La Banca centrale europea semplifica anche la supervisione bancaria

Per non perdere terreno rispetto agli Stati Uniti, anche l'Europa sceglie di «razionalizzare» la supervisione bancaria

La Banca centrale europea snellisce la supervisione bancaria © Teka77/iStockPhoto

Il 15 settembre 2008 Lehman Brothers –all’epoca la quarta più grande banca d’investimento statunitense – dichiarò bancarotta. Scatenando il panico nei mercati e dando il via alla crisi finanziaria globale. Le istituzioni si trovarono obbligate a intervenire su un sistema bancario ipertrofico, sregolato e intrinsecamente rischioso. A pochi giorni dal 17mo anniversario del crac, Sharon Donnery – che fa parte del Consiglio di vigilanza della Banca centrale europeaannuncia tramite una nota le «misure concrete per razionalizzare e semplificare la supervisione bancaria europea, preservando al contempo la resilienza che abbiamo lavorato così duramente per costruire».

La Bce sposa così il mantra della semplificazione, tanto caro alle istituzioni dell’Unione di questi tempi. E cerca di far sì che le banche europee non si sentano troppo svantaggiate rispetto alle loro omologhe a stelle e strisce, visto che nel frattempo l’amministrazione di Donald Trump sembra avere tutta l’intenzione di smantellare la regolamentazione finanziaria.

Come funziona lo Srep, il check up annuale delle banche europee

Al centro dell’attenzione c’è il Supervisory Review and Evaluation Process, noto come Srep. È una sorta di check up annuale che la Banca centrale europea conduce, insieme alle autorità di vigilanza, sui 114 istituti significativi sui quali esercita una supervisione bancaria diretta. A seguito della valutazione di una serie di parametri, che riguardano il modello di business, la governance e i rischi, il capitale e la liquidità, i gruppi di vigilanza possono imporre requisiti di capitale aggiuntivi alle banche che non si dimostrano abbastanza solide.

Lo Srep non è una novità. Come concetto nasce nel 2004 quando i requisiti di Basilea II introducono il cosiddetto Pillar 2, cioè un cuscinetto di capitale che le banche devono accantonare in virtù del loro profilo di rischio individuale, in aggiunta a quello minimo (Pillar 1). Ma solo dopo la crisi finanziaria globale, nel 2014, entra in vigore il regolamento che istituisce il meccanismo di vigilanza unico a livello europeo. La prima volta in cui la Bce applica una metodologia comune per la supervisione dei maggiori gruppi bancari dell’area euro risale al 2015, dieci anni fa.

Come cambia la supervisione bancaria in Europa

«Tuttavia, in un contesto in rapida evoluzione, la vigilanza deve continuare ad adattarsi», si legge nella nota firmata da Sharon Donnery. Nel concreto, con questa riforma lo Srep rimane annuale ma la valutazione di alcune aree di rischio si articola su un orizzonte pluriennale. In più, le autorità di vigilanza si coordinano tra loro – evitando di chiedere più volte le stesse informazioni – e annunciano le proprie intenzioni all’inizio di ogni ciclo di vigilanza, per far sì che gli istituti si possano organizzare.

Se emergono potenziali problemi, il nuovo approccio individua una gerarchia di priorità. Quelli più lievi vengono affidate alla governance interna delle banche o comunicati attraverso atti operativi ad hoc. Le decisioni formali restano così riservate alle istanze più serie che richiedono l’intervento diretto delle autorità di supervisione bancaria. Se quindi nel 2021 le nuove misure Srep erano circa 700, quest’anno saranno meno di 400. Saranno anche più sintetiche: in media una decina di pagine ciascuna, con le note aggiuntive negli allegati. Così snellite, arriveranno in anticipo (entro fine ottobre e non più a fine anno) per dare alle banche più tempo per adeguarsi.

In parallelo, le autorità di vigilanza ridiscutono il metodo per definire i requisiti del Pillar 2: il debutto di questo approccio semplificato è previsto per il prossimo anno. Velocizzano – da tre mesi a dieci giorni lavorativi – anche le tempistiche per approvare le cartolarizzazioni più semplici (significant risk transfers). E ventilano l’ipotesi di ridurre il peso degli stress test e agevolare l’approvazione delle operazioni di riacquisto di azioni (buyback). Così facendo, assicura il Consiglio di vigilanza della Bce, la supervisione bancaria diventa «più trasparente – e quindi più semplice da capire –, più proporzionata e più efficiente, salvaguardando al contempo la resilienza che abbiamo costruito con tanto impegno».

L’allergia di Donald Trump alla vigilanza sulle banche

Perché tutta questa urgenza di snellire la supervisione bancaria? Per seguire la scia della semplificazione, la stessa che ha portato al primo pacchetto Omnibus. Ma anche perché – sottolinea Les Echos – le lobby bancarie chiedono con insistenza di poter giocare ad armi pari con le concorrenti d’Oltreoceano. L’amministrazione repubblicana, infatti, non si accontenta di alleggerire le regole: sembra avere tutta l’intenzione di demolirle.

Che Donald Trump fosse allergico alla vigilanza sulle banche era cosa nota. Fin da quando, nel 2018, smontò alcune parti del Dodd-Frank Act, la legge federale voluta dal suo predecessore Barack Obama dopo la crisi finanziaria globale. Tre le altre cose, alzò da 50 a 250 miliardi di dollari la soglia di asset per considerare una banca come “sistemica” (e quindi sottoporla a controlli più stringenti). Ed esonerò quasi del tutto dagli stress test della Federal Reserve le banche che non raggiungevano i 100 miliardi di asset.

Non si dovette attendere troppo per assistere ai risultati. Nella primavera del 2023 fallirono proprio tre banche di medie dimensioni – Silicon Valley Bank, Signature Bank e First Republic Bank – che, proprio grazie al colpo di spugna della prima amministrazione Trump, erano soggette a una supervisione molto più superficiale.

Come l’amministrazione Trump vuole sacrificare la supervisione bancaria

Il secondo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca è iniziato da meno di un anno e si intravedono segnali eloquenti. Il segretario al Tesoro Scott Bessent ha detto apertamente che i requisiti patrimoniali imposti alle banche sono eccessivi, frenano i prestiti e la crescita e spostano il credito verso il settore non bancario. Ha anche esortato i regolatori federali ad accantonare una riforma che l’amministrazione Biden aveva proposto proprio dopo i crac del 2023. Se applicata, avrebbe imposto alle banche di calcolare i requisiti di capitale con due metodi diversi (quello tradizionale e quello di Basilea III) e adeguarsi al più alto.

Reuters, citando alcune fonti che preferiscono rimanere anonime, riferisce che negli ultimi mesi l’Office of the Comptroller of the Currency (Occ), la Federal Reserve e il Consumer Financial Protection Bureau (Cfpb) hanno rinviato, ridotto o annullato varie ispezioni bancarie. Soprattutto quando queste riguardavano questioni invise alla nuova amministrazione, come il rischio climatico, la diversità e l’inclusione e il rischio reputazionale. Ma pare che stiano optando per un approccio più morbido anche quando i controlli vertono su questioni critiche per la stabilità finanziaria. Restringono subito il campo su cosa valuteranno e, quando devono chiedere misure correttive, sempre più spesso lo fanno attraverso comunicazioni informali meno impositive rispetto al passato.

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