Memorandum Ue-Tunisia: con chi stringe alleanze l’Europa?

Dietro al Memorandum tra Europa e Tunisia, che ha visto protagonista l'Italia, si celano numerose contraddizioni

Giovanni Cirone
Il presidente della Tunisia Kaïs Saïed © Houcemmzoughi/iStockPhoto
Giovanni Cirone
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Apposta la firma, ma «senza rispettare le procedure». L’oggetto è il Memorandum d’intesa con la Tunisia del 16 luglio scorso, fortemente perseguito dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, condiviso con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, con l’ex premier olandese Mark Rutte e, naturalmente, con il presidente della nazione nordafricana Kaïs Saïed.

A quanto pare, l’accordo sarebbe deficiente dell’autorizzazione preventiva del Consiglio Ue, il quale ha espresso nel merito un proprio parere. La notizia emerge da fonti diplomatiche, come riportato da alcune testate, tra cui La Stampa e The Guardian. L’Unione europea, dal canto suo, si affretta a chiarire: «Gli Stati membri sapevano». E la Commissione stanzia 127 milioni di euro: parte di ciò che è stato promesso al governo di Tunisi.

Inevitabilmente, tuttavia, in questo modo il Memorandum ispirato da Palazzo Chigi si appanna, e rischia di diventare tallone d’Achille dello stesso patto che sottende. Un patto che doveva essere di ferro, con il governo del Paese del Nord Africa più vicino alle coste italiche, a sole 61 miglia nautiche, non più di 113 chilometri.

Al centro dell’accordo, la tanto agognata aspettativa di Roma di interrompere il robustissimo flusso di sbarchi di migranti dal continente africano. A ben guardare, però, sono solo i migranti ad incarnare vulnus e “benefici” dell’intesa? Uno sguardo in casa dell’amico tunisino racconta di più, disseminato di contraddizioni.

Il Memorandum a tutti costi non parla franco-tedesco

La prima riguarda proprio il nodo Memorandum perché, date le condizioni suddette, giorno dopo giorno la macchina s’inceppa sempre più. Tra i vari lubrificanti anti-blocco, alcuni continuano a trascinare con sé più scorie che altro. «Loro (le autorità tunisine, ndr) sono pronti a contribuire ma vogliono vedere la stessa volontà da parte dell’Unione europea», esclama ad esempio Manfred Weber, presidente del gruppo Ppe all’Europarlamento. Purtroppo, ricordando con stima chi ha firmato il Memorandum, conclude con un paio di cannonate, ritirando su tutti i detriti.

«Ora – sentenzia – anche Olaf Scholz ed Emmanuel Macron (rispettivamente cancelliere tedesco e presidente francese, ndr) devono mandare un segnale chiaro che si attengono a questo accordo, che tutta l’Europa lo fa». Sembra che Weber parli anche per conto terzi… Non mancano gli ingredienti, insomma, per un’evoluzione (involuzione?) stupefacente.

L’economia tunisina è affidabile. Dice la Tunisia

La seconda contraddizione. Secondo i dati pubblicati dalla Banque centrale de Tunisie (Bct), la Tunisia ha ripagato circa il 74% del proprio servizio del debito estero cumulativo. L’agenzia di stampa ufficiale del Paese, Tunis Afrique Presse (Tap) ha diffuso la novella, che ovviamente dovrebbe ammutolire quanti ritengano il Paese non sia in grado di rispettare impegni economico-finanziari.

Al 10 settembre, quindi, il valore del debito rimborsato avrebbe raggiunto 6.653,1 milioni di dinari (2.016 milioni di euro), rispetto agli 8.945 milioni di dinari (2.710 milioni di euro) previsti nella legge finanziaria 2023. Secondo la Bct, la copertura (161%) è stata garantita dalle entrate turistiche e dalle rimesse dei tunisini all’estero. Ottime notizie, dunque, che contraddicono le voci di uno Stato sull’orlo del fallimento. Parola della Bct, insomma.

La Bct, ente terzo che di terzo ha poco

Tuttavia – terza contraddizione – la Bct non è un ente terzo e, in termini di politica finanziaria, non è indipendente né dallo Stato né dal governo. A sostenerlo è l’Association de Lutte contre l’Économie de Rente en Tunisie (Alert), gruppo impegnato nella lotta contro l’economia della rendita.

La notizia – ripresa dall’agenzia Ansa e pubblicata su diverse testate franco-tunisine – esprime lo stato di controversia che vive il fulcro del Paese. Almeno su due fronti: in merito ai limiti dell’indipendenza della Bct e sullo stesso concetto d’indipendenza espresso dal presidente Kaïs Saïed.

Il consiglio d’amministrazione di Bct: la composizione e chi lo nomina

Alert descrive le “istruzioni per l’uso” per comprendere la composizione del consiglio d’amministrazione della Bct. Sei dei nove membri sono designati con decreti governativi, dopo vaglio di un consiglio ministeriale. In sostanza, 2/3 dei membri sono nominati dal governo.

La composizione del cda è la seguente: governatore, vice governatore, presidente del Consiglio dei mercati finanziari, dirigente responsabile della gestione del debito pubblico presso il ministero delle Finanze, dirigente responsabile delle previsioni presso il ministero responsabile dell’Economia e lo Sviluppo, due professori universitari specializzati in materie finanziarie ed economiche (nominati con decreto governativo previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del governatore e sentito il ministro incaricato dell’Istruzione superiore), due membri che abbiano già svolto funzioni in una banca.

Questi ultimi sono nominati con decreto governativo, il primo su proposta del governatore, il secondo su proposta del presidente dell’associazione professionale tunisina delle banche e degli istituti finanziari.

Il mare di utili di un’economia in crisi?

Quindi, orchestrati dalla Bct, alcuni aspetti finanziari del Paese spiccano: quarta contraddizione. Nel luglio scorso, ad esempio, «i profitti delle banche sui prestiti a lungo termine concessi allo Stato tunisino sono aumentati del 58,12% su base decennale». È sempre Alert a comunicarlo, aggiungendo però: «Tuttavia, queste banche potrebbero essere esposte a rischi di capitale se lo Stato non dovesse rimborsare».

La prima comunicazione è frutto di dati. L’importo complessivo dei Buoni del Tesoro (BTA), utilizzati dalle banche come strumento per prestiti a lungo termine allo Stato, dal 2011 al 2022 svetta a quota 23.908,85 miliardi di dinari; proveniva da un ammontare di appena 1.894,93 miliardi. Alert sottolinea quanto la performance tunisina abbia superato, nello stesso periodo, le misure realizzate da banche simili in Marocco (23,6%) e Francia (10,23%). Al tempo stesso, però, lancia l’allarme: i debiti dello Stato verso le banche rappresentano l’80% del totale delle sue risorse proprie.

Il protagonismo di Kaïs Saïed

In questo scenario – del tutto parziale – il presidente Kais Saïed si muove con l’agilità di una gazzella. Nega l’ingresso ad una delegazione di eurodeputati della commissione Affari esteri del Parlamento Ue. Annullati incontri con membri della società civile, sindacati, esponenti dell’opposizione politica.

In vista delle prossime scadenze elettorali – il 17 dicembre, per l’elezione della Camera delle Regioni, nell’autunno del prossimo anno per le presidenziali – tuona contro la politica colonialistica occidentale. Ipse dixit: «Non abbiamo bisogno di osservatori stranieri, i tunisini possono monitorare da soli le proprie elezioni». E ancora: «Non inviamo telegrammi a Paesi come la Francia e gli Stati Uniti d’America per ringraziarli per le loro elezioni trasparenti».

La perla, però, si materializza durante il giuramento dei nuovi membri della Commissione Superiore Indipendente per le Elezioni (Isie), membri che Saïed mette in guardia dai «finanziamenti sporchi con miliardi di dinari distribuiti durante le elezioni mentre il Paese è attualmente sull’orlo della bancarotta». È questo (e tanto di più) l’amico tunisino?

L’amico tunisino, pieno di energia

Concepibile che, nell’opera di defrancesizzazione scattata in diversi Stati del continente africano, a livello planetario molti governi s’inseriscano o consolidino la propria posizione.

L’odierno governo italiano punta sulla Tunisia. Pur indicando come primaria l’esigenza di fermare gli sbarchi dei migranti da quelle coste verso l’Italia, molte altre sono le ragioni. A partire dall’esponenziale crescita di delocalizzazione compiuta verso quel Paese da parte di molte aziende italiane. Dal 2020, l’Italia appare come secondo partner commerciale di Tunisi, con interscambio bilaterale attorno ai 4,5 miliardi di euro (fonte ISTAT). E secondo cliente e primo fornitore della Tunisia, con una quota export del 13,4% a novembre 2021. C’è, però, qualcosa di molto più serio: l’interconnessione elettrica Italia-Tunisia, con ben 307 milioni di euro già pronti da Bruxelles per il progetto Elmed.

Non a caso, la firma dell’accordo è avvenuta il 10 agosto scorso, proprio ad una manciata di giorni dalla firma del suddetto Memorandum del 16 luglio. L’operazione rappresenta il maggiore accordo di sovvenzione Connecting Europe Facility con i beneficiari Terna e Steg.

Ha proprio ragione l’amico tunisino quando, ammiccando alla sostituzione etnica, sulle migrazioni ha dichiarato: «Esiste un piano criminale volto a modificare la composizione del panorama demografico in Tunisia. E alcuni individui hanno ricevuto ingenti somme di denaro per dare residenza a migranti subsahariani». Il problema è proprio quello, e in Italia c’è chi concorda e lì punta il dito, oscurando la luna.