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Lotta alla fame: si vince fermando guerre, iniquità e finanza speculativa

La Coalizione contro la povertà denuncia: senza un approccio globale che contrasti speculazioni, conflitti, cambiamenti climatici e agribusiness non si sconfigge la malnutrizione

Nicoletta Dentico
Nicoletta Dentico
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Il cibo come strategia di politiche sistemiche e di democrazia: questo il punto di vista con cui la Coalizione Italiana contro la Povertà (membro di Global Call to Action Against Poverty, GCAP), ha concepito, scritto e presentato quest’anno a Roma il rapporto di monitoraggio sulla applicazione dell’Agenda 2030 in Italia.

Il rapporto è stato lanciato a pochi giorni dall’avvio dell’High Level Panel on Sustainable Development Goals (SDGs). Quello in programma a New York è infatti l’appuntamento forse più decisivo per la discussione internazionale sulle modalità più efficaci e realistiche di messa a terra dell’agenda che la comunità dei governi si è data nel 2015, per rimediare alle molte e profonde storture derivanti dalle politiche globali degli ultimi decenni.

L’obiettivo che prevede entro il 2030 lo sradicamento della fame, il secondo di sviluppo sostenibile, è uno dei più ambiziosi. Drammaticamente, da quando l’era della sostenibilità ha preso le mosse, l’accesso al cibo è anche uno dei terreni su cui la comunità internazionale retrocede, senza soluzione di continuità, dal 2014 a oggi.

La fame non è una malattia

La fame sul pianeta, infatti, è in aumento: 821 milioni di persone ne soffrono, secondo il rapporto FAO SOFI 2018. Diciamolo subito: non ha senso pensare di risolvere il problema con una delle solite soluzioni tecniche di alleanze create ad hoc, quasi che fosse una questione isolata, una malattia.

La top ten degli Stati con più persone denutrite. FONTE: Rapporto GCAP - Diritto al cibo. Lo sviluppo sostenibile a partire dai sistemi alimentari.
La top ten degli Stati con più persone denutrite. FONTE: Rapporto GCAP – Diritto al cibo. Lo sviluppo sostenibile a partire dai sistemi alimentari.

Il dramma della fame si incrocia con una molteplicità di questioni sociali, economiche, politiche e ambientali – diseguaglianze diffuse; modelli di produzione e consumo iniqui e inquinanti, che mettono a repentaglio la salute; politiche commerciali che discriminano i contadini e i piccoli produttori; fenomeni ambientali di siccità o inondazioni, che rovinano il paziente lavoro della terra.

E che dire poi delle guerre: in almeno 18 paesi, il conflitto è il primo motore di insicurezza alimentare. Il cibo, dunque, attraversa tutte le storture del mondo. Il principio del diritto al cibo, superiore al concetto di sicurezza alimentare, è essenziale nell’orientare le politiche perché consente di indagare con sistematicità i limiti di un modello socio-economico fondato sulla massimizzazione del profitto e la prevaricazione, invece che sui diritti umani.

Ripensare politiche mondiali sul cibo

Per questo motivo, se i governi intendono seriamente attaccare l’orrore della fame, devono superare i confini dei singoli obiettivi della Agenda 2030 e la presunta separatezza tra dimensione domestica ed internazionale delle politiche sul cibo.

È impossibile definire politiche a pezzi. Lo ricorda con un eloquente esempio Gianni Bottalico di ASviS nel suo intervento: «in un momento in cui si discute nel nostro Paese delle concessioni autostradali, gli investimenti fatti da parte del concessionario in Patagonia, per l’acquisizione di estensioni immense di terre, invece che sul mantenimento della qualità della rete dei trasporti in Italia, la dice lunga sulla importanza della coerenza delle politiche».

Dal dossier di copertina Expo: il mondo ci guarda”, su Valori 128, maggio 2015

Un approccio che metta al centro i titolari di diritti

La questione democratica nei sistemi alimentari è la prima, in ordine di importanza. È legata alle dinamiche della governance, cui il rapporto dedica un’analisi puntuale, ovvero alla necessità di passare dall’approccio multi-stakeholder a quello dei right-holder, dei titolari dei diritti, quando si discute di accordi internazionali o locali per il diritto al cibo, aprendo spazi veri di accesso alla società civile, ai movimento sociali, ai piccoli contadini e produttori.

Il modello del Comitato delle Nazioni Unite per la Sicurezza Alimentare (CFS), presso la FAO, indica una pista di partecipazione inclusiva volta a equilibrare la (talora) sfacciata presenza dei portatori di interesse quali gli oligopoli multinazionali del cibo.

I pericolosi ISDS

Parallelamente, occorre sostenere il negoziato per un trattato vincolante delle Nazioni Unite sulle attività delle imprese in materia di diritti umani, così come la cancellazione degli articolati degli accordi commerciali e sugli investimenti che prevedono la possibilità per le aziende di portare in giudizio gli stati presso arbitrati internazionali quando percepiscano un rischio ai loro investimenti (Investor State Dispute Settlement, ISDS).

Il protezionismo è guerra, ma è guerra anche la liberalizzazione eccessiva e il crescente attacco alle politiche dei governi, quando esercitano la loro funzione pubblica nell’interesse delle società.

Alla democrazia è collegato il tema dei limiti strutturali dell’intero paradigma tradizionale dello sviluppo e la questione dei modelli di produzione.

Abbandonare l’agribusiness

Dopo sessanta anni di scelte nello sviluppo agricolo ispirate a un modello fordista, basato sulla meccanizzazione sempre più spinta, l’utilizzazione intensiva dei terreni con selezione di specie ad alta resa e immissioni massicce di fertilizzanti e pesticidi di sintesi, con processi di scala crescente sia sui processi di trasformazione che di grande distribuzione, non si può ragionare di diritto al cibo senza allargare la riflessione e le strategie di intervento all’intero sistema di accesso, mantenimento e rinnovamento delle risorse naturali necessarie per produrre.

Non si possono non affrontare, cioè, le implicazioni sui diritti alle risorse primarie come l’acqua, la terra, i semi, la biodiversità. In un mondo in cui un terzo del cibo prodotto globalmente non viene consumato, e viene invece distrutto o sprecato lungo la filiera, la logica dell’aumento della produttività e dell’intensificazione non fa altro che ampliare i problemi di erosione dei suoli, di danni ambientali e alla salute umana che hanno messo in ginocchio il pianeta. Occorre invece parlare della costruzione di un sistema alimentare equo e sostenibile, nel segno della agroecologia e della sovranità alimentare.

Agroecologia e sovranità alimentare sono gli assi portanti di un modello alternativo in grado di rispondere meglio al diritto al cibo, alla conservazione della biodiversità, e alla riduzione delle emissioni di gas serra.

Rompere il legame tra cibo e speculazione

Infine, non possiamo non considerare il nesso tra cibo e speculazione finanziaria. Mentre ai contadini viene per lo più negato l’accesso al credito, attori finanziari e prodotti come i derivati sono in campo per usare il cibo come merce speculativa volta a orientare, anche geopoliticamente, gli andamenti dei mercati finanziari.

Non possiamo dimenticare i giochi speculativi sul prezzo del cibo che affamarono diversi paesi africani nel 2008, proprio mentre crollava il sistema della finanza con il casinò speculativo dei subprime, piuttosto che le variazioni sul prezzo delle granaglie, che nel 2011 produssero l’incremento improvviso del prezzo del pane, e l’avvio delle cosiddette primavere arabe.

FONTE: Rapporto GCAP - Diritto al cibo. Lo sviluppo sostenibile a partire dai sistemi alimentari.
FONTE: Rapporto GCAP – Diritto al cibo. Lo sviluppo sostenibile a partire dai sistemi alimentari.

Il rapporto consegna numerosi percorsi di agricoltura sostenibile. Servono però processi di trasformazione del consenso politico che costringano veramente i decisori politici a impegnarsi per le riforme profonde del sistema finanziario che, nonostante gli effetti devastanti della crisi del 2008, non si sono ancora veduti.

A livello nazionale, tutte le analisi e raccomandazioni del rapporto GCAP troveranno una nuova interlocuzione nella cabina di regia della Presidenza del Consiglio per lo sviluppo sostenibile, “Benessere Italia”, che sarà lanciata il 10 luglio.

Vogliamo sperare che la nozione di benessere, in materia di cibo, produca una visione giusta di politiche pubbliche agricole, industriali e commerciali, adatte a produrre generi alimentari sani e adeguati, lungo tutta la filiera. Parlare di cibo, per l’Italia, implica evidentemente andare oltre la difesa della dieta mediterranea.


* L’autrice è vicepresidente Fondazione Finanza Etica