Croazia, il mega-rigassificatore che dissangua le casse europee
Il governo di Zagabria e la Ue stanno finanziando un megaprogetto su una delle perle dell'Adriatico. La Ong Re:Common ne svela i lati controversi
Sono oltre 20 anni che il governo di Zagabria cerca di realizzare un rigassificatore con la volontà dichiarata di «garantire la sicurezza energetica della Croazia». Nei piani più ambiziosi rifornirà l’intera Europa sud-orientale: dalla Serbia alla Slovenia, dall’Ungheria fino alla Repubblica ceca.
Una capacità energetica sovradimensionata
Intorno al progetto, mai così vicino alla fase esecutiva, c’è però un inestricabile groviglio di interessi politici ed economici, di equilibri regionali e di ambizioni di entrare nell’Europa che conta. Tanto che il rigassificatore, che entro il 2020 dovrebbe diventare operativo a Omisalj, paesino di tremila anime sull’isola di Krk, già sulla carta è un’opera con una capacità energetica sovradimensionata, almeno sul mercato interno. Ha una portata massima di 6 miliardi di metri cubi l’anno, mentre le infrastrutture croate ne sopportano solo 2,7. Ma, stando ai piani, renderebbe la Croazia un provider energetico per i suoi vicini ben più ricchi.
Nonostante i dubbi, l’Europa finanzia l’opera con 101,4 milioni di euro. Lo sostiene anche dopo che il governo croato ha promulgato una legge ad hoc e inventato una «nuova fase» del progetto che nemmeno era stata prevista nel primo studio di fattibilità sottoposto alla Commissione europea.
EU invests €101.4 million in the construction of the liquefied natural gas #LNG terminal in Krk, Croatia 🇭🇷The grant agreement under the Connecting Europe Facility was signed at the #EnergyCouncil today https://t.co/FwCPC6dScn #PCIlist #CEFenergy pic.twitter.com/Wr4aHavVk7
— Energy4Europe 🇪🇺 (@Energy4Europe) December 18, 2017
La foglia di fico della sicurezza energetica
Le controversie del progetto sono raccontate, con dovizia di particolari, nello studio “Looting 2.0 (ovvero Saccheggio 2.0)” dell’Ong Re:Common. «Il rigassificatore di Krk ci sembra il classico esempio di come i progetti energetici di nuova costruzione si prestino a essere funzionali a interessi “altri” che nulla hanno a che fare con la sicurezza energetica europea o del Paese stesso», è la sintesi di Elena Gerebizza, energy campaigner di Re:Common.
L’ultimo a pronunciare parole sulla «sicurezza energetica» a Zagabria è stato il ministro competente Tomislav Ćorić. Era il 30 gennaio e il governo annunciava l’investimento di 100 milioni di euro per la realizzazione di un impianto industriale dove riportare allo stato gassoso il gas liquido (gln, lng in inglese), di provenienza principalmente statunitense.
Un’opera da 600 milioni
Il progetto dal 2016 è cofinanziato dall’Unione europea, che ha inserito il progetto nella lista delle opere prioritarie già dal 2013. Ai soldi pubblici croati e al finanziamento europeo si aggiungono altri 32,4 milioni di euro messi sul piatto da Lng Croatia Doo, consorzio di società – ancora una volta a partecipazione pubblica croata e ungherese – al quale spetterà il compito di gestire gas e struttura.
Questa è la versione «economica» del progetto, la «prima fase offshore» comparsa improvvisamente nei piani del governo a giugno 2016. Il costo originale del rigassificatore a terra – ora presentato come “seconda fase” di un progetto unico – è stimato nei documenti della Commissione europea 600 milioni di euro.
La modifica di giugno 2016 prevede che in un «prima fase» lo stoccaggio e la conversione del gas avvengano in una nave dalla capacità di 2,6 miliardi di metri cubi all’anno: la soluzione della piattaforma galleggiante è la stessa già vista a Livorno, nota come FSRU Toscana. Ha il vantaggio di non richiedere costruzioni, e quindi essere più rapida e costare meno in fase realizzativa (anche se la storia dell’impianto di Livorno ci dice che non è proprio così).
Le preoccupazioni per l’industria turistica
Sul lungo periodo, però, non conviene, secondo un esperto del settore, che parla con Re:Common a patto di restare anonimo. «L’idea della progetto a due fasi non ha alcun senso sul piano tecnico, economico e finanziario», spiega. Infatti la «prima fase» con la piattaforma galleggiante richiede un costo di noleggio o di acquisto e uno costo di concessione (a carico del Comune) mentre non prevede alcun gettito fiscale per l’amministrazione locale. Al contrario della soluzione a terra, che secondo i calcoli del Comune di Omisalj e della contea, porterebbe qualche milione di euro in tasse.
In più, l’impatto sul paesaggio e sull’inquinamento del mare è molto più evidente: per un’area che vive principalmente dei 7 milioni di euro all’anno di introiti dal turismo potrebbe essere un grosso problema. Barbara Doric, attuale amministratore delegato di Lng Croazia, ha rassicurato che il progetto avrà un ritorno per gli investitori del consorzio del 9,43%.
Governo vs. enti locali
Nel frattempo, però, è nato il conflitto istituzionale che vede da un lato il governo centrale, a guida Hdz (cristiano democratici), dall’altro le amministrazioni locali, a guida Sdp, socialista.
La battaglia politica si inserisce in un contesto più ampio: dopo i mondiali di calcio 2018, la presidente croata Kolinda Grabar-Kitarović (Hdz) è stata accusata di essersi avvicinata sempre di più ai movimenti ultranazionalisti croati, forte anche dell’appoggio della Russia di Vladimir Puntin.
Il suo partito da un paio d’anni ha assunto posizioni sempre più tolleranti verso il revisionismo storico della destra più radicale. In più, al governo Hdz si contesta la tenuta economica del progetto: nonostante sia rivolto all’export, in particolare in Ungheria, nessuno ha ancora partecipato ai bandi di pre-acquisto del gas.
Tappe forzate per legge
Per spingere sul rigassificatore e completare l’opera in tempo per ottenere il cofinanziamento europeo, il governo croato ha promulgato nell’estate 2018 una legge, definita dai media Lng Lex, costruita ad hoc per accelerare le procedure di approvazione e legittimare l’esproprio dei terreni privati interessati dal progetto. Evento, però, che, in caso, accadrà nella seconda fase del progetto che, anche a Bruxelles – riporta lo studio di Re:Common – considerano ormai sempre più improbabile. Tra i legislatori che hanno scritto il testo della legge, c’è anche Barbara Doric, all’epoca direttrice dell’Agenzia idrocarburi croata.
US State Department Assistant Secretary for energy policy met with Prime Minister Plenkovic and Energy Minister Coric to discuss Krk Island LNG project and ways US can support Croatia. The projects is moving forward; we are excited about Croatia’s leadership in the region. pic.twitter.com/xIA1OlwP4w
— Ambassador Nathalie Rayes (@USAmbCroatia) November 30, 2018
«Sono lieto che la Croazia stia già raggiungendo gli obiettivi del 2020 per l’energia rinnovabile e la riduzione delle emissioni di gas serra», ha dichiarato il Commissario europeo per l’unione energetica Maroš Šefčovič, in visita in Croazia il 29 e 30 gennaio 2018. Ha poi aggiunto che la Croazia «sta gradualmente rinforzando la sua sicurezza energetica», anche grazie alla realizzazione del rigassificatore di Krk [https://ec.europa.eu/info/news/focus-croatia-energy-union-tour-2018-jan-26_en].
https://www.facebook.com/ZelenaAkcijaKontraLNG/photos/a.339001643336215/339001963336183/?type=3&theater
Zelena Ackjia, l’associazione ambientalista croata affiliata a Friends of Earth, è l’unica voce di peso completamente contraria al progetto. L’organizzazione ha pubblicato a dicembre un report per spiegare le sue ragioni.
Il principio è applicabile a ogni nuovo progetto energetico nel Paese: la strategia dichiarata è diversificare la provenienza del gas ed evitare di essere dipendenti dalle riserve russe. Nei fatti, però, per rendere gli impianti operativi si acquisterà più gas dove costa meno, ossia sempre la Russia.
Il paradosso di un rigassificatore su un’isola che va a energia verde
L’associazione aggiunge che il progetto insiste su un territorio, l’isola di Krk, in cui le comunità locali stavano finanziando progetti per diventare autosufficienti da energia con fonti rinnovabili. In più, il curriculum dei rigassificatori attivi al momento non è dei migliori: solo il Terminale GNL Adriatico (70% ExxonMobil, al 23% Qatar Petroleum, 7% Snam) opera a più del 50% delle sue capacità. Gli altri stanno sotto il 10%.
Eppure i primi studi di fattibilità per un rigassificatore a Krk li ha svolti un consorzio di società con sede a Malta a cui sedevano tutti i Paesi della regione: dalla Slovenia, all’Austria, all’Ungheria. Un interesse tanto radicato nel tempo, quanto ingiustificato.