Un secondo processo per Eni. In Basilicata i rifiuti pericolosi del petrolio diventano “innocui”
Avrebbe smaltito illecitamente i rifiuti prodotti dall’estrazione del petrolio. Manomettendo i dati li avrebbe fatti passare per "innocui". Questa l'accusa contro Eni
Non c’è solo il caso Opl245 – il processo per la presunta tangente miliardaria pagata per l’acquisizione di una ricca licenza petrolifera in Nigeria – nel listino delle presenze di ENI in tribunale. La compagnia petrolifera sta affrontando un processo anche a Potenza, ovvero nella regione, la Basilicata, dove da decenni è molto attiva nell’estrazione di petrolio e nella quale dall’inizio degli anni Novanta può contare su un Centro Olio capace di produrre circa 90mila barili di greggio al giorno.
Durante l’ultima assemblea degli azionisti della più grande multinazionale italiana (il 10 maggio 2018), nel menzionare i procedimenti giudiziari a carico dell’azienda, l’ad Claudio Descalzi ha singolarmente omesso quello in corso nel capoluogo lucano. Per fortuna è arrivato in soccorso un manipolo di “azionisti critici” provenienti proprio da Potenza e da Viggiano (la località in Val d’Agri più prossima al Centro Olio dell’ENI) per ricordare all’amministratore delegato e a tutto il board quanto sta accadendo dalle loro parti.
I rifiuti tossici che “diventano” innocui
Dal novembre del 2017 sono alla sbarra 10 società e 47 persone, tra cui due ex responsabili del Distretto Meridionale dell’ENI, Ruggero Gheller ed Enrico Trovato, altri dipendenti della compagnia petrolifera, esponenti di spicco dell’ARPAB (l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) e alcuni ex dirigenti della Regione Basilicata. Per i dipendenti dell’ENI l’accusa è di aver smaltito illecitamente i rifiuti prodotti dall’estrazione del petrolio, con procedure che hanno fatto conseguire all’azienda un ingiusto profitto per milioni di euro.
Attraverso la manomissione dei dati sugli sforamenti emissivi del Centro Olio e la falsificazione dei codici CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti) dei rifiuti speciali, gli scarti pericolosi non venivano catalogati come tali, ma come quasi innocui.
I tecnici dell’ARPAB, invece, non avrebbero controllato in maniera rigorosa le emissioni.Il dubbio di molti lucani è che anche i dati sulla qualità dell’acqua dell’enorme invaso creato dalla diga del Pertusillo (quella vicino al Centro Olio di Viggiano) non siano attendibili.
Tempa Rossa e le richieste alla ministra Guidi
Il processo è però composto da un altro filone, quello relativo al nuovo centro olio di Total e Shell di Tempa Rossa. Al banco degli imputati ci sono vari imprenditori locali e l’ex sindaco di Corleto Perticara, Rosaria Vicino, accusata di corruzione per induzione a fini elettorali e concussione per aver imposto alle ditte impegnate nei lavori per il Centro Olio l’assunzione di diverse persone in cambio delle autorizzazioni.
A proposito di Tempa Rossa, non sono mai entrate nel processo le telefonate “scomode” tra Federica Guidi e il suo fidanzato Gianluca Gemelli. Lei all’epoca ricopriva l’incarico di ministro dello Sviluppo economico, lui era il titolare delle società I.T.S e Ponterosso Engeneering, coinvolte nei lavori di realizzazione di Tempa Rossa. Quelle conversazioni telefoniche per qualche giorno hanno catapultato la Basilicata sulle prime pagine dei quotidiani e nei titoli di apertura dei telegiornali nazionali.
Gemelli faceva pressione sulla Guidi per “ottenere” un emendamento alla legge di Stabilità che avrebbe favorito proprio il Centro Olio. L’emendamento, che in precedenza era stato bocciato nello “Sblocca Italia” si materializzò.
La Guidi si dimise da ministro, ma sia lei che il fidanzato sono usciti presto dalla vicenda giudiziaria e non sono a processo.
Tempi lunghi e rischio prescrizione
Il “doppio binario”, però, di fatto sta complicando e allungando a dismisura un processo già complesso di suo. Sono addirittura oltre 400 le parti civili. Durante l’ultima udienza, alla quale abbiamo assistito lo scorso 9 gennaio, la pm Laura Triassi ha chiesto alla corte di “dividere” i due filoni, paventando un rischio prescrizione che si staglia minaccioso all’orizzonte.
Va detto che negli ultimi 13 mesi non si è certo proceduto con ritmi incalzanti. Tutt’altro, anche perché in corso d’opera è scoppiata la “grana Amara”. Uno degli avvocati dell’ENI, Piero Amara, è infatti finito agli arresti con l’accusa di aver cospirato per “aggiustare” processi e inchieste – tra queste ultime anche la vicenda Opl245, nella quale Amara avrebbe avuto un ruolo molto attivo per architettare il paventato depistaggio legato a un finto complotto ai danni dell’azienda e dell’ad Descalzi.
I risvolti noir
Ma i colpi di scena non mancano, come l’inquietante vicenda dell’ex responsabile dell’impianto di Viggiano Gianluca Griffa, morto suicida nell’estate del 2013 nei boschi di Montà d’Alba, in provincia di Cuneo. Alla vigilia del processo, si è venuto a sapere di una sua lettera depositata agli atti dell’inchiesta in cui Griffa evidenziava con preoccupazione le modalità di gestione del petrolio e i problemi dei serbatoi del centro olio. Secondo quanto accertato dai carabinieri, l’uomo si tolse la vita a causa di una forte depressione. Sembra che tre giorni prima del suicidio Griffa avesse avuto un incontro con i suoi superiori di ENI a Milano.
Anche durante l’udienza del 9 gennaio si è verificato un coup de théâtre: Giuseppe Fornari, l’avvocato tra gli altri di Ruggero Gheller, ha presentato alla corte dei documenti dell’ENI con i quali si dimostrerebbe che l’azienda aveva avvertito a tempo debito le autorità competenti degli sforamenti delle emissioni. Fornari, però, non ha prodotto le prove di avvenuta ricezione, mandando su tutte le furie una iper-combattiva pm Triassi. L’avvocato ha assicurato che tali evidenze ci sono e saranno rese disponibili in occasione della prossima udienza, prevista per il 30 gennaio. Dalle intercettazioni si evincerebbe in maniera chiara la condotta dolosa dei dipendenti dell’ENI, ma anche questo capitolo sarà trattato prossimamente, in quello che si preannuncia sempre più come un processo infinito.