Per fronteggiare l’inflazione non bastano le politiche monetarie

La Bce sembra agire per riflesso condizionato. Ma l'inflazione non si contrasta solo con le politiche monetarie. Soprattutto se sbagliate

Alessandro Volpi
La sede della Banca Centrale Europea © Pradeep Thomas Thundiyil/iStockPhoto
Alessandro Volpi
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La Bce sembra ormai agire solo per un riflesso condizionato: dopo l’ulteriore aumento dei tassi, la presidente Lagarde ha fatto balenare l’ipotesi che si possa arrivare al 5%. Ad essere surreali sono le motivazioni utilizzate per giustificare una tale scelta. L’economia europea non sta crescendo, i salari neppure ma per battere l’inflazione bisogna alzare i tassi e aggravare così la crisi economica. In altre parole, per eliminare la malattia bisogna uccidere il malato. Sembra impossibile, ma è davvero questa la posizione espressa.

Occorre frenare la speculazione finanziaria e quella nella filiera “reale” di terminazione dei prezzi

Forse sarebbero utili altre soluzioni. In primo luogo occorre frenare la speculazione finanziaria che anima le oscillazioni di prezzo. Il prezzo di un megawattora di gas è passato nel giro di poco più di una settimana da 24 a 50 euro, per ridiscendere sotto i 40, con un incremento superiore al 100% e un immediato calo. Cosa giustifica questo incremento? Un cambiamento dell’offerta e della domanda reale di gas? Certamente no, solo la speculazione, compiuta con i contratti derivati – le scommesse – alla solita Borsa di Amsterdam. Ma di questo, nonostante il disastro del 2021-22, si parla poco e la narrazione dell’inflazione continua ad essere ricondotta al fatto che “le retribuzioni” dei lavoratori salgono troppo. 

In secondo luogo servono strumenti più efficaci di controllo delle speculazioni poste in essere nella filiera “reale” di determinazione dei prezzi. Sono troppe, ad esempio, le differenze fra i prezzi pagati ai produttori agricoli e quelli praticati dalla grande distribuzione. È evidente che il famoso “mister prezzi”,  il Garante per la sorveglianza dei prezzi, concepito nel 2007 all’atto delle celebrate “liberalizzazioni”, e ipoteticamente rafforzato nelle sue funzioni nel marzo del 2022, non riesce ad essere incisivo. Al di là di una generica attività di denuncia, infatti, l’azione del Garante risulta troppo debole rispetto a situazioni di vero e proprio monopolio all’origine della filiera, dopo le vendite all’ingrosso, e nel momento della distribuzione al dettaglio. In questo senso sarebbero opportune regole, anche di rango europeo, per spezzare simili monopoli di fatto e occorrerebbero controlli in particolare proprio nella determinazione dei prezzi della grande distribuzione.

Occorre impedire impennate dei prezzi dei beni indispensabili

Gioverebbe poi reintrodurre forme di regolazione dei prezzi che impediscano impennate soprattutto per quanto riguarda i beni indispensabili che sono quelli da cui dipendono le disuguaglianze indotte dall’inflazione: chi compra solo beni indispensabili subisce effetti inflazionistici, in genere, assai più pesanti. Per i redditi bassi l’inflazione è attualmente al 12 contro il 5% dei redditi più alti.

In Italia, fin dal 1944 era stato concepito il Comitato interministeriale prezzi che doveva combattere i rischi inflazionistici dell’immediato dopoguerra. Tale organo tornò in auge negli anni Settanta, proponendo e attuando misure di calmiere nei confronti delle impennate di prezzo, che trovavano un lenitivo importante nei meccanismi di scala mobile, di agganciamento dei salari all’inflazione reale. Nei decenni seguenti sia i meccanismi di indicizzazione sia le forme regolate di contenimento dei prezzi sono venute progressivamente meno ed oggi il potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori non dispone più di alcuna forma di difesa.

È davvero difficile pensare di fronteggiare l’attuale inflazione solo con le politiche monetarie, peraltro sbagliate, della Bce.