Dietro ai dazi si nasconde la fragilità dell’economia degli Stati Uniti

Il punto debole degli Stati Uniti è il deficit pubblico. Per questo Trump con i dazi ha architettato una rapina ai danni del mondo intero

I dazi come strumento per vendere il debito Usa © Darren Halstead/Unsplash

La guerra dei dazi ha tenuto il mondo con il fiato sospeso per una settimana. Le tariffe sulle esportazioni prima annunciate, poi messe in atto e poi ritirate, per ora, da Donald Trump hanno fatto impazzire i mercati finanziari. E non solo. Le motivazioni dietro la decisione, non improvvisa come vedremo, di introdurre i dazi possono essere state molte. Ultimamente molti commentatori non lesinano di accostarle a parole come speculazione, aggiotaggio o insider trading. Tutte motivazioni plausibili, in effetti. Eppure c’è sicuramente anche una precisa scelta di economia politica dietro la decisione di Donald Trump di scatenare la guerra dazi. E forse anche nel balletto che ne è seguito.

Il vero obiettivo dietro i dazi

Ad esempio, le continue dimostrazioni di forza di Trump potrebbero essere servite a nascondere il tallone d’Achille degli Stati Uniti. Secondo il giornalista economico Federico Fubini del Corriere della Sera, una delle ragioni principali dell’aver scatenato la guerra dei dazi è stata quella di fare leva sulla “coercizione economica”. Fubini ha spiegato, infatti, che il vero punto debole di Trump era il gigantesco e crescente deficit pubblico degli Stati Uniti, che li obbliga a trovare ogni anno acquirenti per almeno duemila miliardi di dollari di titoli del Tesoro. E se gli Usa non riescono a contenere il peso del debito e a garantirne il finanziamento senza difficoltà, l’intero sistema potrebbe collassare.

Così, minacciare dazi punitivi diventa un modo per costringere altri Paesi ad acquistare più titoli di Stato americani. Permettendo agli Stati Uniti di finanziare il proprio deficit crescente e mantenere sotto controllo i tassi di interesse sul debito. Una forma di ricatto. O le banche centrali acquistano il debito americano, o subiscono le conseguenze dei dazi sulle proprie esportazioni. Si tratta, in pratica, di una pura metodologia imperiale: attraverso la minaccia dei dazi si confisca parte delle riserve sovrane degli altri Paesi .

Debito insostenibile

A rendere ancora più dura la politica di Trump è il fatto che il debito americano non è un buon investimento per gli altri Paesi. Poiché i suoi rendimenti sono contenuti. Questi Paesi potrebbero preferire investire in economie con prospettive di crescita più solide. Come quella cinese.

Il deficit degli Stati Uniti, inoltre, non è solo un problema per il paese, ma per l’intera economia globale. Secondo la Federal Reserve, nel 2024 il disavanzo del governo americano ha raggiunto il 6,3% del Pil, e il debito il 120,7%. Numeri destinati a crescere. Sebbene non siano insostenibili, come dimostra la gestione del debito del Giappone, l’enorme dimensione dell’economia americana, che pesa per il 27% del Pil globale, fa sì che la sua instabilità influenzi l’intero sistema economico internazionale.

Il fabbisogno di finanziamento del deficit, e quindi i titoli che ogni anno il Tesoro di Washington deve collocare tra investitori pubblici e privati, rappresentano infatti una somma considerevole per l’economia globale. Si tratta di 1.958 miliardi di dollari, ovvero l’1,8% del PIL mondiale. Gli Stati Uniti devono convincere le banche centrali degli altri Paesi a finanziare questa somma. Se non riuscissero a farlo, il rischio è quello di una grave recessione, con conseguenze devastanti per il dollaro e il suo status di moneta di riserva mondiale.

Così si può spiegare, in parte, la guerra i dazi scatenata da Trump. Ma questa guerra è destinata a incontrare un preciso limite. Altri Paesi, come la Cina e il Giappone, sono già ampiamente esposti al debito americano, detenendo titoli Usa, rispettivamente, per circa 800 miliardi e 1.100 miliardi. Chi sarà disposto a finanziare il debito crescente degli Stati Uniti? In questo momento, tutti gli occhi sono puntati sull’Europa.

Tax the rich

Come detto, la strategia dei dazi era già stata preannunciata tempo fa dal Council of Economic Advisors della Casa Bianca. Il suo presidente Stephen Miran delineava, già a partire dal novembre 2024, quali sarebbero stati gli obiettivi da raggiungere negli anni a venire: attrarre quasi cinquemila miliardi di dollari di nuovo debito nei prossimi dieci anni, svalutare il dollaro per migliorare la competitività delle esportazioni americane e mantenere bassi i tassi d’interesse sul debito.

Per finanziare questo deficit, Miran suggerisce – scrivendolo nero su bianco – di minacciare i Paesi con dazi punitivi, costringendoli a comprare titoli americani a lungo termine, anche se più rischiosi. Solo accettando queste proposte, i Paesi avrebbero potuto ottenere una riduzione dei dazi. E a guardare bene come si è consumata questa prima parte della guerra dei dazi, è esattamente quello che stava per avvenire. E in qualche modo è già avvenuto. Una vera e propria rapina ai danni del mondo intero, da parte di un impero orami in declino. E dei finanzieri e dei tecnocrati che lo controllano.