusa all’Unione europea.
Se Bruxelles applicasse anche ai suoi Stati membri i criteri elaborati per le giurisdizioni extra europee, rileva la Ong, nella blacklist dei tax haven entrerebbero a pieno titolo ben cinque nazioni dell’Unione. L’elenco rivisto, nel dettaglio, comprenderebbe infatti Cipro, Malta, Olanda, Lussemburgo e Irlanda. Paesi che «giocano un ruolo di primo piano nella corsa globale al ribasso in materia di fisco societario».
Equità? No, pratiche dannose
Il fatto, sostiene ancora Oxfam, è che i criteri adottati dall’Europa non sarebbero sufficientemente severi. «Quelli relativi all’equità fiscale – in particolare – non annoverano molte pratiche dannose, come ad esempio l’offerta di aliquote nominali IRES basse o nulle da parte di una giurisdizione fiscale».
Alla fine del 2017 l’UE ha pubblicato la propria “lista nera” dei paradisi fiscali che comprende ad oggi solo 5 Paesi: Guam, Isole Vergini Britanniche, Samoa, Samoa Americane, Trinidad and Tobago. Nella maggioranza dei casi, i paradisi fiscali si collocano nella cosiddetta lista grigia che comprende le giurisdizioni «che hanno promesso di adeguarsi agli standard di buona governance europea». Nell’elenco di color che son sospesi figurano attualmente ben 63 giurisdizioni.
La situazione è destinata a peggiorare
Martedì 12 marzo si svolgerà il vertice ECOFIN e l’agenda prevede la prima revisione annuale della blacklist europea dei paradisi fiscali extra-UE. E l’aggiornamento, rileva Oxfam, pare destinato a peggiorare ulteriormente la situazione.
I ministri delle finanze Ue – accusano gli attivisti – «potrebbero concedere lo status di “giurisdizione cooperativa ai fini fiscali” a 9 tra i paradisi fiscali più aggressivi al mondo».
La lista comprende alcune note giurisdizioni come Bahamas, Bermuda, Hong Kong, Isole Cayman, Isole Vergini Britanniche e Panama. Ma anche le ormai celebri dipendenze della Corona britannica Guernsey, Jersey e Isola di Man, tuttora impegnate in braccio di ferro con Londra nel marasma dei negoziati pre Brexit. Alcuni di questi tax haven, ricorda Oxfam, sono noti al pubblico grazie alle inchieste giornalistiche sui Panama Papers e i Paradise Papers.
18 Paradisi fiscali da bocciare
La mano della Ue non sarà sempre morbida. Bruxelles, sostiene infatti la Ong, dovrebbe collocare 18 nuovi Paesi nella temuta lista nera. Ma il problema è che altrettanti membri della lista grigia, temono gli attivisti, potrebbero essere promossi senza meritarlo. Oxfam ha analizzato le modifiche nelle legislazioni dei Paesi candidati alla rimozione dalla greylist. L’analisi, si legge in una nota, suggerisce che «per almeno 18 Paesi» gli “adeguamenti normativi” meriterebbero una bocciatura dall’Unione. Lungi dall’essere promosse, in altre parole, queste giurisdizioni «dovrebbero passare alla lista nera».
E c’è dell’altro. Alcune riforme di legge, infatti, avrebbero addirittura peggiorato la situazione. Hong Kong, che in passato garantiva un trattamento fiscale di favore alle imprese estere, ad esempio, ha ora esteso tali benefici alle società di casa. L’ex protettorato britannico, insomma, resta un paradiso fiscale. Ma l’abolizione del vantaggio competitivo per gli stranieri è giudicata positivamente dalla Ue. «Come risultato, Hong Kong non finirà verosimilmente sulla blacklist».
L’Italia perde 6,5 miliardi all’anno
Nel 2015, secondo una stima della United Nations University, le multinazionali del Pianeta avrebbero trasferito nei paradisi fiscali redditi d’impresa per 600 miliardi di dollari. Le corporation europee avrebbero contribuito per un terzo della cifra. È la vecchia storia della riduzione della base imponibile, l’elusione fiscale che produce mancati introiti per le casse nazionali.
Secondo Oxfam, nello stesso anno le quattro maggiori economie dell’area euro – Germania, Francia, Italia e Spagna – avrebbero perso in tal senso 35 miliardi di euro. Per la Penisola il totale delle tasse non pagate ammonterebbe a 6,5 miliardi. Una cifra, precisa la Ong, che se reinvestita nel bilancio sanitario, «avrebbe potuto portare a una riduzione fino al 18% della spesa medica pagata di tasca propria delle famiglie italiane al netto delle detrazioni».