Cos’è l’impact investing, l’investimento che non punta solo al guadagno
L'impact investing, o investimento a impatto, è un approccio alla sostenibilità negli investimenti tra i più innovativi
L’impact investing è un tipo di investimento che si propone di ottenere, oltre a un rendimento finanziario, un impatto sociale e ambientale positivo che rispetti alcuni requisiti. Deve essere intenzionale, misurabile e addizionale rispetto agli investimenti tradizionali. Si tratta di un approccio alla sostenibilità degli investimenti tra i più innovativi.
Impact investing: i modelli “finance first” e “impact first”
L’investitore incassa quindi un rendimento. Quando esso è in linea con le aspettative di mercato, si ricade nel modello denominato “finance first”. Si parla invece di “impact first” quando il conseguimento di un rilevante impatto sociale e ambientale fa accettare anche un rendimento leggermente più basso. Pur con il vincolo della restituzione del capitale investito.
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Diverse ricerche, ormai, dimostrano come, nel lungo periodo, i rendimenti dell’impact investing possano risultare perfettamente in linea con quelli di mercato. Su un totale di circa 2mila studi passati in rassegna dai ricercatori del fondo tedesco Dws e dell’università di Amburgo, il 63% mostra una forte correlazione tra le performance ESG e i rendimenti positivi. Contro un risicato 10% che evidenzia un effetto negativo. Un’altra analisi pubblicata nel 2015 dal “Journal of Sustainable Finance & Investment” aggrega i dati di 2.200 pubblicazioni scientifiche. Il 90% sostiene che l’attenzione ai fattori ESG abbia un impatto positivo o nullo sulle performance finanziarie.
L’attenzione ai fattori ESG ha impatti positivi (o al più neutri) sulle performance finanziarie
In concreto, l’investitore a impatto può scegliere diversi strumenti che fanno capo a varie asset class. Innanzitutto può acquistare quote di aziende o di fondi, quotati in Borsa (public equity) e non (private equity). L’importante è che il loro business dia un contributo fattivo al progresso della società. Ha inoltre la possibilità di investire in beni tangibili, come gli asset immobiliari (per esempio nell’housing sociale). O gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Per quanto riguarda i titoli a reddito fisso, stanno ottenendo un successo eccezionale i green bond e i social bond. Si tratta di obbligazioni che tecnicamente funzionano come tutte le altre. Ciò significa che l’emittente si vincola a restituire al creditore il capitale investito entro una scadenza prefissata, aggiungendo il pagamento periodico di una quota di interesse (detta cedola). La differenza fondamentale però sta nel fatto che la liquidità ottenuta va necessariamente reinvestita in progetti ambientali (nel caso dei green bond) o sociali (nel caso dei social bond). Per esempio, parchi eolici e fotovoltaici, trasporti a basse emissioni di CO2, tecnologie che migliorano l’efficienza energetica degli edifici. Oppure – passando alla dimensione sociale – vaccinazioni, case a canone convenzionato, piattaforme di formazione.
La misurazione degli impatti
Riassumendo, dunque, l’investitore “impact” compone il suo portafoglio ponendosi precise aspettative non solo sul rendimento, ma anche sulle ricadute sociali e ambientali che vuole generare. Perché si parli di impact investing a pieno titolo, deve misurare e rendicontare quest’impatto in modo puntuale e trasparente. Un processo che prende il via, a monte, con la definizione dei temi d’impatto: sempre più spesso a tale scopo si fa riferimento ai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) fissati dalle Nazioni Unite con l’Agenda 2030.
Per ciascuno di questi temi, bisogna poi definire le proprie strategie e tradurle in una serie di target da misurare a cadenza regolare attraverso metriche oggettive, numeriche e confrontabili. Si tratta di un processo in itinere, perché le evidenze ottenute permetteranno di perfezionare le proprie politiche di investimento e negli anni a venire. Come segnale di trasparenza nei confronti di tutti i loro stakeholder (i risparmiatori in primis), le società di gestione del risparmio pubblicano infine un report d’impatto che dà conto dei risultati raggiunti, anche confrontandoli con un benchmark di riferimento costituito da investimenti di tipo tradizionale.
Quanto vale l’impact investing nel mondo
La pandemia, in modo imprevisto e traumatico, ha acceso i riflettori sulle macroscopiche sfide che l’umanità deve affrontare. La salute, prima di tutto. Ma anche i cambiamenti climatici (che diversi studi legano a doppio filo all’intensificarsi delle zoonosi) e le disuguaglianze economiche e sociali che si riflettono anche sull’accesso ai servizi sanitari. Questa maggiore consapevolezza si è tradotta anche in un’inedita popolarità dell’impact investing. A dirlo è l’International Finance Corporation nell’ultima edizione del report “Investing for Impact: The Global Impact Investing Market 2020”.
Nel 2020 si è raggiunto un totale di 2.281 miliardi di dollari investiti a impatto, corrispondenti a circa il 2% degli asset gestiti a livello globale. Ancora di nicchia si parla, dunque, ma è una nicchia che riscuote un interesse sempre più vivo. A fare la parte del leone sono banche e istituti finanziari per lo sviluppo, con un totale di 1.700 miliardi di dollari investiti. 594 miliardi, invece, sono stati investiti da fondi e altri soggetti privati. Ancora più interessante è notare come tale mercato sia sempre più maturo. Valgono ben 636 miliardi di dollari (la cifra più alta mai rilevata) gli investimenti il cui impatto viene non soltanto dichiarato ma anche misurato seguendo standard riconosciuti.
I temi d’impatto
Il Global Impact Investing Network (GIIN) sottopone periodicamente un questionario a un consistente campione di investitori “impact”. L’edizione più recente della ricerca è stata condotta nel 2020 su 294 soggetti che, messi insieme, gestiscono asset pari a 404 miliardi di dollari. Dalle loro risposte si scopre che il volume di asset investiti nel settore dell’acqua potabile, degli impianti sanitari e dell’igiene (WASH) ha visto un tasso di crescita annuo composto (CAGR) pari al 33% tra il 2915 e il 2019, passando da 3 a 9,7 miliardi di dollari.
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Altrettanto spedito il CAGR dei servizi finanziari (30%): valevano 5,6 miliardi nel 2015, hanno toccato i 16,4 nel 2019. Viceversa, gli investimenti in arte e cultura crollano ad appena 52 milioni di dollari. Il 57% degli intervistati detiene titoli legati all’agricoltura e all’alimentazione e il 54% ha intenzione di incrementarli nei prossimi cinque anni; in valore assoluto, però, tale settore rappresenta soltanto il 9% degli asset gestiti. Circa la metà degli intervistati ha investito anche nella sanità; e tutto fa pensare che questa percentuale sia destinata ad aumentare, anche in virtù della presa di coscienza legata al Covid-19.