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«Torniamo a investire nella sanità pubblica. Con responsabilità»

L'ex senatrice Nerina Dirindin denuncia lo stato di abbandono del Sistema sanitario nazionale. «La salute è un investimento, non un costo da tagliare»

Il premier Giuseppe Conte aveva annunciato, lo scorso dicembre, un nuovo patto per la salute da 10 miliardi. Ma c’è chi, nel silenzio generale, aveva già denunciato, un anno fa, lo stato di abbandono del sistema sanitario nazionale e il bisogno di nuovi investimenti. Tra questi Nerina Dirindin, ex senatrice, docente di Economia pubblica e di Scienza delle finanze all’Università di Torino e presidente del Coripe (Consortium for Research and Continuing Education in Economics).

«Oggi è il momento della responsabilità. Eppure ora più che mai l’epidemia da Coronavirus ci sta facendo comprendere come il valore della salute della nostra collettività sia fondamentale. Concetto che è proprio alla base dell’articolo 32 della nostra Costituzione».

Così risponde Nerina Dirindin nell’intervista concessa a Valori.it: un invito a far tesoro dell’esperienza che stiamo vivendo per ricostruire la sanità pubblica.

Posted by Salute Diritto Fondamentale on Monday, March 9, 2020

Spesa pubblica per la sanità/Pil: in Italia tra le più basse d’Europa

«C’è chi nega la politica dei tagli, operata da governi di destra come di sinistra. Quello che possiamo dire è che ci sono stati forti ridimensionamenti e mancati investimenti. Cifre iscritte a bilancio, ma poi non finanziate. Alla fine però, dobbiamo sempre rapportarci al valore del finanziamento pubblico alla sanità rispetto al PIL» ribadisce a Valori Nerina Dirindin.

«In Italia il rapporto tra spesa sanitaria e Pil è al 6,6%, tra i più bassi d’Europa – continua l’ex senatrice – Tre punti in meno di Germania (9,6%) e Francia (9,5%) e molto meno di Svezia (9,1%), Olanda (8,2%) e Regno Unito (7,6%). Solo Spagna e Grecia hanno una spesa inferiore alla nostra (rispettivamente 6,3% e 5,1%), oltre a molti Paesi dell’Est. Persino quelli con un sistema sanitario affidato in maniera rilevante al finanziamento privato spendono, per la sanità pubblica, molto più di noi come la Svizzera che impegna il 7,7%».

Per questo occorre tornare a assumere personale, potenziare strutture ospedaliere e territoriali.

Sono e proposte elencate in un documento stilato, a tutela della sanità pubblica, dall’associazione Salute Diritto Fondamentale a luglio 2019, di cui Nerina Dirindin è fondatrice insieme a Rosy Bindi e Livia Turco, entrambe ex ministre della Salute. Un documento che fotografa lo smantellamento del sistema sanitario nazionale negli ultimi vent’anni e fornisce un decalogo per riportare in vita la sanità pubblica, ora più che mai indispensabile nell’Italia «con livelli di esclusione sociale e rischio di povertà superiori del 28% alla media europea», sottolineano le promotrici.

Spesa per la salute: un investimento, non un costo da tagliare

«Gli investimenti in sanità troppo a lungo sono stati considerati, invece, un costo da tagliare, da contenere, da ridimensionare. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti»  ribadisce a Valori, l’economista. «Ovviamente non si vuole negare che ci siano state e ci siano ancora inefficienze e sprechi. Ma è passata l’idea nell’opinione pubblica e nelle agende politiche, che il servizio sanitario nazionale fosse da sacrificare in nome della più efficiente sanità privata. Che ogni intervento pubblico fosse inefficiente, inadeguato, corrotto».

Intanto, però, l’Italia blindata per impedire la diffusione da Coronavirus si trova a dover fare i conti con il dimezzamento dei posti letto per le  emergenze e la terapia intensiva.  Senza dimenticare la riduzione del personale medico e paramedico.

«Si è agito senza tener conto delle esigenze dettate dagli scenari globali, come il cambiamento climatico, la diffusione di virus ed epidemie», ribadisce l’economista.

«Ci siamo abituati a gestire altri tipi di emergenze, come quelle dei terremoti o quelle dei disastri dovuti alle alluvioni, legate ad un ambito temporale ristretto e locale e più facilmente affrontabili» .

Un piano straordinario per adeguare il patrimonio edilizio sanitario 

Oggi, quindi, è necessario prevenire simili scenari e tornare a investire in risorse umane, strutture, servizi più vicini alla cittadinanza. Favorire la ricostituzione di una rete di servizi, insieme a un miglioramento dell’esistente, anzichè l’accentramento in grandi ospedali con cubature enormi. «Pensiamo solo alle sale di attesa, negli ospedali come negli ambulatori, che devono essere accoglienti, spaziose e sicure». Un elemento non trascurabile, come ci stanno ricordando le dinamiche di questa epidemia, con focolai partiti proprio in ambito ospedaliero e nei pronto soccorso. «Bisogna ricostituire le strutture territoriali. Le case della salute, spesso rimaste sulla carta, i consultori. Le strutture dedicate agli anziani, i centri diurni per chi ha disabilità».

Secondo quanto elaborato dall’associazione Salute Diritto Fondamentale, serve un piano pluriennale di investimenti pubblici. «Il patrimonio edilizio pubblico sanitario e assistenziale, costituito da 561 ospedali pubblici, 2.804 ambulatori, 4.969 altri presidi e 2.449 strutture residenziali e semiresidenziali, è stato costruito per larga parte prima degli anni Novanta». Richiede, quindi, importanti interventi, a partire dall’adeguamento antisismico e antincendio, stimati nell’ordine di 32 miliardi solo per i comuni in zone a maggior rischio. «Per questo occorre un piano straordinario – sottolinea ancora Nerina Dirindin – Prima la ministra Giulia Grillo, ora il ministro Roberto Speranza hanno messo a disposizione complessivamente 4 miliardi che devono essere spesi».

Investire nel personale sanitario

Così, come occorre tornare a investire su nuovo personale medico e paramedico.

«Abbiamo assistito a una diminuzione di quasi il 7% dei dipendenti sanitari, oltre 46mila persone. Se non interveniamo subito non saremo in grado di garantire il ricambio generazionale. E andrà dispersa l’esperienza dei medici anziani ai più giovani».

La riduzione, sempre secondo l’elaborazione dell’associazione Salute Diritto Fondamentale, ha interessato circa 8mila medici. E ben 13mila infermieri, nonostante la loro presenza sia già molto inferiore al resto d’Europa, sia in rapporto alla popolazione (5,6 infermieri ogni 1.000 abitanti, contro 12,9 della Germania e 10,2 della Francia), sia rispetto ai medici (abbiamo infatti solo 1,4 infermieri ogni medico, contro circa 3 di Francia e Germania).

Ridurre il divario tra livelli assistenziali delle varie regioni

Si è parlato tanto di autonomia differenziata, ma cosa significherebbe per la sanità pubblica? Secondo “Salute Diritto Fondamentale”, la politica di revisione della spesa, attuata attraverso i piani di rientro delle regioni, da una parte ha contribuito a contenere i disavanzi, ma non ha migliorato l’offerta assistenziale, anzi. La gestione della sanità divisa tra Stato e regioni non ha risolto il divario tra Nord e Sud, né tra le diverse fasce sociali. «Le disuguaglianze ci sono, richiedono un programma straordinario, proprio per le regioni che sono in difficoltà, sia nell’offerta qualitativa e quantitativa di assistenza», ribadisce Nerina Diridin.

Fonte: Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali, Corte dei Conti 2019

Sanità integrativa e privata non sono la soluzione

Intanto, prima che il servizio sanitario pubblico si risollevi, ci vorrà ancora del tempo. «Un primo passo avanti è l’abolizione del superticket voluta dal ministro Speranza – sottolinea l’ex senatrice – È evidente, però, come gli italiani  abbiano preso l’abitudine a pensare come, per una visita specialistica o per accertamenti urgenti, si debba ricorrere solo al privato accreditato, perché conviene. È passata l’idea che il pubblico non sia più un punto di riferimento».

Nerina Dirindin ribadisce a proposito della sanità integrativa: «È illusorio pensare che fondi sanitari, assicurazioni e welfare aziendale costino meno e siano più efficaci».

Possono svolgere un ruolo, ma solo nel rispetto dei principi generali di tutela della salute, che valgono per tutte le persone. La loro espansione, frutto delle stesse politiche che hanno indebolito la sanità pubblica, legittima l’idea che di fronte alla malattia i cittadini non siano tutti uguali». Ma conclude l’economista, «Forse proprio questa emergenza sanitaria ci aprirà gli occhi su come sia fondamentale, ora più che mai, l’intervento pubblico alla tutela della salute».