Snam deve rompere i rapporti con Israele? La richiesta degli azionisti critici

ReCommon ha partecipato come azionista critico all’assemblea di Snam, chiedendo che l’azienda rispetti i diritti umani, l’ambiente e il clima

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La sede centrale di Snam © Ivan Peschiani/Wikimedia Commons
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Il 14 maggio si è svolta a San Donato Milanese l’Assemblea degli azionisti di Snam, una delle poche tra le partecipate pubbliche a prevedere la partecipazione in presenza degli azionisti. Tema centrale è stato quello della nomina dei nuovi vertici alla guida dell’azienda. A partire dal presidente Alessandro Zehentner, vicino a Fratelli d’Italia. E del nuovo amministratore delegato, Agostino Scornajenchi, ex direttore e ad di Cassa Depositi e Prestiti, l’azionista pubblico di maggioranza di Snam.

ReCommon è intervenuta per la prima volta all’assemblea degli azionisti di Snam in qualità di azionista critico. Per portare all’attenzione dell’ad uscente Stefano Venier e del management alcune questioni cruciali che riguardano proprio l’impatto del business di Snam sul rispetto dei diritti umani, l’ambiente e il clima. L’azienda, che ricordiamo è l’operatore italiano della rete di trasporto del gas, ma anche tra le principali corporation nel settore in Europa, punta proprio sulla sostenibilità e sulla transizione energetica come schema narrativo per raccogliere il sostegno degli investitori responsabili sui mercati internazionali. E lo fa con successo. Oltre l’80% dei finanziamenti di Snam deriva dal mercato della finanza sostenibile.

Gli affari di Snam in Israele al centro delle critiche degli azionisti

La richiesta principale avanzata da ReCommon a Snam riguarda i suoi interessi in Israele nel contesto del genocidio in corso. In particolare, la partecipazione dell’azienda nella East Mediterranean Gas Company (Emg), la società proprietaria del gasdotto Arish Ashkelon che permette a Israele di vendere all’Egitto il gas estratto nei giacimenti offshore di Leviathan e Tamar. Gas che poi l’Egitto utilizza o rivende sul mercato. Snam detiene il 25% di Emg e ha incassato 18 milioni di euro in utile pro quota derivato dal trasporto di quel gas tra il 2023 e il primo trimestre del 2025.

La richiesta avanzata a Snam da ReCommon e dai Giovani Palestinesi Italiani, anche loro intervenuti all’Agm, è stata secca. Vendere le quote di partecipazione di Snam nella società Emg. Recedere da qualsiasi contratto e/o accordo in essere con il governo israeliano e con aziende del Paese – incluse NewMed Energy, Dan, H2Pro (con cui Snam ha firmato dei Memorandum of understanding nel 2020) e altre aziende israeliane – finché permangono seri dubbi sul rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. Avviare una due diligence approfondita sui partner attivi in contesti di occupazione e conflitto. Adottare una policy vincolante in materia di rispetto dei diritti nei contesti operativi internazionali, in linea con i Principi Guida Onu su Imprese e Diritti Umani.

Il rischio non solo reputazionale ma anche finanziario si manifesterebbe infatti qualora Snam venisse associata pubblicamente ad atti configurabili come crimini di guerra. Anche alla luce dell’indagine delle Nazioni Unite sul coinvolgimento di entità private in crimini internazionali all’interno dei territori palestinesi occupati da Israele.

Le partnership di Snam in Tunisia tra repressione e idrogeno verde

Il rispetto dei diritti umani è un tema centrale anche guardando al business attuale e futuro di Snam in Tunisia. Il paese è il partner principale dell’azienda per la costruzione del SouthH2Corridor, il gasdotto di 3.300 chilometri che dovrebbe trasportare in Germania l’idrogeno prodotto in Nord Africa. Uno dei progetti cardine del Piano Mattei e del piano decennale di sviluppo delle infrastrutture di Snam. E che nasce già segnato da pesanti criticità, vista la morsa repressiva del governo contro ogni forma di opposizione e attivismo politico. L’ad uscente non ha fornito particolari rassicurazioni, limitandosi a dire che Snam «non produce» idrogeno in Tunisia. Anche se i progetti di produzione sono chiaramente parte dell’equazione che dovrebbe giustificare un investimento che, solo per la quota parte interna al territorio italiano, sarà di quattro miliardi di euro.

Progetti fossili in Sardegna e Liguria: le scelte opache di Snam

Anche rispetto ai controversi progetti di metanizzazione della Sardegna e sul possibile trasferimento della nave Fsru Italia da Piombino a Vado Ligure, Snam ha fornito risposte elusive, segnate da continui rinvii istituzionali e nessuna presa di posizione concreta. Lasciando volutamente aperta la porta alla costruzione di opere fossili già bocciate da Arera e contestate da esperti e comunità locali. Il nuovo Dpcm Energia prevede infatti l’installazione di due Fsru: a Porto Torres e Oristano in Sardegna. La costruzione di una mini dorsale interna e la virtual pipeline su gomma, con i costi a carico del pubblico. Snam si è sottratta a qualsiasi responsabilità diretta. Affermando che la localizzazione e la realizzazione delle opere dipenderanno dal Governo e dalle istituzioni, con cui è però in dialogo.

Il trasferimento della Fsru Italis Lng da Piombino a Vado Ligure è ingiustificabile in un contesto di calo della domanda di gas e dell’import di Gnl. Oltre che di forte opposizione da parte delle comunità locali, della regione Liguria e delle istituzioni territoriali, che si sono espresse negativamente sul progetto. Snam dovrebbe vendere la nave, che non dovrebbe rimanere né a Piombino né a Vado Ligure. Né altrove. Ma l’azienda preferisce continuare con il piano, dichiarando che la capacità della nave è già stata venduta e che «un modo si troverà in questo prossimo anno». Senza però chiarire nulla su costi, sugli impatti ambientali o sociali. In sintesi, nessuna reale trasparenza e nessuna assunzione di responsabilità. Alla faccia del suo Esg rating.

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