Juve, o la Borsa o la vita?
A incastrare la Juventus è stato un “sistema” reiterato di aggiramento delle regole emerso solo perché la società è quotata in Borsa
È arrivata, a due giornate dalla fine del campionato, l’ennesima sentenza della Corte d’Appello federale: toglie dieci punti in classifica alla Juventus e assolve alcuni dirigenti minori. Niente qualificazione alle Coppe, ma tanto l’Uefa non lo avrebbe permesso. Il punto non è se la sentenza sia tempestiva o meno, se sia giusta o sbagliata. Il punto è che è la terza sentenza. La prima del maggio 2022 decretò il proscioglimento, c’era solo un’inchiesta sportiva. E si sa, la giustizia sportiva ama tarallucci e vino. La seconda del gennaio 2023 aveva stabilito 15 punti di penalizzazione più varie squalifiche per i dirigenti, ma solo perché nel frattempo si era mossa la giustizia ordinaria. Ecco il punto, poi ci torniamo.
Intanto c’è da capire se il club bianconero, lette le motivazioni, farà ricorso al Collegio di garanzia del Coni. Intanto c’è da attendere il secondo filone di indagini dell’inchiesta Prisma della magistratura ordinaria. Quello che contiene la “manovra stipendi” e i “rapporti con gli agenti”. Qui la sentenza è prevista per fine campionato, il 15 giugno, e con ricorsi e appelli si arriverà a estate inoltrata. Quindi nuove eventuali penalizzazioni e squalifiche saranno da scontare nel prossimo campionato. Infine, c’è da capire se le altre procure, dopo quella di Torino, andranno in fondo con le loro indagini.
Insomma, l’ennesima vicenda giudiziaria che coinvolge il calcio italiano è ben lungi da essere conclusa. Una cosa però, al di là di presunti meriti e presunte colpe, delle responsabilità juventine e del così fan tutti, è chiara: a incastrare la Juventus in questo primo filone di inchiesta non sono state le plusvalenze, altrimenti sarebbe finito tutto a tarallucci e vino. È stato un “sistema” reiterato di aggiramento delle regole. Ne avevamo già scritto qui. E questo è potuto emergere solo perché, a differenza delle altre società, la Juve è quotata in Borsa.
Del fatto che le quotazioni in Borsa per i club calcistici non siano un buon affare da un punto di vista finanziario, ne avevamo scritto tempo fa. Il problema è che non lo sono nemmeno da un punto di vista etico e giuridico. O meglio, non lo sono se si vogliono aggirare le regole. Perché, in un calcio da sempre abituato a muoversi ai confini della legalità, l’essere listati al mercato azionario impone controlli che gli altri possono tranquillamente evitare. Questo è il punto.
Tanto che, scrive anche Tobias Jones sul Guardian, ora il vero obiettivo di Exor, la cassaforte di famiglia che della Juventus detiene circa il 70%, non è tanto quello di cambiare dirigenti o allenatori. Ma quello di delistare immediatamente la società. Il problema è che è molto dispendioso, troppo. Ci avevano provato a più riprese anche i proprietari americani della Roma, ma l’andamento azionario dei club calcistici ha uno storico talmente pessimo che togliere i club dal mercato ricomprando le azioni ha costi improponibili. Ecco il bivio davanti a cui si trova Exor. Spendere una quantità di soldi assurda per togliere la Juve dalla Borsa, e tornare a fare come fan tutti. O rimanere quotati essendo obbligati a rispettare le regole, più degli altri di sicuro. O la borsa, o la vita?