Don’t buy into occupation: la finanza europea investe nelle imprese coinvolte nei crimini israeliani
Il rapporto Don’t Buy Into Occupation rivela i legami tra finanza europea e imprese coinvolte in occupazione, apartheid e crimini nei Territori palestinesi
È stato pubblicato il nuovo rapporto della coalizione Don’t Buy into Occupation (Dbio), un consorzio formato da venticinque organizzazioni palestinesi, europee e internazionali che da cinque anni monitora i legami tra il settore finanziario europeo e le imprese attive nei territori palestinesi occupati. L’edizione di quest’anno (realizzata con il supporto di Profundo, organizzazione di ricerca indipendente con sede nei Paesi Bassi), aggiorna e amplia in modo significativo il perimetro dell’analisi, alla luce della mutata cornice giuridica definita dalla Corte internazionale di giustizia.
Il risultato è un quadro ancora più nitido e allarmante: la finanza europea continua a sostenere, con investimenti e credito, aziende implicate nelle violazioni del diritto internazionale, dall’occupazione alla costruzione degli insediamenti illegali, fino alla commissione del crimine di genocidio a Gaza.

Il contesto internazionale: la svolta giuridica della Corte internazionale di giustizia
Il rapporto arriva in un momento storico segnato da due passaggi decisivi. Nel luglio 2024 la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato l’intera presenza israeliana nei territori occupati contraria al diritto internazionale, sollecitando gli Stati terzi a interrompere ogni relazione economica e commerciale che contribuisca al mantenimento di una situazione illegale. Pochi mesi prima, nel gennaio 2024, la stessa Corte aveva riconosciuto come “plausibile” il rischio di genocidio a Gaza nell’ambito del caso intentato dal Sudafrica. Infine, nel settembre 2025, la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha concluso che gli atti commessi da Israele nella Striscia costituiscono un genocidio.
In questo contesto, la ricerca Dbio estende il proprio raggio d’azione e non si limita alle imprese coinvolte nella colonizzazione della Cisgiordania e nel genocidio nella Striscia di Gaza, ma include tutte quelle che contribuiscono alle violazioni più gravi del diritto internazionale nei territori palestinesi, dalla sorveglianza militare alla distruzione sistematica di infrastrutture e mezzi di sussistenza.
Le aziende coinvolte nell’apartheid sono raddoppiate
L’ampliamento del perimetro si riflette nei numeri. Ad agosto 2025 gli istituti finanziari europei detenevano oltre 1.503 miliardi di dollari in azioni e obbligazioni di società con un ruolo documentato nell’occupazione, nell’apartheid e nel genocidio in Palestina. Dal gennaio 2023 all’agosto 2025 sono stati concessi oltre 310 miliardi di dollari in prestiti e sottoscrizioni. Risultano inoltre attivi rapporti finanziari tra 1.115 istituti europei e 104 imprese segnalate per il loro coinvolgimento in situazioni considerate illegali. Si tratta di un aumento significativo rispetto al 2024, quando le aziende censite erano 58.
Fra le nuove realtà incluse spiccano giganti dell’economia digitale e dell’industria militare, oltre alle aziende menzionate nel rapporto pubblicato la scorsa estate da Francesca Albanese “From economy of occupation to economy of genocide”. Amazon entra nell’elenco per la fornitura di infrastrutture cloud e strumenti di intelligenza artificiale utilizzati durante il genocidio a Gaza. Boeing è segnalata per aver fornito equipaggiamenti militari, kit di guida e bombe impiegate nei bombardamenti sulla Striscia. La società israeliana Cellebrite DI è invece indicata per le tecnologie di raccolta dati e analisi forense utilizzate dalle autorità israeliane nella sorveglianza dei palestinesi.
A queste si aggiungono aziende già note per il loro coinvolgimento diretto negli insediamenti o nell’apparato repressivo dei territori occupati. Airbnb continua a proporre alloggi situati all’interno degli insediamenti illegali. Bank Hapoalim resta una delle principali finanziatrici dell’espansione coloniale. La spagnola CAF mantiene la gestione e la manutenzione della light rail – la metropolitana leggera – di Gerusalemme, l’infrastruttura che collega le colonie alla città e contribuisce all’annessione de facto della parte orientale.
La finanza europea è complice dello sterminio palestinese
Le organizzazioni della coalizione sottolineano come la responsabilità degli istituti finanziari europei sia ormai difficilmente contestabile, perché senza il sostegno economico degli istituti di credito le aziende menzionate non potrebbero operare. Secondo Eva Gerritse dell’organizzazione PAX, sono ancora pochissimi gli attori del settore che conducono un’adeguata due diligence sui diritti umani in contesti ad alto rischio e la maggioranza degli operatori ignora di contribuire a una condizione di illegalità che perdura da quasi sessant’anni. A suo giudizio, l’inerzia della finanza equivale a una forma attiva di complicità.
Max Hammer della rete BankTrack insiste sullo stesso punto e afferma che le imprese coinvolte dovrebbero fare tutto il possibile per interrompere la commissione di crimini, mentre gli istituti finanziari hanno il dovere di esercitare ogni leva disponibile per spingere le aziende ad assumersi le proprie responsabilità. In caso contrario, conclude, devono cessare immediatamente di fornire loro credito o investimenti.
La realtà sul terreno: Gaza e Cisgiordania oltre la tregua
Le dinamiche sul terreno confermano l’urgenza dell’intervento. Nonostante il cessate il fuoco, Gaza resta un luogo mortale per i palestinesi poiché quasi trecento persone sono state uccise da Israele dopo l’entrata in vigore della tregua. In Cisgiordania proseguono gli sgomberi forzati delle comunità rurali e gli attacchi dei coloni, che a ottobre hanno raggiunto il livello più alto dal 2006, secondo i dati delle Nazioni Unite.
Il rapporto Don’t buy into occupation e la cornice giuridica definita dalla Corte internazionale di giustizia convergono in un messaggio netto: la finanza europea non può più considerarsi estranea alle violazioni commesse nei territori occupati. La tracciabilità dei flussi di capitale, unita alla crescente quantità di prove raccolte dalle istituzioni internazionali, impone una revisione profonda dei criteri di investimento e delle politiche di rischio. Se la comunità internazionale riconosce l’illegalità dell’occupazione e degli atti di genocidio, gli attori finanziari non possono continuare a operare come se nulla fosse.
La coalizione Dbio richiama esplicitamente alla necessità di trasformare l’evidenza documentale in azioni concrete, un passaggio che oggi rappresenta non solo un obbligo morale, ma una precisa responsabilità giuridica per l’Europa e per il suo sistema finanziario.



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