Rutenio, il metallo sconosciuto nel mirino dell’industria (e della finanza)
Volano i prezzi del rutenio, metallo rarissimo indispensabile per gli hard disk. La domanda cresce, l’offerta è scarsa e la speculazione è all’orizzonte
La transizione energetica ci ha abituati a sentir parlare di litio, cobalto, nichel, manganese. E di terre rare, un gruppo di cui fanno parte 17 elementi chimici: lo scandio, l’ittrio e i lantanoidi. È piuttosto inusuale, però, sentir parlare di rutenio. Un metallo estremamente raro, estremamente richiesto ed estremamente costoso. Il cui prezzo, spiega un approfondimento di Les Echos, «sfida le leggi del mercato». Ed è esposto, come molte altre materie prime, a dinamiche speculative.
Cos’è e a cosa serve il rutenio
Il rutenio è un metallo che fa parte del gruppo dei platinici: è duro, di colore bianco-argenteo, resiste agli acidi ma può ossidarsi. Spesso lo si aggiunge in piccolissime quantità alle leghe, per esempio di titanio, platino e palladio; è utile anche nella catalisi industriale, nella chimica farmaceutica ed è oggetto di sperimentazioni in campo medico. Soprattutto – e sta qui la sua recente popolarità – è fondamentale per i dischi rigidi dei computer, i classici Hdd magnetici (non per gli Sdd di smartphone, tablet e laptop).
Il rutenio non funge da memoria, ma serve come sottilissimo strato intermedio tra i livelli magnetici dei “piatti” che ospitano i dati. Grazie alle sue proprietà chimiche e magnetiche, permette di scrivere più dati in meno spazio. Resiste alla corrosione e mantiene intatte le prestazioni nel tempo, caratteristiche fondamentali per i sistemi di archiviazione a lungo termine. In pratica, è grazie al rutenio se hard disk di dimensioni contenute raggiungono capacità considerevoli, anche di diversi terabyte. Una caratteristica divenuta indispensabile, in virtù della crescita esponenziale del cloud e dell’intelligenza artificiale.
Come si spiega l’esplosione del prezzo del rutenio
Il prezzo del rutenio aveva già raggiunto un picco di circa 850 dollari all’oncia nella primavera del 2021, salvo poi stabilizzarsi negli anni successivi tra i 400 e i 600 dollari. Con l’inizio del 2025 ha preso il via un’impennata che lo ha portato a fine luglio a sfondare nuovamente il tetto degli 800 dollari all’oncia. D’altra parte, spiega Les Echos, la richiesta è sempre più consistente ma la produzione resta scarsa, attorno alle 30 tonnellate all’anno.
La legge della domanda e dell’offerta vorrebbe che, a questo punto, si scavassero nuove miniere per incrementare la disponibilità di questo metallo, facendo calare i prezzi. Ma in questo caso non andrà così. Perché le miniere di rutenio non esistono, visto che è un co-prodotto del platino. E in questo momento non c’è interesse di mercato per il platino. Al cobalto, che è un co-prodotto del rame impiegato nelle batterie dei veicoli elettrici, è successa la stessa cosa ma con esiti opposti. Visto che la domanda di rame era stabile, i gruppi minerari hanno mantenuto costante la produzione innescando un eccesso di offerta di cobalto. Il cui prezzo, dunque, è crollato da 80 a 30mila dollari nell’arco di pochi mesi.
Queste oscillazioni non sono solo incidenti di percorso, ma diventano terreno fertile per la speculazione. Materiali finora confinati nei laboratori – come appunto il rutenio – diventano anche strumenti di investimento, impacchettati in strumenti derivati e fondi specializzati. Più questi mercati diventano finanziarizzati, più rischiano di trasformarsi in un paradiso per chi specula, traendo profitto da ogni variazione di prezzo.
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