Armi, pochi controlli dopo la vendita. Spesso se ne perdono le tracce
Armi da guerra, leggere o informatiche. Dal rapporto del Sipri emerge un settore tracciato, ma con pochi controlli post-vendita. E molti passaggi di mano illegali
Il commercio delle armi non conosce crisi, neanche durante una pandemia. E si alimenta perlopiù delle esportazioni, dal momento che il materiale bellico proviene in gran parte da industrie con base in Paesi “di pace”. Paesi sostanzialmente liberi da conflitti militari sul proprio territorio, come Stati Uniti, Russia, Francia, Germania, Cina, Regno Unito, Spagna, Israele, Olanda. E Italia, anch’essa tra i primi 10 fornitori globali di armamenti e affini. E ai big dell’industria bellica, per fare profitti, servono guerre in corso da qualche altra parte, o almeno arsenali pronti a combatterle.
Se le armi prendono strade impreviste
Ma siamo sicuri che bombe, missili, pezzi d’artiglieria, mortai, blindati e carrarmati, elicotteri, aerei o navi da guerra finiscono davvero nelle mani di chi firma i contratti di acquisto e importazione? E su questi prodotti, ma anche su fucili, lanciarazzi e munizioni, e persino su software e attrezzature militari ad alta tecnologia, o sui cosiddetti materiali Dual use, esiste qualche verifica, preventiva o successiva alle esportazioni? Perché uno dei fenomeni che talvolta si verifica è la cosiddetta “diversion” (in italiano lo tradurremo come “deviazione” o “distrazione”) del materiale bellico. Ovvero, succede che ordigni e armamenti passino di mano illegalmente dopo la prima vendita e consegna, entrando quindi nella disponibilità incontrollata di circuiti e destinatari sconosciuti.
Il Rapporto SIPRI
Può succedere, ad esempio, che carri armati ucraini, artiglieria, armi leggere e munizioni autorizzate per l’esportazione in Kenya tra il 2006 e il 2008, successivamente siano state inviate in Sud Sudan. O che un elicottero bielorusso Mi24p sia stato trasferito negli Emirati Arabi Uniti nel 2014 e consegnato poi alla milizia del generale Haftar. Cioè il principale gruppo armato non statale in Libia, ad aprile 2015. Ciò senza l’autorizzazione preventiva di riesportazione dalla Bielorussia e in violazione dell’embargo sulle armi delle Nazioni Unite del 2011 nei confronti della Libia. La lunga durata del materiale militare amplifica il rischio di distrazione verso utenti finali non autorizzati, anche a distanza di anni dalla prima spedizione.
A evidenziare questi movimenti è stato un recente rapporto dell’Istituto di ricerca internazionale sulla pace di Stoccolma (SIPRI), che ha esaminato lo stato dell’arte dei sistemi di monitoraggio post vendita delle armi messi in campo da alcuni Paesi produttori. C’è stato un aumento del numero di Paesi europei che stanno conducendo ispezioni in loco o stanno valutando di farlo o pianificando di adottare tali misure. Motivo per cui «un’ampia gamma di organizzazioni multilaterali già includono l’implementazione in loco ispezioni come parte dei loro documenti guida».
Il sistema delle ispezioni in loco
I programmi di ispezioni in loco sui materiali militari fabbricati negli Stati Uniti ed esportati fanno scuola, con verifiche adottate nell’ambito dei programmi Blue Lantern e Golden Sentry fin dal 1990. L’attività d’ispezione, del resto, è condizione alla base della stipula di molti accordi commerciali e, precisa SIPRI, «si basa su tre obiettivi correlati per lo Stato esportatore: verifica, prevenzione e creazione di fiducia reciproca». Anche l’Europa, seppure a rilento e in ordine sparso, si sta muovendo in questa direzione.
Infatti «solo pochi Paesi hanno sviluppato e attuato ispezioni in loco delle attrezzature militari come parte delle loro misure di controllo post-spedizione e la portata di tali programmi differisce notevolmente» da quelli USA. Paesi come Svizzera, Repubblica Ceca e Germania stanno già conducendo ispezioni in loco del materiale militare esportato. Altri (SIPRI cita le Fiandre) potrebbero farlo, avendo introdotto disposizioni legali che lo consentono, ma non ne hanno ancora svolte. «Un terzo gruppo di Paesi (ad esempio la Svezia) sta ancora valutando le possibili sfide diplomatiche e pratiche che tali ispezioni comportano. E il loro possibile valore aggiunto nel prevenire la deviazione del materiale militare esportato».
La legge italiana sulle armi e lo stop all’export in Arabia Saudita
In Italia il commercio ufficiale di armamenti è tracciato. Nel 1990 è stata approvata la legge 185 sul «controllo e il monitoraggio delle esportazioni, delle importazioni e del transito di armi». E per questo, quando Roma era nel pieno delle consultazioni per la formazione del nuovo governo a fine gennaio 2021, quello uscente di Giuseppe Conte ha potuto annunciare lo stop alla vendita di bombe all’Arabia Saudita. Una decisione storica, annunciata poche ore dopo il ritorno di Matteo Renzi da Riyadh. Qui il politico toscano aveva appena partecipato ad un evento con il principe ereditario Mohammad Bin Salman, l’accreditato mandante dell’omicidio efferato del giornalista Jamal Kashoggi.
Quanto alle verifiche successive alla spedizione del materiale bellico, il rapporto SIPRI specifica competenze e prassi adottate nel nostro Paese. All’UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) del ministero degli Affari esteri spetta «l’attività di controllo sulle fasi precedenti e successive all’esportazione di beni militari. Che viene svolta anche attraverso controlli e ispezioni, oltre al processo di certificazione».
Nella pratica, i nostri controlli sulle esportazioni privilegiano la fase preventiva, cioè prima della spedizione: l’UAMA non effettua direttamente ispezioni in loco nei Paesi terzi. E «le verifiche post-export si basano su rapporti, documenti e informazioni raccolte da diverse fonti, come ambasciate, organizzazioni internazionali e istituti di ricerca».
CAR: il fenomeno della deviazione delle armi è sottostimato
In generale, mancano dati certi ampi, aggregati e globali, o stime sulle dimensioni del fenomeno delle deviazioni. Né, di conseguenza, ci sono valutazioni adeguate sull’efficacia delle ispezioni fisiche in loco nel prevenire la deviazione. Tuttavia Edoardo Varisco, tra gli autori del documento di SIPRI, sottolinea che «alcuni Paesi che conducono questo tipo di controlli li considerano in realtà una pratica efficace». Mentre Rob Perkins, responsabile ricerca di un’organizzazione specializzata in simili indagini come Conflict Armament Research (CAR), ritiene che sia «assai probabile che il problema della deviazione dalle azioni governative sia sottostimato. Spesso è difficile per i nostri investigatori attribuire chiaramente la deviazione da questo meccanismo in modo retroattivo».
Le strade delle armi
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Una convinzione scaturita dai dati resi disponibili nel sistema di monitoraggio iTrace. Emerge che armi e munizioni vengono «dirottate in conflitti armati, documentati dagli investigatori CAR dopo il recupero da parte delle forze di sicurezza». Mentre il rapporto Diversion Digest 2018 analizza i meccanismi di deviazione più comuni identificati sulla base delle indagini condotte riguardo armi smarrite dalla custodia nazionale. E una sottolineatura meritano le scorte governative, poiché diversi casi riguardano deviazioni a partire «dalla sicurezza fisica e dalla gestione delle scorte inefficaci».
Dual use, massima attenzione preventiva, ispezioni mirate
E poi ci sono i materiali Dual use. Pezzi e componenti che possono contribuire alla costruzione di manufatti per scopi civili ma anche, all’occorrenza, per scopi militari. Tecnologie di cyber surveillance e IT, ad esempio, ma anche elementi chimici o determinati macchinari. Una vasta gamma di prodotti la cui esportazione è vigilata in Europa da una legislazione comune (Dual-use Regulation), in via di revisione nel 2021. «La destinazione e uso finali – spiega Edoardo Varisco – sono considerazioni chiave nel valutare ogni licenza di esportazione. La valutazione considera se vi siano potenziali applicazioni in programmi legati ad armi biologiche, chimiche, o nucleari, tecnologia missilistica e altri usi finali sensibili che possano favorire la proliferazione o capacità militare».
Le regole comuni sui controlli all’esportazione di beni e tecnologie nell’area delle biotecnologie vengono concordate dagli Stati in un forum multilaterale, l’Australia Group. E così «controlli doganali in combinazione con licenze di esportazione, analisi di intelligence e due-diligence da parte degli esportatori contribuiscono a prevenire esportazioni non autorizzate di materiali Dual Use verso destinazioni e usi finali indesiderati». Tuttavia le ispezioni dopo l’esportazione sono molto rare in Europa per questi materiali. «Qualora utilizzate – conclude Varisco – di solito sono applicate solo a particolari attrezzature/macchine di produzione particolarmente sensibili».