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Coronavirus, commercio equo e solidale Fairtrade stima perdite milionarie

Il Covid gela i produttori equosolidali: attesi 380 milioni di dollari di danni. Il G20 tace, i fondi di sostegno non basteranno

La raccolta del caffè nella cooperativa Michiza Mexico - FOTO: Fairtrade Italia

Ha flagellato i poveri del tessile e minaccia una crisi per l’agricoltura globale. Ma il coronavirus non risparmia neppure il commercio equo e solidale. A subire i danni della pandemia sono infatti milioni di piccoli produttori, artigiani e braccianti che lavorano sotto l’ombrello del marchio di certificazione Fairtrade International. Dopo anni di risultati economici positivi, i timori di diffusione del contagio hanno spezzato le catene di approvvigionamento. La chiusura delle frontiere tra i Paesi, le restrizioni sui collegamenti interni e le limitazioni alle attività consentite frenano la produzione e le transazioni provocando blocchi e cancellazioni degli ordinativi.

Risultato? Nonostante le vendite globali di prodotti Fairtrade registrino valori di tutto rispetto, con circa di 9 miliardi di dollari l’anno, l’attuale situazione spinge l’organizzazione a stimare una perdita di circa 380 milioni di dollari l’anno sul cosiddetto Premio Fairtrade. Si tratta di un effetto di impoverimento diretto che colpirà i circa 1,7 milioni fra agricoltori, lavoratori e le loro famiglie.

A rischio il premio che sviluppa commercio equo e comunità

Senza parlare del rischio più generale per i posti di lavoro e per le fonti di reddito primario in aree dove spesso non ci sono strumenti alternativi di sostegno nelle crisi, questo calo rappresenta un limite importante per la stessa natura della sottrazione. Stiamo parlando di realtà imprenditoriali perlopiù “micro”, a bassissima capitalizzazione, collocate in contesti socio-economici fragili del Sud del mondo. Il circolo vizioso è dietro l’angolo: se l’export non riprenderà come prima, le imprese non potranno distribuire la loro merce e gli operatori equosolidali – moltissimi dei quali donne –perderanno quella quota di introiti che è maggiormente votata allo sviluppo sociale ed economico locale. E di conseguenza s’impoveriranno le loro comunità.

Il Premio Fairtrade è infatti una «somma di denaro ricevuta in aggiunta al Prezzo minimo, che gli stessi agricoltori e i lavoratori decidono
come spendere. Possono scegliere di migliorare le tecniche produttive, costruire strade e infrastrutture. Oppure di garantire un’istruzione ai loro figli, costruire ambulatori medici, pozzi per l’acqua potabile a beneficio delle loro comunità».

Stando a uno studio commissionato all’istituto di ricerca francese LISIS, tra il 2011 e il 2016 le organizzazioni certificate Fairtrade hanno indirizzato così questi fondi:

  • 52% in servizi per i contadini e i lavoratori (pagamenti in contanti, strumentazione agricola, fertilizzanti o prestiti);
  • 35% per rafforzare le cooperative (miglioramento dei processi dell’impresa, costi di ufficio, finanziamenti e formazione per la dirigenza e per i dipendenti);
  • 9% in progetti per la comunità in ambito sanitario e per le infrastrutture educative, acqua e servizi igienici o progetti ambientali.

Gli effetti della pandemia: dai fiori al tè, zucchero, cacao e caffè

Le cronache dai Paesi e dagli operatori diffuse da Fairtrade Italia sono piene di angoscia. In Kenya decine di migliaia di lavoratori del settore dei fiori hanno «perso il lavoro senza avere alternative e sta crescendo la preoccupazione sulla stabilità a lungo termine delle aziende». In Ecuador, sempre nella floricoltura, i lavoratori «sono stati licenziati o sono stati messi in congedo a causa delle vendite troppo basse».

TABELLA produttori di fiori certificati Fairtrade 2018 – Fonte Fairtrade International

Non va meglio ai produttori asiatici di canna da zucchero, che hanno visto cancellare o posticipare le commesse. E neppure ai coltivatori di tè. In Sri Lanka, una delle regioni di maggior produzione internazionale di tè, è stato introdotto un coprifuoco nazionale per limitare l’epidemia. Una misura assunta tempestivamente che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, (OMS), ha limitato la diffusione dei casi di Covid-19. Nonostante il coprifuoco le piantagioni di tè hanno potuto lavorare e le raccoglitrici si sono recate sui campi nelle ore della mattina, mantenendo il distanziamento fisico obbligatorio.

GRAFICO andamento prezzo del tè, aprile 2015 – aprile 2020 – Fonte Index Mundi

Ma il prezzo del tè in India e Sri Lanka è crollato del 40% a causa dell’abbassamento della domanda. E Il governo ha dovuto fornire ai lavoratori «pacchi alimentari per 3000 Rupie singalesi (15€) come parte di un programma nel quale i beneficiari devono sostenere metà del costo. I responsabili delle coltivazioni di tè Fairtrade stanno concordando con i lavoratori i progetti da finanziare con il Premio Fairtrade per il benessere dei lavoratori durante la crisi».

Le maggiori preoccupazioni recenti – sottolineano da Fairtrade – riguardano però  l’America Latina. Il Perù è una fonte importante di approvvigionamento di cacao e caffè per il circuito, e il coronavirus sta penetrando solo ultimamente nelle aree rurali.

Coronavirus: l’appello (inascoltato) al G20

La pandemia si è innestata su un sistema economico e commerciale globalizzato e interconnesso. Motivo per cui i direttori delle organizzazioni Fairtrade di tutto il mondo hanno indirizzato un appello ai leader del G20 (incluso il premier Giuseppe Conte) chiedendo aiuto e protezione per contadini e lavoratori dei Paesi in via di sviluppo in questa fase. Il documento citava le stime pubblicate dall’Imperial College London che prevedevano circa 900mila vittime in Asia, 300mila in Africa e 160mila in America Latina e Caraibi. L’appello ad oggi è senza risposta.

I due fondi di emergenza per i produttori

Su un fronte più operativo, Fairtrade International ha invece attivato due fondi di sostegno. Ad alimentarli sono state le riserve e i soldi non spesi a causa del Covid-19 per iniziative programmate da tutte le organizzazioni appartenenti. La disponibilità è distribuita equamente tra i tre network di produttori in Asia, Africa e America Latina. Sono loro poi a decidere la destinazione delle risorse sulla base delle richieste degli associati.

C’è un Fondo di assistenza per i produttori Fairtrade che dispone di 2,1 milioni di euro per «acquisto di mascherine, strumentazione medica e protettiva di base, pagamento dei salari dei lavoratori temporaneamente inoccupati, organizzazione di attività di sicurezza alimentare, formazione sui dispositivi di sicurezza, costruzione di strutture mediche di emergenza e spese per piani di continuità operativa delle aziende».

C’è poi un Fondo per la resilienza dei produttori Fairtrade partito con una raccolta iniziale da 1 milione di euro. Si prevedono infatti danni e rischi di sostenibilità a lungo termine sulle catene di fornitura globali. In questo caso gli obiettivi sono la «ricostruzione economica, la formazione di competenze tecnologiche, l’identicazione dei rischi per i diritti umani, il rafforzamento delle finanze per affrontare i rischi futuri».

La profondità della crisi però rende insufficienti questi fondi di emergenza e resilienza. L’esigenza di ulteriori strumenti finanziari a sostegno dei produttori è una probabilità più che concreta.