Salari dignitosi. “La schiavitù c’è anche da noi”. L’accusa contro H&M da parte di una lavoratrice italiana
Al via una settimana di protesta per un salario dignitoso nel fast fashion organizzata dalla Clean Clothes Campaign: "Turn around, H&M!"
“Pensavo che la schiavitù fosse stata abolita due secoli fa!”. Sono le parole, forti, scritte da una lavoratrice del polo logistico di H&M di Stradella, in provincia di Pavia (gestito da XPO, azienda leader a livello internazionale nel settore della logistica e dei trasporti), rivolte idealmente a tutte le sue college che lavorano per l’azienda tessile in giro per il mondo.
Nel mirino, ancora una volta, H&M, per le condizioni di lavoro e il livello dei salari, lontanissimo da quello dignitoso. Ma questa volta la lettera squarcia il velo della realtà italiana, non più solo del sudest asiatico.
L’ha pubblicata oggi la Campagna Abiti Puliti, aprendo una nuova fase della mobilitazione internazionale Turn Around, H&M! (cioè Fai marcia indietro, H&M!) della Clean Clothes Campaign. Nuova fase che, dal 23 al 30 novembre cercherà di sensibilizzare ancor più i consumatori sugli impegni mancati della multinazionale della moda. E che prevede azioni di strada a Londra e Milano, innanzitutto, poi in altre 24 città, Bolzano e Torino incluse.
H&M, la moda iniqua: 2,6 miliardi di profitti ma i salari sono da fame
H&M e fast fashion sotto accusa: le ragioni della protesta
Una settimana di mobilitazioni che chiama in causa la società svedese che punta tutto sul prezzo all’osso, ma che – attraverso H&M – guarda all’intero sistema di produzione del tessile.
«Il modello di business di H&M sta mettendo sotto pressione i lavoratori e le lavoratrici a diversi livelli della catena di fornitura. Ma chi cuce nelle fabbriche, chi si occupa di smistare i pacchi nei punti logistici e chi è impiegato nei negozi di distribuzione ha diritto a un salario dignitoso e a giuste condizioni di lavoro», dichiara Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti. Per questo «Oggi uniamo le forze insieme ai delegati italiani dei negozi di H&M per portare le nostre richieste nel cuore di Milano».
Proprio la questione del salario dignitoso è al centro delle richieste verso la compagnia, a partire dai dati rilevati nelle fabbriche stabilite in Bulgaria, Turchia, India e Cambogia. Dati diffusi da Abiti Puliti già a settembre scorso in un documento in cui si metteva a confronto la realtà locale con le promesse pubblicate dall’azienda stessa nel 2013 attraverso una Roadmap towards fair living wages (ovvero, un piano d’azione per un salario dignitoso). Un documento rivolto a 850 mila lavoratori impiegati da “fornitori strategici e selezionati” (definiti “gold” o “platinum” da H&M), che fabbricavano il 60% dei prodotti del marchio. Promesse che avrebbero dovuto realizzarsi entro il 2018.
Impegni disattesi negli stabilimenti considerati dall’indagine ma, secondo gli attivisti, spia potenziale di una prassi comune anche ad altre società di fornitura del gruppo. E non solo. Perché H&M, dopo aver tratto dalle nobili promesse a mezzo stampa un innegabile vantaggio in termini di immagine, quegli stessi impegni se li sarebbe in qualche modo rimangiati. Dal 2013 in poi, infatti, «…la promessa iniziale di un salario dignitoso non trova più spazio nelle comunicazioni aziendali. Nemmeno i documenti inerenti al piano d’azione sono più accessibili sul sito web di H&M».
L’Italia non è diversa
Il gruppo H&M è decisamente un gigante del settore tessile, con oltre 4.800 punti vendita e profitti miliardari. E le pressioni perché il suo modello di business diventi economicamente e socialmente sostenibile riguardano anche la filiera italiana. A dimostrarlo senz’altro la lettera della lavoratrice di Stradella iscritta al S.I. COBAS, che ripercorre la fatica quotidiana del magazzino di spedizione e il percorso delle lotte intraprese finora.
«Mi domandavo come fosse possibile che in Italia, un paese dell’Unione Europea, potessero accadere queste cose, senza che nessuno intervenisse», scrive la lavoratrice.
«Quello che purtroppo non siamo ancora riusciti a ottenere è uno stipendio adeguato, l’abolizione del sabato come giorno di lavoro ordinario e la domenica pagata con la giusta maggiorazione, i primi tre giorni di malattia e infortunio retribuiti; ferie, permessi e bonus aggiuntivi calcolati in modo corretto.
Mentre vi scrivo ricevo notizia di una causa intentata da XPO nei confronti del nostro sindacato e di 147 lavoratori per danni patrimoniali e di immagine che avremmo procurato con i nostri scioperi. Ma quel che è peggio, sono stati annunciati 400-450 licenziamenti nel mio magazzino di lavoratori precari perché H&M sta aprendo nuovi poli logistici in Europa».
Una battaglia condivisa a diversi livelli e da diverse organizzazioni sindacali. Come ribadisce Jeff Nonato, funzionario nazionale della Filcams CGIL, che coordina l’iniziativa di Milano in collaborazione con Campagna Abiti Puliti: «Partendo dal rispetto degli accordi sottoscritti tra sindacato e multinazionale svedese, è ora necessario affrontare il tema della complessiva qualità occupazionale in H&M, ragionando sempre di più in termini di filiera».
Le mobilitazioni in Italia:
La settimana globale di mobilitazione si svolge intorno al quinto anniversario delle promesse non mantenute. E la petizione lanciata nell’ambito della campagna “Turn Around, H&M!” ha già raccolto oltre 135mila firme.
Milano: flash mob con i delegati FILCAMS CGIL di H&M per raccolta firme in centro a Milano di fronte a un negozio H&M.
Bolzano: flash mob per raccolta firme e sensibilizzazione di fronte a un negozio H&M a cura di OEW – Organizzazione Per Un mondo solidale.
Torino: intervento aperto alla cittadinanza per raccolta firme e sensibilizzazione a cura di Hòferlab associazione culturale, presso la Casa del Quartiere di San Salvario.