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Francia, Hulot sbatte la porta: Macron perde la sua “foglia di fico” sull’ambiente

Il ministro per la Transizione energetica si è dimesso con parole durissime. «Basta prendermi in giro». Dal nucleare al glifosato. Fino alla questione della caccia

«Non voglio più mentire a me stesso». Le dimissioni del ministro della Transizione ecologica francese, Nicolas Hulot, sono arrivate nella mattinata del 28 agosto. Nessuno – né il primo ministro conservatore Edouard Philippe, né il presidente Emmanuel Macron – era stato informato. Ma chi conosce le vicende transalpine sa che non si tratta di un fulmine a ciel sereno.

«La mia presenza al governo non deve più illudere»

Hulot ha annunciato l’uscita dall’esecutivo nel corso di una trasmissione radiofonica andata in onda su France Inter. Il rammarico per non essere riuscito a lavorare come avrebbe voluto è stato espresso d’altra parte a chiarissime lettere. «Non voglio più far pensare che la mia presenza al governo significhi che siamo sulla buona strada», ha dichiarato, visibilmente emozionato.

«Prendo la decisione più difficile della mia vita», ha aggiunto. Ma la scelta era ormai inevitabile: nei quattordici mesi al fianco di Philippe e Macron, sono state molte più le sconfitte delle vittorie. Sui grandi dossier aperti in materia di energia e ambiente si è dovuto accontentare di «piccoli passi. Che non bastano per invertire o adattarci alla tragedia climatica alla quale siamo giunti».

L’ormai ex ministro francese ha poi attaccato: «Abbiamo cominciato a ridurre l’uso dei pesticidi in Francia? La risposta è no. Abbiamo cominciato a tutelare la biodiversità? La risposta è no. Abbiamo cominciato a bloccare lo sfruttamento del suolo? La risposta è no. E io non voglio far pensare che la mia presenza al governo significhi che siamo sulla buona strada».

Un tempo “inviato speciale” dell’allora presidente socialista François Hollande alla Cop 21 di Parigi, quando Hulot decise di accettare l’incarico di ministro in molti si stupirono. Difficile immaginarlo, infatti, in un contesto simile. Le associazioni ambientaliste si divisero però tra chi espresse soddisfazione e chi invece manifestò scetticismo. I fatti, oggi, dimostrano che i secondi avevano ragione.

La riforma della caccia l’ultimo boccone amaro

Ripercorrendo la sua parabola governativa, il quotidiano Le Monde ha elencato le numerose delusioni incassate da Hulot in poco più di un anno. L’ultima in ordine di tempo è arrivata un giorno prima delle dimissioni, il 27 agosto. Macron ha ricevuto infatti il presidente della potente Federazione nazionale dei cacciatori. Senza informare il ministro della Transizione ecologica, presente alla stessa riunione. Risultato: prezzo del permesso di caccia dimezzato in tutta la Francia. Esattamente quello che sperava l’associazione, per «democratizzare» il loro «divertimento».

È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Già nel novembre del 2017, Hulot aveva dovuto annunciare l’abbandono del programma di riduzione del nucleare al 50% del mix energetico. Esso avrebbe dovuto essere completato entro il 2025, secondo il programma con cui Hollande era stato eletto nel 2012. E che poi è stato promesso anche da Macron cinque anni dopo.

Il rammarico sul glifosato e i (pochi) successi

L’ex ministro ha vissuto poi come un’umiliazione la cacciata dalla direzione degli Stati generali dell’alimentazione. Attraverso i quali Hulot immaginava di «ridefinire il modello agricolo» in senso più sano e rispettoso dell’ambiente. Soprattutto perché la responsabilità è andata al ministro dell’Agricoltura Stéphane Travert, con il quale i rapporti erano particolarmente tesi. Infine, sulla questione-glifosato, Hulot aveva manifestato il proprio disappunto per non averne imposto il divieto all’interno della legge sull’alimentazione, votata a fine maggio. Il che avrebbe significato proseguire il percorso avviato dal ministro che l’aveva preceduto, Ségolène Royal.

Tra i pochi successi, invece, va annoverato l’abbandono del progetto di nuovo aeroporto di Notre Dame des Landes, nei pressi di Nantes. È in questo caso riuscito ad evitarne la costruzione, osteggiata fortemente dagli ambientalisti. Ma sostenuta da tutti i governi precedenti. Inoltre, è riuscito a far introdurre le parole “ambiente, clima e biodiversità” nella Costituzione. E non all’articolo 34 (come voleva il primo ministro Philippe), ma all’articolo 1. Un fatto simbolicamente importante, ma che non è bastato a convincere Hulot ad andarsene. Sbattendo la porta.