I soldi del Napoli, De Laurentiis e i “ricchi scemi”

La strategia "vecchio stile" di De Laurentiis ha pagato. Per il Napoli campione d'Italia ma anche per la sua famiglia

Il Napoli ha vinto il campionato dopo 33 anni © Alessandro Amato del Monte/Flickr

Lo scudetto del Napoli ha diversi padri, ognuno scelga quello che preferisce: il tecnico Spalletti, il direttore sportivo Giuntoli, o i giocatori Di Lorenzo, Kvaratskhelia e Oshimen. Ma di sicuro ha un solo padrone: il produttore cinematografico Aurelio De Laurentiis. Un padrone vecchio stile, potremmo dire. Un corpo e un volto ben definiti. A rappresentare un vecchio modello di proprietà industriale, in un calcio oramai da anni in mano a impersonali quanto misteriosi fondi finanziari globali. Un padrone che come tutti, vecchi e nuovi, quando investe nel pallone lo fa per guadagnare soldi. E non certo per perderli.

È vero. Ci sono stati imprenditori che a causa del calcio sono andati sul lastrico, ma è perché ci sarebbero andati lo stesso. Altri possono aver utilizzato la squadra locale per fare un investimento a fondo perduto sul potere politico e sociale che deriva dal possedere un club, ma sono investimenti che portano sempre un ritorno. L’idea romantica dei vecchi padroni innamorati del calcio, che perdevano soldi pur di vedere la loro squadra vincere, è una leggenda. Non sono mai esistiti i “ricchi scemi” di cui parlava l’allora presidente del Coni Giulio Onesti. I padroni del calcio dal pallone hanno sempre guadagnato. Ieri come oggi.

E De Laurentiis non fa eccezione. Comprato il Napoli dal curatore fallimentare nel 2004 per circa 31 milioni, grazie a un prestito ottenuto dalle banche, Adl nei primi anni investe una decina di milioni a fondo perduto nel club, per farlo tornare in Serie A. Poi, cambia tutto. Arrivano i soldi della Serie A e delle qualificazioni alla Champions League, dei diritti tv e degli sponsor (il Napoli nel 2011 fu il primo ad avere il doppio sponsor di maglia, oggi ne ha forse cinque), dei trofei (tre Coppe Italia e una Supercoppa, oggi lo scudetto) e del calciomercato. Prima del triennio pandemico il Napoli aveva chiuso i bilanci sempre con il segno positivo.

Bilanci quasi sempre in attivo anche grazie a ottime sessioni di calciomercato, con le plusvalenze sui vari Higuain, Cavani o Jorginho. Basti pensare che lo scudetto è stato vinto con un mercato in attivo, incassando 80 milioni (Koulibaly, Ruiz, Milik) e spendendone 75 (Kim, Kvaratskhelia, Olivera, Anguissa, Raspadori). Ma non solo. Coi saluti ai vecchi idoli Mertens, Insigne e Ospina, cui non è stato rinnovato il contratto, il monte ingaggi si è ridotto del 16%. Passando da 94 a 79 milioni. Nel ventennio di Adl, i ricavi complessivi hanno sfiorato i 3 miliardi di euro. E con il bilancio di questa stagione tale soglia sarà superata. I profitti complessivi invece, sono di poco sopra i 60 milioni circa.

Il mese scorso, lo stesso De Laurentiis ha raccontato che per il Napoli gli hanno offerto 2,5 miliardi. Quanta strada e quanti soldi da quei 31 milioni presi in prestito per rilevarlo dal curatore fallimentare. Ma non è finita qui. Come è noto, dal 2011 il Napoli è solito elargire ogni anno un sostanzioso compenso proprio al consiglio di amministrazione del club (controllato attraverso Filmauro al 99,8%). E il Cda del Napoli è composto dallo stesso Adl, dalla moglie Jacqueline Marie Baudit, dai figli Valentina e Edoardo e dal manager Andrea Chiavelli. I cinque l’anno scorso hanno incassato 2,3 milioni di euro puliti. E in generale, dal 2011 si sono portati a casa 35 milioni. Alla faccia dei “ricchi scemi”.