Eni sponsorizza la cultura per raccontare un mondo che non esiste

Eni: la multinazionale del fossile investe nella cultura per nascondere le proprie responsabilità nei disastri ambientali

Come Eni investe in cultura per coprire le responsabilità climatiche © Greenpeace Italia

La decina di milioni di telespettatori che ogni anno segue il Festival di Sanremo è sommersa di spot naturalistici. Virati su toni dal verde al blu, con immagini di prati, fiori, piante e fiumi, questi spot raccontano una vita moderna felice, e soprattutto sostenibile, in paesaggi bucolici. Qui tutto ciò che si muove è alimentato da energia pulita. Tutto bellissimo. Peccato però che dietro queste soavi immagini si celino gli enormi bacini estrattivi di gas e petrolio che devastano il Pianeta. Avvelenano terra, aria e acqua. Uccidono gli animali e sfigurano l’ecosistema. Per non parlare dei fumi delle fornaci, o delle strutture e infrastrutture per lo stoccaggio e il trasporto delle materie fossili.

Siamo ben oltre l’abusato concetto di greenwashing. Siamo in una specie di Matrix. Dove vediamo paesaggi bucolici virati in verde e in blu invece di inquinamento e devastazione, terre grigie e mari neri. E questo perché le pubblicità che ogni anno dal 2022 milioni di spettatori vedono a Sanremo, grazie anche alla complicità di noti testimonial a partire da Virginia Raffaele, sono quelle di Plenitude, Be Charge e Enilive. Sussidiarie di Eni. Ovvero della più grande compagnia fossile italiana, che per ripulirsi l’immagine si è messa a finanziare ogni evento culturale, o presunto tale, del Paese. E come le sorelle Wachowski ha inventato un modo parallelo, dove ha completamente eliminato dalla sua comunicazione ogni traccia di gas e petrolio: il suo core business.

Eni, un’azienda fossile che tra mercati finanziari e politica ha molto poco a che fare con la cultura

Sulle operazioni comunicative in ambito culturale di Eni è uscito un interessante report a cura dell’organizzazione A Sud. L’inchiesta mostra come Eni da qualche anno abbia intrapreso un imponente lavoro di marketing culturale. Mirato a ripulire la propria immagine pubblica finanziando o associando il proprio marchio a molteplici iniziative culturali. Dai grandi eventi come il Festival di Sanremo e a partire da quest’anno la Serie A di calcio, fino a piccoli festival locali e territoriali. E lo abbia fatto senza alcun impegno vero e proprio verso le cause sociali o ambientali che i suoi spot dicono di perseguire. E senza neppure attenzione verso quei territori in cui finanzia le iniziative. Anzi, spesso e volentieri sono proprio quelle realtà locali martoriate da estrazione, produzione e trasporto delle energie fossili.

Non serve ripercorre la storia di Eni partendo dai tempi dell’Ente Nazionale Idrocarburi di Enrico Mattei e arrivando alla partecipata statale di oggi che, come ha spiegato il professor Alessandro Volpi su queste pagine, veleggia tra opachi piani industriali e spericolate operazioni di puro arricchimento nel mercato finanziario. Basta pensare che negli ultimi anni Eni ha conseguito oltre 40 miliardi di utili grazie soprattutto, se non esclusivamente, a petrolio e gas. E che per questo, come segnalato dall’ong Oil Change International,  «nel 2022 le attività commerciali di Eni hanno causato più inquinamento netto da gas serra a livello mondiale dell’Italia stessa».

E sono nette anche le scelte politiche di Eni. A partire dalle implicazioni politiche del nuovo Piano Mattei, voluto in concerto con il governo di estrema destra di Giorgia Meloni. Un vero e proprio progetto neocoloniale, con implicazioni tragiche per le popolazioni africane, la loro economia, e la sopravvivenza dell’intero Pianeta. Un piano che con nerissima ironia è stato finanziato coi soldi europei del Fondo italiano per il clima. Ma di tutto questo appunto negli spot virati in verde e blu di Eni al Festival di Sanremo non c’è traccia. Come non ce ne è traccia nei marchi e nelle pubblicità, con gli stessi colori, che affollano mille altri festival, mostre, esposizioni e rassegne in giro per il Paese.

Per una cultura libera anche FestiValori, come altre realtà, preferisce rinunciare ai finanziamenti fossili

Il cane a sei zampe di Eni virato in verde e blu appare in molteplici eventi e manufatti culturali. Dal concertone del primo maggio a Roma agli incontri del Festivaletteratura di Mantova, dal Festivalle di Agrigento ai fumetti di Jacopo Fo sulla storia di Gela. E, come sottolinea la preziosa inchiesta di A Sud, anche nei vari incontri locali a Taranto, Crotone, Livorno, Porto Marghera, Viggiano o Sannazzaro. Posti che non sono stati scelti a caso. Luoghi dove lo sviluppo basato sul fossile ha fatto danni inenarrabili. Territori devastati da una presenza industriale che alla lunga si è rivelata predatoria e dove Eni prova a compensare le mancanze attraverso i contributi culturali.

Contributi che però, oltre che opinabili, sono minimi e quasi inutili. Lo spiega A Sud andando a guardare i dati relativi al 2023, in cui si nota come Eni a fronte di 9,2 miliardi di euro di investimenti abbia destinato soltanto 95 milioni allo sviluppo locale. Una percentuale irrisoria del 1,03%. Un po’ poco per un’azienda che afferma: «Investire nelle comunità locali è la dimostrazione diretta che il nostro percorso di transizione energetica coinvolge i territori». A Sud nel suo rapporto prova a offrire una via di uscita, attraverso una serie di esempi di iniziative culturali dal basso che rifiutano i soldi e il patrocinio di Eni e delle altre aziende fossili.

Così come fa FestiValori, il festival di Valori.it e di Fondazione Finanza Etica che anche quest’anno si svolgerà a Modena dal 17 al 20 ottobre. Una serie di panel, incontri e discussioni, che si propongono di raccontare come la finanza appartenga oramai a ogni aspetto della nostra vita quotidiana. E lo fa rinunciando a ogni tipo di finanziamento o sponsorizzazione che provenga da aziende fossili, o che commerciano in armi o non rispettino i minimi parametrici etici. E sono molti soldi. Perché dire no a questo tipo di finanziamenti non è solo un diniego o una scelta di campo. È soprattutto l’inizio di un percorso collettivo per una cultura libera, che abbia la volontà di portare giustizia sociale, economica e climatica.